Dal Mondo Vegetale

Sabina | Juniperus Sabina L.

Il Ginepro sabina (Juniperus sabina L., 1753), appartenente alla famiglia Cupressacee, è un arbusto resinoso sempreverde, diffuso nelle zone fredde e temperato-fredde dell’Europa, Asia e Nord America, solitamente non più alto di 1-1,5 m, molto ramoso con portamento aderente al substrato (prostrato) grazie anche a forti radici capaci di insinuarsi nelle fessure tra le rocce. La chioma è irregolare, talvolta tabulare, verde scura con fusto subito diviso in robusti rami contorti e striscianti in prossimità del suolo. Le foglie giovanili sono aghiformi, molto acute di 4-6 mm, che talora si ripresentano allo stato adulto, però di norma squamiformi, appressate al rametto, opposte-decussate, lunghe 1-2,5 mm, color verde intenso esternamente, verde glauco internamente. I “fiori” (squame riproduttive) sono unisessuali presenti sulla stessa pianta in rametti diversi (piante monoiche) o su individui distinti (piante dioiche); i maschili in infiorescenze piccole (2-4 mm), claviformi, rosso-brune ricche di sacche polliniche; i femminili in infiorescenze ascellari piccolissime giallo brune o rossicce su rami sottili, portate da brevi peduncoli penduli. I frutti sono rappresentati da false bacche (coccole o galbuli di 4-6 mm) rade, a polpa tenera, su un corto peduncolo ricurvo, dapprima verdi, poi brune e quindi azzurrognole. Periodo di fioritura: aprile-maggio.

Cresce su pendii soleggiati, in boschi molto radi rocciosi, su rupi e detriti, con optimum nella fascia subalpina. L’intera pianta (persino il polline) è tossica, sia per gli animali che per l’uomo; l’azione tossica del Juniperus sabina è dovuta principalmente a terpeni come il sabinene, il sabinolo, l’acetato di sabinile e alla podofillotossina. Anche le foglie schiacciate hanno effetti irritanti e vescicanti e, se ingerito, provoca lesioni irreversibili agli apparati digerente ed urinario, che giungono fino alla necrosi renale; in passato veniva usata contro la gotta e i reumatismi, come emostatico, vermifugo ed abortivo. Per la sua tossicità la pianta veniva utilizzata in passato per scopi criminosi. Qualsiasi uso terapeutico deve essere evitato.

Il nome volgare “cipresso dei maghi” è motivato dall’antico uso come amuleto contro i sortilegi. Il nome generico, già in uso presso i Romani, è di origine controversa: forse deriva dal latino “iùnix” (giovenca) e “pàrio” (do alla luce), alludendo al fatto che la specie veniva somministrata alle vacche per favorire il parto, oppure da “iùnior” (più giovane) e “pàrio” (do alla luce), perché produce sempre nuovi germogli; secondo altri deriverebbe dal celtico “gen” (cespuglio) e “prus” (aspro) per le foglie pungenti. I Greci del resto chiamavano i ginepri αρκευθος (arkeuthos), dal verbo αρκεω (arkeo) = allontanare, respingere, in riferimento alle foglie pungenti. Il nome specifico sabina si riferisce alla sua presenza nella Sabina, territorio Laziale tra Roma e Rieti; non a caso viene anche chiamata erba sabina o semplicemente sabina.

Tutta la pianta è velenosa anche con esito mortale. Le foglie schiacciate hanno effetti irritanti e vescicanti e, se ingerito, provoca lesioni irreversibili agli apparati digerente ed urinario, che giungono fino alla necrosi renale. Persino il polline stesso della pianta è tossico, e per questo motivo si deve fare attenzione ad evitare il consumo di miele prodotto da api che lo bottinano. Durante il consumo, le api stesse possono venire intossicate dal polline.

I sintomi dell’intossicazione a basso dosaggio consistono in irritazione della bocca, diarrea, vomito, coliche. Dosi elevate provocano grave avvelenamento, con tachicardia, difficoltà respiratorie, crampi, paralisi, coma e morte nel 50% dei casi.

La pianta contiene olio essenziale con sabinolo, sabinene, cardinene, pinene, citronellolo, furfurolo, alcol metilico, un glucosile, la pinipricrina, una resina, un tannino, acido gallico.

In passato veniva utilizzato in fitoterapia, ha proprietà emmenagoghe, abortive e irritanti queste ultime sfruttate per patologie cutanee. Il facile sovradossaggio porta a metrorragie, nefriti emorragiche, violenta irritazione del tubo digerente, con bruciore della bocca e della gola, vomito, diarrea, dolori addominali, che possono aggravarsi con perforazione intestinale, inoltre congestione degli organi encefalici, emorragie retiniche, stasi, crampi, e poi paralisi. Oggi viene utilizzata come pianta ornamentale nei parchi e nei giardini.

Curiosità

Storicamente, l’erba sabina è ricordata come una delle piante più importanti negli antichi riti romani. Nei riti funebri la sabina veniva adoperata in sostituzione dell’incenso a simboleggiare l’immortalità. Ovidio nei “Fasti” cita questa usanza (Ovidio, Fasti. I,337): “ara dabat fumos herbis contenta sabinis”

Dioscoride (medico, botanico e farmacista vissuto nella Roma imperiale sotto Nerone, I secolo d.C.) la chiama brathu (in greco antico: βραθυ), e ne riporta un uso esterno come trattamento per le affezioni cutanee. Nel suo trattato Sulle erbe mediche (in latino: De materia medica) ne descrive l’azione abortiva e gli effetti dannosi sui reni quando bevuto insieme al vino, facendo urinare sangue.

Il ginepro sabina veniva spesso utilizzato nelle campagne per favorire nelle pecore l’espulsione della placenta dopo il parto.

Redazione amaperbene.it

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