La logica delle disuguaglianze

I numeri delle disuguaglianze | Alcuni dati sui divari Nord-Sud

I divari Nord-Sud sono profondi e datati[1]

  1. Aspettativa di vita: La speranza di vita alla nascita in Italia è stimata dall’Istat nel 2021in 80,1 anni per gli uomini e in 84,7 anni per le donne.

A) i residenti al Sud nel 2021 vivono 1 anno e 7 mesi di vita media in meno rispetto ai residenti nel Nord

B) un maschio ha un’aspettativa di vita pari a 82,1 anni se nasce a Firenze, 78,1 se nasce a Napoli; una femmina 86 anni se nasce a Milano, 82,5 anni se nasce a Napoli

Tuttavia l’’Italia sarebbe quinta nel mondo sempre per aspettativa di vita – secondo il network sanitario statunitense NiceRx (https://www.nicerx.com/best-healthcare-countries/) – con una media di 84,01 anni (81.90 per gli uomini e 85,97 per le donne).

  1. Qualità di vita: la classifica 2022 stilata dal Sole24ore individua un’Italia divisa in tre, con i primi 30 posti occupati da città del Nord; al 31° fa capolino Firenze, che guida il Centro, mentre tutte le posizioni dall’81ª alla 107ª sono occupate da province del Sud (nell’ordine: Campobasso; 82. Benevento, 83. Barletta-Andria-Trani, 84. Avellino, 85. Ragusa, 86. Agrigento, 87. Sud Sardegna, 88. Palermo, 89. Messina, 90. Siracusa, 91. Catania, 92. Brindisi, 93. Trapani, 94. Potenza, 95. Cosenza, 96. Catanzaro, 97. Salerno, 98. Napoli, 99. Caserta, 100. Enna, 101. Taranto, 102. Reggio Calabria, 103. Vibo valentia, 104. Foggia, 105. Caltanissetta, 106. Isernia, 107. Crotone). Bologna sarebbe la provincia italiana dove si vive meglio.

 

  1. PIL pro-capite: Nel 2021 il PIL pro capite in Italia risulta di 30.213 euro, rispetto ad un PIL totale di 1.782,1 miliardi di euro; la cifra scende a 18 mila nel Sud. E la Sicilia ha un primato: è l’unica regione italiana dove tutte le province non superano il valore di 20 mila euro. Le Regioni ed i Comuni più ricchi in Italia vedono in testa Trentino (42.300), Lombardia, Emilia-Romagna e Valle d’Aosta; in fondo alla classifica Puglia, Campania, Sicilia e Calabria (17.100).

 

  1. Natalità: Un tempo, al sud si facevano più figli rispetto al Centro-Nord a causa delle minori opportunità di lavoro. La situazione (se non ancora totalmente ribaltata) si è di gran lunga modificata tra le due aree del Paese in quanto è aumentato il tasso di natalità nel Centro-Nord, drasticamente ridimensionato al Sud. La pandemia ha accentuato il calo dei nati. Nel 1951 le donne meridionali facevano registrare una fecondità di 3,2 figli, il doppio di quello delle donne del Centro-Nord; oggi il tasso di fecondità delle cittadine italiane è pari a 1,18 nel 2021.

A detenere il primato della fecondità delle italiane resta sempre al Nord la Provincia autonoma di Bolzano (1,64) seguita dalla Provincia autonoma di Trento (1,34). Tra le regioni del Centro, il livello più elevato si osserva nel Lazio (1,15) mentre nel Mezzogiorno il picco si registra in Sicilia (1,32) e Campania (1,27); in Sardegna si registra il valore minimo pari a 0,97.

 

  1. Servizi per l’infanzia: I servizi per l’infanzia sono cruciali per la crescita del bambino e per l’occupabilità delle donne con figli. L’offerta di questi servizi è in crescita su tutto il territorio nazionale, ma i gap restano significativi. Due terzi dei bambini (0-3 anni) nel Mezzogiorno vive in contesti con livelli di offerta inferiori agli standard nazionali e il 17,8% in zone con una dotazione molto bassa o nulla (5,3% nel Centro-Nord). Nel periodo 2019-2020 la quota di bambini da zero a tre anni che ha potuto usufruire dei servizi per l’infanzia offerti dai Comuni è stata del 19,3% al Centro-Nord e del 6,4% al Sud.

Asili nido: al Centro nord si superano i 1600 euro per bambino, mentre al Sud si sfiorano al massimo i 600 euro. A livello provinciale il gap va dai 2.904 euro annui per bambino spesi della provincia di Bologna ai 23 euro annui di Vibo Valentia.

Scuola primaria: nel Mezzogiorno non beneficiano di servizio mensa il 79% degli alunni, contro il 46% del Centro-Nord; Palestre: il 66,2%, degli alunni delle scuole primarie del Mezzogiorno non frequenta scuole dotate di una palestra, contro il 54,2% del Centro-Nord.

 

  1. Capitale umano: Con il termine capitale umano si intende l’insieme di conoscenze, competenze, abilità, emozioni, capacità relazionali, acquisite durante la vita da un individuo e finalizzate al raggiungimento di obiettivi sociali ed economici, singoli o collettivi. Tra il 1996 e il 2019 la crescita media nazionale è stata del 6,5%, con andamenti decisamente brillanti del Nord-Est (+13%) e nel Centro (+12,6%) a fronte di una contrazione di quasi tre punti nel Mezzogiorno (-2,7%), con Calabria a -8,5% e Campania a -5,8%. Secondo i dati diffusi dall’Istat a dicembre 2022, rispetto al mese precedente, sono aumentati gli occupati e i disoccupati, mentre sono diminuiti gli inattivi. A dicembre 2022, il tasso di occupazione sale al 60,5%, il tasso di disoccupazione è stabile al 7,8, mentre scende al 34,3% quello di inattività.

 

  1. Povertà: Nel 2021 1/4 della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale (25,4%), quota stabile rispetto al 2020 (25%) e al 2019 (25,6%). In lieve peggioramento la disuguaglianza nel 2020: il reddito totale delle famiglie più abbienti è 5,8 volte quello delle famiglie povere (5,7 nel 2019), il valore sarebbe stato più alto (6,9) in assenza di interventi di sostegno alle famiglie. Il reddito netto medio delle famiglie è di 32.812 euro annui nel 2020, il reddito di cittadinanza e le altre misure straordinarie ne hanno limitato il calo. Il 5,6% della popolazione (3 milioni e 300 mila individui) si trova in condizioni di grave deprivazione materiale. Tra le famiglie povere, il 42,2% risiede nel Mezzogiorno (38,6% nel 2020), e il 42,6% al Nord (47,0% nel 2020). Si ristabilisce dunque la proporzione registrata nel 2019, quando le famiglie povere del nostro Paese erano distribuite quasi in egual misura fra Nord e Mezzogiorno.

 

  1. Povertà assoluta: Negli ultimi dieci anni la povertà assoluta è progressivamente aumentata. Secondo le stime ISTAT definitive, nel 2021 sono poco più di 1,9 milioni le famiglie in povertà assoluta (con un’incidenza pari al 7,5%), per un totale di circa 5,6 milioni di individui (9,4%), valori stabili rispetto al 2020 quando l’incidenza ha raggiunto i suoi massimi storici ed era pari, rispettivamente, al 7,7% e al 9,4%.

Nel 2021, l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si conferma più alta nel Mezzogiorno (10,0%, da 9,4% del 2020) mentre scende in misura significativa al Nord (6,7% da 7,6%), in particolare nel Nord-ovest (6,7% da 7,9%). Tra le famiglie povere, il 42,2% risiede nel Mezzogiorno (38,6% nel 2020), e il 42,6% al Nord (47,0% nel 2020). Si ristabilisce dunque la proporzione registrata nel 2019, quando le famiglie povere del nostro Paese erano distribuite quasi in egual misura fra Nord e Mezzogiorno.

L’incidenza di povertà assoluta è più elevata tra le famiglie con un maggior numero di componenti, tra famiglie con figli minori, decresce al crescere del titolo di studio della persona di riferimento della famiglia. Gli stranieri in povertà assoluta sono oltre un milione e 600mila, con una incidenza pari al 32,4%, oltre quattro volte superiore a quella degli italiani (7,2%).

 

  1. Reddito di cittadinanza: tra le misure di contrasto alla povertà esistente nel nostro Paese, il Reddito di Cittadinanza, è stato finora percepito da 4,7 milioni di persone, raggiungendo poco meno della metà dei poveri assoluti (44%). Sarebbe però opportuno assicurarsi che fossero raggiunti tutti coloro che versano nelle condizioni peggiori, partendo dai poveri assoluti. Accanto alla componente economica dell’aiuto vanno garantiti adeguati processi di inclusione sociale, ma al momento una serie di vincoli amministrativi e di gestione ostacolano tale aspetto. A percepire il Reddito di cittadinanza, secondo i dati INPS riferiti ad agosto 2022, sono: 2,17 milioni di cittadini italiani; 226.000 cittadini extra comunitari con permesso di soggiorno UE; 88.000 cittadini europei; 5.000 familiari delle precedenti categorie o titolari di protezione internazionale. A luglio 2022, inoltre i nuclei beneficiari al cui interno sono presenti minori sono 365.000 con 1,3 milioni di persone coinvolte; mentre le famiglie con disabili sono quasi 197.000 con 442.000 persone coinvolte. Per quanto riguarda la distribuzione geografica: 340.000 persone risiedono nel Centro Italia; 443.000 persone risiedono al Nord; oltre 1,7 milioni di persone risiedono nel Sud e nelle Isole. L’assegno medio ammonta a 551 euro, ma in realtà la sua entità varia a seconda delle caratteristiche del nucleo; più precisamente: per i nuclei con presenza di minori l’importo medio mensile è di 682 euro, e va da un minimo di 590 euro per i nuclei composti da due persone a 742 euro per quelli composti da cinque persone; per i nuclei con presenza di disabili l’importo medio è di quasi 490 euro, con un minimo di 382 euro per i nuclei composti da una sola persona a 702 euro per quelli composti da cinque persone.

 

  1. Spesa sociale: Con il termine spesa sociale si intende la quota della spesa pubblica e della spesa privata destinata a coprire il sistema dello Stato sociale (welfare state), ovvero la somma di denaro utilizzata dallo Stato per garantire i bisogni primari dei cittadini. Sotto questa voce vanno un numero consistente di servizi offerti ai cittadini, dall’assistenza agli anziani al sostegno alle famiglie e ai minori, dalla sistemazione di immigrati agli aiuti ai disabili, dal sostegno ai senza fissa dimora agli aiuti a tossicodipendenti o alcolisti.

Nel 2019 la spesa per i servizi sociali in Italia è stata pari allo 0,42% del PIL arrivando a 0,7% con le compartecipazioni degli utenti e del servizio sanitario nazionale (SSN). Il dato è soltanto un terzo di quanto impegnano i bilanci di altri Paesi europei (2,1-2,2% di media). La spesa per abitante in Italia è pari a 124 euro con differenze territoriali molto ampie: al Sud è di 58 euro, cioè meno della metà del resto del Paese. Un cittadino meridionale, quindi, riceve meno della metà dei servizi e delle prestazioni di un italiano residente nel Centro e nel Nord-Ovest e circa un terzo rispetto a un abitante del Nord-Est. Lo scarto fra i due poli estremi – la provincia autonoma di Bolzano (567 euro) e la Calabria (22 euro) – porta a una distanza di quasi 25 volte.

Nel 2020, la spesa per la protezione sociale è uguale al 34,5% del Pil ed è destinata, per il 46,5%, alla funzione vecchiaia, per il 22,4% alla funzione malattia e per il 13,5% alle due funzioni congiunte, disoccupazione e altra esclusione sociale non altrove classificata.

 

  1. Ricchezza: anche in Italia le disuguaglianze stanno aumentando, con il 5% più ricco (titolare del 41,7% della ricchezza nazionale netta) che detiene una ricchezza superiore a quella dell’80% più povero (il 31,4%); a fine 2021, i super ricchi con patrimoni superiori ai 5 milioni di dollari (lo 0,134% degli italiani) erano titolari, di un ammontare di ricchezza equivalente a quella posseduta dal 60% degli italiani più poveri. Nel 2021, il valore delle fortune dei super-ricchi italiani (14 in più rispetto alla fine del 2019) mostra ancora un incremento di quasi 13 miliardi di dollari (+8,8%), in termini reali.

 

  1. Impoverimento demografico: I ritardi del Mezzogiorno stanno aumentando i rischi di un eccessivo e non reversibile impoverimento demografico. Fra il 2011 e il 2020 si è registrato il primo calo di popolazione nella storia recente del Mezzogiorno (-642mila abitanti; +335mila nel Centro-Nord). A tendenze invariate, nel 2030 i residenti scenderanno per la prima volta sotto la soglia critica dei 20 milioni di abitanti, con una riduzione su base decennale di circa 4 volte rispetto al Centro-Nord (-5,7% e 1,5%). La perdita di popolazione si concentra nei più giovani, cui fa da contrappunto il maggior peso della popolazione anziana. Intorno al 2035 l’età media della popolazione di Sud e Isole potrebbe superare quella del Centro-Nord, nel 2011 ancora nettamente inferiore (39 anni contro 43,2 del Centro-Nord). Tali fenomeni inediti, se non governati con urgenza, possono far incamminare il Mezzogiorno verso un’involuzione radicale e molto problematica nella funzionalità e sostenibilità della propria struttura sociale.

 

  1. Livelli di istruzione: In generale, i livelli di istruzione nel Nord Italia sono più alti rispetto a quelli del Sud Italia. Il Nord è considerato un’area economicamente più sviluppata, con un più alto tasso di partecipazione all’istruzione e una maggiore disponibilità di risorse educative. Questo ha portato a una maggiore qualità e quantità di istruzione nelle regioni settentrionali rispetto a quelle meridionali. Tuttavia l’Italia si colloca in fondo alla graduatoria europea dei livelli d’istruzione: bassa componente di diplomati, propensione ancora significativa ad abbandonare gli studi al conseguimento della licenza media, quota ridotta di titoli di studio terziario. Tale situazione peggiora nel Mezzogiorno, dove sull’istruzione persiste un quadro di particolare arretratezza: solo il 38,1% ha il diploma di scuola secondaria superiore e solo il 16,4% ha raggiunto un titolo terziario; nel Nord e nel Centro circa il 45% è diplomato e più di uno su cinque è laureato (21,3% e 24,2% rispettivamente). I livelli di istruzione sono correlati al tasso di occupazione, molto più basso al Sud che nel resto del Paese, e a quello di disoccupazione, molto più alto anche tra chi ha un titolo di studio elevato: il tasso di occupazione dei laureati è pari al 73,5% (13 punti inferiore a quello del Nord) e quello di disoccupazione è 8,2% (superiore di cinque punti). Le donne sono più istruite degli uomini ma tale vantaggio non si traduce in un vantaggio in ambito lavorativo.

 

  1. Competenze degli studenti: Nel Mezzogiorno, gli outcome dell’istruzione sono notevolmente peggiori: le competenze degli studenti risultano più basse in tutte le discipline e il gap aumenta nei diversi gradi d’istruzione. Nel 2021-‘22 il 42,7% degli studenti meridionali di V superiore presenta competenze “molto deboli” in matematica (28,3% in Italia; 15% nel Nord-Est) e solo il 6,7% si colloca a un livello “molto buono” (14,9% in Italia; 22,6% nel Nord-Est).

 

  1. Dispersione scolastica: dati Eurostat dicono che nel 2021 il 12,7% dei giovani italiani tra i 18 e i 24 anni ha abbandonato precocemente la scuola, fermandosi alla licenza media (media europea del 9,7%), per cui l’Italia si trova agli ultimi posti della classifica. Secondo il MIUR, nel 2021, l’abbandono degli studi prima del completamento del sistema secondario superiore o della formazione professionale riguarda il 16,6% dei 18-24enni nel Mezzogiorno, il 10,7% al Nord e il 9,8% nel Centro. Secondo i dati Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione), nel 2022 la dispersione scolastica totale, implicita ed esplicita, superebbe il 20% a livello nazionale. La dispersione scolastica implicita riguarda il 9,7% di alunni e alunne; solo il 56% degli alunni di terza media raggiunge i livelli di competenze previsti in matematica, e il 61% in italiano.

 

  1. Università e circolazione dei cervelli: Il dualismo territoriale tra Nord e Sud caratterizza anche il sistema universitario. Le Università del Sud soffrono di grossi problemi tra cui: a) calo degli iscritti: negli ultimi 10 anni le iscrizioni all’Università degli studenti residenti nel Mezzogiorno sono state nettamente inferiori rispetto al resto del Paese; b) un’offerta formativa di minore qualità; c) meno risultati accademici eccellenti; c) una drastica riduzione delle risorse economiche ed umane avvenuta nell’ultimo decennio, principalmente per un taglio generale dei fondi pubblici. Ciò motiva i giovani del Sud under 35 (8%) a migrare al Nord, dove generalmente sono situati i centri di eccellenza e si hanno maggiori opportunità lavorative.

 

  1. Occupazione giovanile: L’Italia è ultima, a livello europeo, nel sistema di transizione tra scuola e mercato del lavoro. La fase pre-pandemica aveva già evidenziato problemi di stagnazione dell’economia italiana, più accentuati nel Mezzogiorno; a fine pandemia si registra comunque una moderata crescita nel Centro-Nord, mentre nelle regioni meridionali il segno risulta visibilmente negativo. Nel 2021 nel Mezzogiorno quasi un terzo degli occupati sono classificabili come lavoratori non-standard (circa un quinto nel Centro e ancora meno nel Nord). Anche la quota di lavoratori “vulnerabili” o “doppiamente vulnerabili” nel Meridione ha un’incidenza superiore alla media nazionale (rispettivamente, 22,7% e 5,4%, a fronte dei 18,1% e 3,6% dell’Italia). Maggiormente penalizzati le donne e i giovani.

 

  1. Giovani Neet: Nel 2020 oltre 3 milioni di giovani italiani, 1,7 donne, sono rimasti con le mani in mano, senza un libro davanti e senza un’occupazione. Sono quelli che vengono definiti Neet: un fenomeno in aumento, che raddoppia al Sud rispetto al Nord e che riguarda soprattutto le ragazze. I giovani tra i 15 e i 34 anni che vivono in questo limbo, o palude, sono il 39% della popolazione nel Sud Italia, Il 23% del Centro Italia, il 20% del Nord-Ovest e al 18% del Nord-Est. La maggior parte (2 su 3) dei Neet è inattivo: scoraggiato, hanno smesso del tutto di cercare lavoro. Qualcuno (circa il 20%) sarebbe sì disponibile a lavorare ma comunque non cerca. C’è una tendenza ad essere inattivi soprattutto tra i diplomati (32%) o con un titolo di studio minore (16%).

 

  1. Emigrazione giovanile: Il recente “Rapporto Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes[2] della Conferenza Episcopale Italiana conferma che, nonostante la pandemia, la mobilità italiana giovanile, dal 2006 al 2022, è cresciuta dell’87% in generale, del 94,8% quella femminile, del 75,4% quella dei minori e del 44,6% quella per la sola motivazione “espatrio”. La via per l’estero si presenta loro quale unica scelta da adottare per la risoluzione di tutti i problemi esistenziali (autonomia, serenità, lavoro, genitorialità, ecc.). Ne scaturisce una preoccupante ripresa dell’emigrazione di massa. Nel 2020, Sud e Isole hanno perso ben 42 giovani residenti (25-34 anni) ogni 100 movimenti anagrafici nei flussi interni extra-regionali (+ 22 nel Centro-Nord) e 56 su 100 in quelli esteri (49 nel Centro-Nord). Il fenomeno è accentuato nelle province con bassa occupazione e nelle cosiddette “aree interne”.

 

  1. Salute: al Nord è un diritto, al Sud una speranza. Pochi dati significativi. Nel 2021 la stima della speranza di vita alla nascita in Italia è di 82,4 anni (80,1 per gli uomini e 84,7 anni per le donne); ma mentre si attesta a 82,9 al Nord, nel Mezzogiorno scende a 81,3 anni nel 2021.

La pandemia da COVID-19 ha avuto un forte impatto su tutti i settori della Sanità, in primo luogo sugli screening oncologici: nelle regioni settentrionali la copertura totale dello screening cervicale è dell’88% (vs 69% al Sud), quella dello screening mammografico dell’86% (vs 61% al Sud) e del 69% per lo screening colorettale (vs 27% nel Sud)

La mortalità neonatale (cioè dei morti appena nati) è maggiore del 40% al Sud e, secondo la Fondazione Gimbe[3], nelle regioni del Centro-Nord emigra l’85,5% dei pazienti sotto i 14 anni con malattie gravi. E si tenga presente che il bambino non si sposta da solo ma tutto il nucleo familiare è coinvolto, non solo in termini di spese da sostenere.

 

  1. Servizi sanitari: Divari territoriali rilevanti caratterizzano l’efficienza, appropriatezza e qualità dei servizi sanitari. La regionalizzazione della sanità ha reso e rende gli Italiani diversi di fronte alla vita e alla morte. Le distanze tra Nord e Sud negli indicatori del benessere equo e sostenibile restano purtroppo molto marcate e aumentano per quanto riguarda la speranza di vita e il reddito dei lavoratori. La speranza di vita alla nascita nel 2021 risulta di 82,9 anni nel Nord contro gli 81,3 anni nel Sud. Nel Mezzogiorno – soprattutto in alcune regioni coinvolte dai Piani di Rientro (6 su 7 in questa ripartizione) – la contrazione della spesa pubblica ha inciso negativamente sui LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). Permane una diffusa “emigrazione sanitaria”: i ricoveri extra-regionali sono il 9,6% di quelli interni (6,2% nel Centro-Nord). In oltre 1 Provincia su 5 (21,1%; 7,2% nel Centro-Nord) tale mobilità sanitaria è molto intensa.

 

  1. Mobilità sanitaria interregionale (dati AGEANS): Dal 2009 al 2016 le quattro più grandi regioni meridionali hanno pagato oltre 7 miliardi di euro alle regioni del Nord a causa delle migrazioni sanitaria. Il fenomeno dell’esodo da Sud a Nord per curarsi non si arresta: ben 14 le Regioni hanno infatti saldi negativi. Fanalini di coda sono la Campania che nel 2021 registra un saldo negativo di 185,7 mln. A seguire la Calabria (-159,5 mln), la Sicilia (-109,6 mln), la Puglia (-87,6 mln), la Liguria (-60,7 mln), l’Abruzzo (-49,5 mln), la Basilicata (-40,3 mln), la Sardegna (-34,4 mln), le Marche (-21,1 mln), l’Umbria (-9,8 mln), la Valle d’Aosta (-7,1 mln), il Friuli Venezia Giulia (-6,8 mln), la Pa di Bolzano (-4,3 mln) e la Pa di Trento (-0,03 mln). In attivo a guadagnarci di più dalla mobilità è nel 2021 l’Emilia Romagna che scalza la Lombardia dal vertice con un saldo attivo di 293,9 mln. La Lombardia segue con +274,9 mln. In attivo anche il Veneto (+102 mln), la Toscana (+38,1 mln), il Lazio (+34,2 mln), il Piemonte (24,8 mln) e il Molise (+8,7 mln).

Nel 2020 si registra un indice di fuga pari all’8,7% totale (dal 3,4% del Lazio al 43,4% del Molise, il 30,8% della Basilicata, il 26,8% dell’Umbria e il 23,6% della Calabria), ma che per oltre la metà (41.000 ricoveri) interessa bambini e adolescenti residenti nelle regioni meridionali. Un terzo dei bambini e adolescenti si mette in viaggio dal Sud per ricevere cure per disturbi mentali (il 10% dei casi) o neurologici, della nutrizione o del metabolismo.

 

  1. Digital divide (divario digitale): In Italia, solo il 42% degli italiani ha competenze digitali di base, mentre la media europea arriva al 58%. Più marcato il divario tra Nord e Sud. Nell’ultimo ventennio il processo di digitalizzazione è stato molto rapido, ma il Mezzogiorno non ha ancora recuperato il gap di partenza (valutato nel 2020in circa 10 punti percentuale): il 60% circa dei residenti ha opportunità ridotte di accesso alla Banda ultra-larga, e circa 1 su 5 (17,3%) vive in contesti molto distanti da questo standard (4,2% nel Centro-Nord). Maggiormente svantaggiate le donne e gli anziani.

La recente giurisprudenza ha riconosciuto l’esistenza di un vero e proprio «danno da digital divide», provocato dalla privazione del diritto di accesso che impedisce all’individuo l’esercizio dei propri diritti online. Tale condizione comporta una mancata opportunità d’inclusione.

 

  1. Infrastrutture: Il Mezzogiorno presenta una dotazione di infrastrutture di trasporto visibilmente inferiore alle altre ripartizioni. La densità della rete ferroviaria è nettamente più bassa, soprattutto nell’alta velocità (0,15 Km ogni 100 Km2 di superficie; 0,8 al Nord; 0,56 al Centro). Negli ultimi decenni l’ampliamento è stato molto modesto (+0,3% contro +7,1% del Centro-Nord) mentre è aumentato il gap qualitativo (58,2% di rete elettrificata; 79,3% del Centro-Nord).

 

  1. Imprese: Nonostante una ripresa nel corso del 2021 (+6,5%), il tasso di natalità delle imprese, resta inferiore ai livelli del 2019 (+6,9%). Il Nord-Est è l’area con il più basso tasso di natalità (+5,9%), mentre il Nord-Ovest, trainato dalla Lombardia, è quella più dinamica (+6,8%). In testa alla classifica troviamo il Lazio (+7,5%), mentre “fanalino di coda” è la Basilicata con un +5,2%.

Nel Mezzogiorno il settore privato, già fortemente sottodimensionato rispetto al peso demografico dell’area, si è ulteriormente contratto e presenta ora una composizione ancora più sbilanciata verso attività produttive a minore contenuto di conoscenza e tecnologia e a più bassa produttività, in sostanza in media meno produttive, meno capitalizzate, meno profittevoli di quelle del Centro Nord; nelle regioni meridionali è preponderante il ruolo di micro imprese e di attività a controllo familiare, nel complesso poco dinamiche e meno in grado di sfruttare le nuove tecnologie digitali. Auspicabile per il rilancio dello sviluppo del Mezzogiorno il contrasto al “triangolo dell’illegalità”, costituito da evasione, corruzione, criminalità, fattori che premiano le imprese opache e il ricorso al lavoro nero, ostacolando l’affermazione delle migliori iniziative imprenditoriali.

 

  1. Reti dei trasporti: La rete dei trasporti in Italia comprende le seguenti infrastrutture: 156 porti, una rete ferroviaria di 24.564 km (linee a doppio binario: 7.732 km; linee a semplice binario: 9.100 km; linee non elettrificate (diesel): 4.672 km), una rete stradale (strade statali, regionali, provinciali, comunali) di 837.493 km, una rete autostradale di 6.966 km (2019) e 98 aeroporti. Il PNRR ha destinato 25 mld agli investimenti sulla rete ferroviaria. Scrive l’Istat: «La densità della rete ferroviaria è nettamente più bassa, soprattutto nell’alta velocità (0,15 Km ogni 100 Km2 di superficie; 0,8 al Nord; 0,56 al Centro)». Negli ultimi decenni l’ampliamento è stato modesto (+0,3% contro +7,1% del Centro-Nord) mentre è aumentato il gap qualitativo (58,2% di rete elettrificata; 79,3% del Centro-Nord).

 

  1. Reti ferroviarie: Dal 1995 al 2019 la rete ferroviaria del nostro paese è cresciuta notevolmente, ma al Sud – secondo un rapporto di Legambiente sul pendolarismo – i treni sono vecchi di almeno 20 anni (rispetto ai 12 e mezzo di quelli in uso sulle ferrovie settentrionali), pochi, e viaggiano su linee in larga parte a binario unico e non elettrificate.

7.538 sono complessivamente i chilometri di binari che attraversano l’Italia settentrionale, cioè 1.824 km in più rispetto a quelli nel mezzogiorno e nelle isole (5.714 km) e 4.081 rispetto ai territori del centro (3.457 km). Il 58,3% delle reti ferroviarie del centro Italia sono linee elettrificate a binario doppio, contro il 51,2% del Nord, il 30,9% del sud e nelle isole, il 45,7% della media nazionale. La Sicilia, la regione più grande d’Italia, dispone di una rete viaria con appena il 5 per cento di autostrade e un sistema ferroviario per l’84 per cento a singolo binario.

 

  1. Reti idriche: L’Italia “vanta” una rete di acquedotti di oltre 425mila chilometri – che arrivano a 500mila se si considerano le connessioni e i raccordi – che distribuisce che ogni anno regione per regione, città per città circa 8,2 miliardi di metri cubi d’acqua; le perdite però si aggirano sui 3,4 miliardi. L’obsolescenza delle reti idriche è un fattore critico data la sempre più grave siccità che interessa il Paese. Nel Meridione spesso si registrano perdite per circa la metà dell’acqua per uso civile. Livelli di inefficienza superiori alla media caratterizzano tre quarti delle province del Mezzogiorno (1/4 nel Centro-Nord).

L’ultimo dato ISTAT disponibile è del 2018 e rileva come le perdite in Abruzzo in quell’anno siano state pari al 55,6%, seguono l’Umbria, con il 54,6%, e il Lazio, con il 53,1%. Ci sono poi altre due regioni dove la perdita a livello percentuale è superiore al 50%: la Sardegna con il 51,2% e la Sicilia con il 50,5%. Ben 5 regioni sulle 20 italiane segnano quindi una percentuale di perdite della rete idrica superiore al 50%. I dati migliori si registrano invece in Valle d’Aosta dove la perdita d’acqua nelle reti idriche è pari al 22,1%, nella Provincia autonoma di Bolzano dove lo spreco si ferma al 26,9% e in Lombardia che registra il 29,8% di perdite. Tutte le restanti regioni hanno un valore compreso tra il 30% e il 50%, ad eccezione delle cinque citate in precedenza.

Il gap infrastrutturale delle regioni meridionali e insulari è confermato anche dalle condizioni delle infrastrutture preposte agli altri segmenti della filiera dell’acqua, quali la raccolta delle acque reflue e le attività di depurazione. Vi sono circa 40 Comuni tuttora sprovvisti di servizio di raccolta delle acque reflue (poiché la rete fognaria non è presente o non è collegata a un depuratore), di cui oltre la metà localizzati in Sicilia; nelle aree meridionali inoltre si verificano con maggiore frequenza episodi di allagamento, sversamento e rottura delle fognature e la qualità delle acque depurate è sensibilmente peggiore della media italiana (ARERA, 2020).

[1] I divari territoriali nel PNRR: dieci obiettivi per il Mezzogiorno ISTAT, Statistiche Focus, https://www.istat.it/it/files//2023/01/FOCUS_Divari_Mezzogiorno_PNRR.pdf

[2] Rapporto Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes, XVII Edizione, – Sintesi, https://www.migrantes.it/wp-content/uploads/sites/50/2022/11/Sintesi_RIM2022.pdf

[3] GIMBE Evidence for Health – Report Osservatorio GIMBE 2/2022 – Livelli Essenziali di Assistenza: le diseguaglianze regionali in sanità.

Prof. Giuseppe Castello

Giuseppe Castello è nato a Caposele [AV] il 06 agosto 1949. Ha studiato Medicina & Chirurgia presso l'Università degli Studi di Napoli dove si è laureato nel 1974. Leggi di più...

Articoli Correlati