Il Pane

Processi principali della produzione del pane

Getting your Trinity Audio player ready...

In Italia la farina più impiegata per la produzione del pane è quella ottenuta dal frumento (o grano) tenero (Triticum aestivum).

Non esiste un metodo unico per la preparazione del pane.

Vengono riconosciuti tre principali metodi: diretto, semidiretto e indiretto.

  • Metodo diretto: prevede la lavorazione in un’unica fase, cioè tutti gli ingredienti vengono pesati al momento e introdotti nell’impastatrice, in un’unica fase;
  • Semidiretto: consiste nell’impasto di tutti gli ingredienti in un’unica fase aggiungendo il lievito o la pasta di riporto (è un pezzo di pasta lievitata il giorno precedente).
  • Indiretto: o a due fasi; nella prima si prepara un preimpasto di acqua, lievito e farina, chiamato biga o biga liquida[1] a seconda della proporzione degli ingredienti che ne determina la consistenza; nella seconda si aggiunge al preimpasto, lasciato fermentare secondo i casi dalle 4 alle 48 ore, tutti gli altri ingredienti.

I vantaggi del metodo indiretto sono:

  • Il gusto e profumo più intensi.
  • Alveolatura più sviluppata (i buchi nella mollica).
  • Un prodotto più digeribile.
  • Durata di conservazione più lunga.
  • Riduzione dei tempi di fermentazione dell’impasto finale.
  • Migliori caratteristiche strutturali e meccaniche (si ottiene una pasta più facile da lavorare).

Gli svantaggi sono:

  • Maggiori difficoltà di preparazione.
  • Tempi più lunghi.
  • Un monitoraggio costante delle temperature.

Processi della produzione

Macinazione del grano

La macinazione con macine di pietra dà luogo ad una farina di qualità in quanto contiene fibre e olio di germe di grano, componenti nobili della farina e del pane. Dopo la macinazione la farina non andrebbe utilizzata prima di 20 giorni per dar tempo ai processi ossidativi utili alla panificazione di consolidarsi.

La qualità della farina dipende però anche dalla varietà del grano, dalla sua maturazione, da molteplici fattori climatici ma soprattutto dal contenuto di proteine semplici, in particolare gliadina e glutenina.

Un’alternativa è rappresentata dalla macinazione in un molino a cilindri, che si esegue mediante macchine denominate laminatoi, al cui interno si trovano dei cilindri contro-rotanti in ghisa, che vanno a lavorare sul grano in modo differenziato, passaggio dopo passaggio. In un molino a cilindri sono presenti laminatoi in numero sufficiente per consentire la completa esecuzione di tutti i passaggi previsti dal diagramma di macinazione, il quale è diverso da molino a molino.

I laminatoi di un mulino non sono tutti uguali; in realtà svolgono funzioni molto diverse. Semplificando, vengono distinte le seguenti fasi:

  • Laminatoi dei passaggi di “rottura”, che si collocano all’inizio del processo ed hanno la funzione di rompere il chicco. All’interno di queste macchine si impiegano cilindri rigati le cui superfici non vanno mai in contatto. Le rotture vengono indicate con la lettera B (dal francese “Broyage”), seguita da un numero progressivo.
  • Laminatoi dei passaggi  di “rimacina”, che si collocano nelle fasi successive del processo, hanno la funzione di rimacinare i prodotti intermedi. Al loro interno impiegano rulli lisci e leggermente bombati, le cui superfici all’occorrenza possono andare in contatto. Le rimacine vengono indicate con la lettera C (dal francese “Convertissage”), seguita da un numero progressivo.

Il grano comincia il suo viaggio all’interno del mulino entrando nel primo laminatoio di rottura, da cui esce sotto forma di un composto in cui sono presenti tutte le frazioni del chicco. Questo prodotto viene caricato con un trasporto ad aria su una macchina, denominata plansichter, che ne classifica le varie componenti rendendo possibile la selezione della farina.

  • Preparazione dell’impasto: l’impasto è quella operazione che permette di amalgamare tutti gli ingredienti, ed alla gliadina ed alla glutenina di interagire. Queste proteine, poste a contatto con l’acqua, formano un complesso proteico detto glutine, struttura portante dell’impasto indicata come forza della farina. Con l’acqua, all’interno della farina, si forma una sorta di reticolo che rende la massa compatta, elastica, capace di trattenere i gas di lievitazione a formare le caratteristiche bolle della mollica. Tale qualità può essere valutata strumentalmente in base a resistenza allo stiramento (P) ed estensibilità dell’impasto (L). Non basta però disporre di una buona farina per avere un pane di qualità: sono essenziali altri fattori quali la temperatura dell’impasto, i suoi tempi di riposo e la fermentazione finale.

L’impasto si esegue con macchine dette impastatrici. La temperatura dell’impasto, una volta ultimato, è ottimale tra 22 gradi C e 26 gradi C. Le stagioni calde e lavorazioni con macchine automatiche richiedono una temperatura più bassa. La temperatura della pasta viene regolata aumentando o diminuendo la temperatura dell’acqua. Nei mesi più caldi si può arrivare a utilizzare il ghiaccio in scaglie per abbassare la temperatura.

L’acqua è uno degli ingredienti fondamentali nella produzione del pane in quanto sono necessari 55 – 65 litri ad una temperatura di 30°-35°C. ogni 100 Kg di farina. Non deve pertanto apportare odori e sapori. L’acqua, con il suo equilibrato contenuto di sali minerali, assorbita dai globi di amido li gonfia assicurando elasticità e allungamento del glutine, conferendo plasticità alla pasta e creando le condizioni necessarie all’attività enzimatica che regola la fermentazione. Così, l’acqua dolce può generare un impasto colloso, che si può evitare aggiungendo una maggiore quantità di sale, mentre l’acqua dura, con elevato contenuto di calcio e magnesio, provoca aumento della rigidità dell’impasto che influenza la panificazione.

Il sale può essere aggiunto, in quantità fra l’1,8 e il 2,2 % del peso della farina, verso la fine dell’impasto. Agisce sulla formazione del glutine, conferisce all’impasto una maggiore compattezza, favorisce una maggiore croccantezza, la ritenzione idrica, l’imbrunimento del pane, conferendo una colorazione più vivace, la durata e stato di conservazione del pane. Esplica azione antisettica nei confronti di muffe e batteri e favorisce un migliore sviluppo di aromi e di sapidità.

Nella preparazione del pane è ammessa l’aggiunta di additivi, quali acido ascorbico (200 mg/Kg) ed emulsionanti (0,2 % sul prodotto finito, ma solo per pani speciali addizionati di grassi). La vitamina C esercita da un lato un’importante azione antiossidante, quindi conservante, mentre dall’altro migliora la panificazione. Nelle farine, infatti, sono presenti degli enzimi in grado di trasformare l’acido ascorbico (vit. C) nella sua forma ossidata (acido deidroascorbico), che va ad ossidare i gruppi tiolici (SH) delle cisteine, formando un ponte disolfuro (S-S più acido ascorbico); questi legami covalenti rendono più saldo il glutine, formando un reticolo proteico più resistente al rigonfiamento. D’altra parte, gli emulsionanti – solitamente si aggiunge lecitina di soia – vengono invece addizionati per favorire la dispersione del grasso nell’impasto.

Lievitazione: come agenti lievitanti per il pane si usa il lievito fresco o secco cioè pressato o quello naturale. Il lievito fresco è una coltura di Saccharomyces cerevisiae capace di idrolizzare l’amido in maltosio e glucosio (degradato poi ad alcol etilico), di produrre anidride carbonica ed altri metaboliti, responsabili del rigonfiamento dell’impasto, della alveolatura della mollica e dell’aroma e sapore del pane (nella preparazione del pane, essendo in condizioni aerobiche, prevale la produzione di CO2, mentre in quella del vino, dove gli stessi microrganismi lavorano in anaerobiosi, prevale quella di etanolo o alcol etilico). Il lievito naturale è costituito da Saccharomyces e vari Lactobacilli: producono acido lattico che rende elastico il glutine e acido acetico che agisce sulla rigidità dell’impasto. Devono pertanto essere in rapporto equilibrato. E’ quindi molto importante stabilire i giusti tempi di lievitazione; se questa è troppo breve, infatti, l’impasto non lievita sufficientemente, mentre quando perdura troppo a lungo, l’eccessiva degradazione dell’amido fa sì che il prodotto assuma una struttura irregolare, caratterizzandosi per una mollica molto lassa. Anche le condizioni di lievitazione devono essere attentamente controllate; in genere, a livello industriale si utilizzano delle celle in cui la temperatura è compresa tra i 23 ed 25°C, con umidità relativa pari all’80-85%.

Il pane così ottenuto è ottimo per la più lunga conservazione, per distruggere i fitati che impedirebbero l’assorbimento di ferro, calcio e zinco, per l’azione prebiotica dell’inulina e dell’oligofruttosio, presenti nelle fibre che determinano un notevole aumento di bifido batteri benefici nel colon.

Per inciso, val la pena precisare che il lievito può essere di diversi tipi e, come accennato, influenza non solo la produzione del pane ma anche le sue caratteristiche organolettiche.

  • Lievito industriale compresso (lievito di birra): è il classico “cubetto di lievito di birra”; consente di preparare l’impasto in modo abbastanza veloce. Dal momento che non dà ai lieviti il tempo necessario per operare una fermentazione spinta (durante la quale si producono anche altre sostanze, come l’aldeide acetica, l’acido succinico ed alcoli a catena lunga, che migliorano l’aroma del prodotto); il pane che si ottiene lievita abbastanza bene ma è poco aromatico;
  • Lievito naturale o di pasta acida: non è altro che il residuo della lavorazione del giorno precedente; nella tradizione, ogni giorno veniva tenuto da parte un pò di impasto per il giorno successivo; l’indomani, a questa madre venivano aggiunti a poco a poco i quantitativi di acqua e farina necessari per preparare il pane. Durante le 24 ore di attesa i microrganismi dell’impasto madre continuano a lavorare, producendo elevate quantità di sostanze aromatiche; di conseguenza, si ottiene un pane più aromatico, con un flavour migliore, ma che necessita di un tempo di panificazione molto lungo (acqua e farina devono essere aggiunte poco alla volta). Per questo motivo l’utilizzo di lievito naturale di pasta acida è ormai relegato a pochi panifici artigianali.
  • Lievitanti chimici: Bicarbonato di Na+ o NH4+ addizionati di sostanze acide (acido tartarico, tartrato acido di K). I lievitanti chimici, in genere contenuti in bustina, sono acidi bicarbossilici (in particolare acido tartarico) addizionati di sostanze basiche, come il bicarbonato di sodio e di potassio. All’interno della bustina tali sostanze non reagiscono, ma lo fanno non appena vengono aggiunte all’impasto, sviluppando una reazione che porta alla produzione di anidride carbonica; questo gas va quindi ad estendere il reticolo glutinico esattamente come fa la CO2 prodotta dal metabolismo dei lieviti. In questo modo la lavorazione del pane diventa particolarmente rapida, dal momento che la reazione è immediata, ma non si formano sostanze aromatiche (per questo i lievitanti chimici vengono generalmente impiegati nella preparazione dei dolci, dove l’aroma è conferito da altri ingredienti).
  • Puntatura

L’impasto viene lasciato riposare. I tempi variano a seconda della ricetta e della forza della farina.

Le forme del pane raddoppiano o triplicano il volume. Il pane viene adagiato su assi in legno o teglie, il tempo varia a seconda della quantità e del tipo di lievito utilizzato. In questa fase avvengono varie reazioni chimiche che, a partire dagli zuccheri, producono alcol e anidride carbonica che viene trattenuta dal glutine. Durante questa fase il pane può essere coperto con dei teli (in lino o plastica) per evitare la formazione di crosta causata dall’evaporazione dell’acqua dalla superficie. Esistono anche delle celle di lievitazione che permettono di regolare e controllare la temperatura e umidità dell’aria.

  • Spezzatura e formatura

In questa fase l’impasto viene diviso in pezzi della forma e del peso desiderato; questa fase viene effettuata a mano o con macchine chiamate spezzatrici o con gruppi automatici che oltre dividere l’impasto creano le forme.

  • Cottura

La cottura è quel processo che attraverso una serie di trasformazioni chimiche, biologiche e fisiche permette di ottenere un prodotto commestibile. La cottura del pane avviene in forni che possono essere principalmente di tre tipi: a camere, rotativi e tunnel.

La temperatura di cottura varia da 180 °C a 275 °C e il tempo da 13 a 60 minuti. Indicativamente per pezzature grandi si utilizza una temperatura più bassa e un tempo maggiore. La pasta assorbe calore dalle pareti (irradiazione), dall’aria (convezione) e dalla piastra di cottura (conduzione). L’acqua presente all’interno evapora in superficie; questa dilatazione provoca un aumento del volume e l’idratazione della superficie permette di non seccare la crosta. Durante tutto il tempo di cottura, la pasta al suo interno non supera mai i 98 °C. Il riscaldamento dell’interno della pasta avviene in modo graduale. Da 30 °C a 40 °C continua la fermentazione dei lieviti e la produzione di zucchero da parte degli enzimi. Da 40 °C a 60 °C avviene la morte dei saccaromiceti e inizia la solidificazione dell’amido. Tra i 60 °C e 80 °C avviene la completa solidificazione dell’amido la cessazione dell’attività enzimatica e la volatilizzazione dell’alcol etilico. Tra i 100 °C e 140 °C in superficie avviene la completa evaporazione dell’acqua che permette la formazione della crosta e la caramellizzazione degli zuccheri che conferiscono alla superficie il colore ambrato.

TRASFORMAZIONI DURANTE LA COTTURA

 

Dopo l’infornatura, la temperatura del pane passa dai valori ambientali a livelli superiori, salendo uniformemente all’interno e all’esterno del prodotto.

30° C Grazie all’intensificazione della fermentazione e alla produzione enzimatica di zuccheri semplici a partire dall’amido, che si ammorbidisce e plasticizza, inizia l’espansione del gas; si nota quindi un aumento dell’impasto;
45°- 50°C Inattivazione e morte dei microrganismi responsabili della lievitazione (saccaromiceti); contemporaneamente, l’acqua evapora, i legami del glutine si irrigidiscono e
50°- 60°C L’amido inizia a solidificarsi e le proteine iniziano a denaturare;
60°- 80°C L’amido è già solido e l’attività degli enzimi si interrompe. L’alcol formatosi evapora ed inizia la caramellizzazione degli zuccheri;
100° C L’impasto diventa rigido, comincia la produzione di vapore acqueo e la formazione della crosta, molto importante perché impedisce all’acqua interna di continuare ad evaporare, mantenendo la morbidezza della mollica;
110°-120°C Formazione di un colore giallo chiaro sulla crosta (dovuto alle destrine);
130°-140°C Formazione di un colore bruno sulla crosta;
140°- 50°C Caramellizzazione degli zuccheri (abbronzamento della crosta) che conferisce al pane il caratteristico odore di cotto (si ha una reazione tra gli zuccheri ed i gruppi amminici delle proteine (chiamata reazione di Maillard o di imbrunimento non enzimatico), da cui originano composti giallo-bruni che conferiscono al prodotto il classico colore del pane cotto).
150°-200°C Formazione di prodotti croccanti aromatici.

Il frumento e il pane si sono inseriti, nella lunghissima storia dell’uomo iniziata circa 5 milioni di anni fa, da soli 10.000 anni circa ma hanno condizionato l’alimentazione, lo stato nutrizionale e la salute dell’uomo. Tra alterne vicende, carestie, pestilenze, abbondanza, questo alimento sembra vivere per motivi legati all’evoluzione del nostro stile di vita e per l’enorme aumento dei soggetti celiaci, un certo declino mentre il pane ottenuto da cereali poveri riesce oggi ad avere una notevole attrattiva, per il venir meno della memoria storica e perché la cultura dell’abbondanza lo ha trasformarlo in una nuova occasione di piacere.

Purtroppo, oggi, il pane non è quello di una volta. Ad esempio, con D.P.R 502 del 1998 sono stati introdotti taluni “miglioramenti” per favorire una lievitazione più veloce, ridurre i tempi di lavorazione, produrre pani di pezzatura più piccola e di minor peso; ci si è allontanati però dal concetto del pane di un tempo. Anche il frumento con cui oggi viene preparato il pane è il risultato di vari incroci iniziati all’inizio del 1900 e, dagli anni ’60, di una modifica intra-specifica prodotta con bombardamenti nucleari per abbassare il gambo, aumentare la resistenza e la produttività. Pertanto il pane è praticamente diverso da quello di un tempo e quello integrale è praticamente scomparso. Inoltre, mentre in pochi decenni si è verificata tale evoluzione, stanno aumentando in maniera drammatica i casi di intolleranza al glutine per i quali non vi è una chiara spiegazione.

[1] Biga Liquida o Poolish o Lievitino: è un pre-impasto preparato con farina, acqua e lievito di birra aggiunto all’impasto vero e proprio per ottenere lievitati soffici, profumati e fragranti. Preparato con del semplice lievito di birra (fresco o secco), il poolish è un’ottima alternativa al lievito madre e può essere utilizzato per tutti i tipi di impasto (pane, pizza, focacce, brioche…)

Redazione amaperbene.it

AMAxBenE è l’acronimo di AliMentAzione per il BenEssere

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio