Dall'olivo ai semiGrassi da condimento

L’EVOO primo nutraceutico

L’olio extravergine di oliva o EVOO (acronimo da Extra Virgin Olive Oil) può essere ritenuto il primo nutraceutico naturale nella storia dell’uomo.  Gli alimenti nutraceutici vengono anche definiti alimenti funzionali, pharma food o farmalimenti.

Un nutraceutico è un “alimento-farmaco” ovvero un alimento che oltre a possedere elevate proprietà nutrizionali espleta una funzione benefica sulla nostra salute.

L’olio extravergine di oliva è perfetto da questo punto di vista perché al potere nutrizionale (condimento/alimento principe della dieta mediterranea), all’alta digeribilità e ipoallergenicità, associa un insieme di proprietà benefiche per la salute del consumatore.

Non tutti gli EVOO tuttavia dovrebbero essere accreditati come “nutraceutici”, ma solo quelli di qualità superiore. E’ bene pertanto ribadire quali devono essere gli elementi prioritari o indispensabili.

Proprietà nutrizionali

L’Olio extravergine di Oliva e l’Olio vergine di Oliva sono gli unici oli alimentari che vengono estratti meccanicamente (spremitura) dalle olive, ovvero i frutti dell’olivo (Olea europaea); tutti gli altri oli sono invece soggetti a raffinazione (olio di oliva) o a estrazione che avviene mediante solventi chimici (olio di semi, olio di sansa ecc.).

L’olio Evo (ExtraVergine di Oliva) di qualità è fruttato, amaro e piccante.

  • Fruttato ovvero deve sapere di oliva! perché ottenuto soltanto dal frutto, l’oliva, mediante l’utilizzo di processi esclusivamente di tipo meccanico. Il fruttato è quindi quell’insieme di sensazioni olfattive percepite per via diretta e/o retro nasale, dipendenti dalla varietà delle olive e comunque caratteristiche dell’olio ottenuto da olive fresche e sane, al giusto grado di maturazione (invaiatura), “verdi” (se le sensazioni olfattive ricordano quelle delle olive verdi, raccolte appena prima o durante l’invaiatura) o “mature” (quando, invece, le sensazioni olfattive ricordano quelle dei frutti maturi, caratteristiche dell’olio ottenuto da olive più mature).
  • Amaro è il sapore elementare caratteristico dell’olio ottenuto da olive verdi o appena invaiate (mature), comunque ricche di composti fenolici.
  • Piccante è quella sensazione tattile pungente caratteristica degli oli prodotti all’inizio della raccolta, prevalentemente da olive verdi o appena invaiate e comunque ricche di componenti antiossidanti chiamati “polifenoli” dotati di diverse proprietà salutistiche, che può essere percepita particolarmente in gola.

Le sostanze fenoliche proteggono l’olio dall’ossidazione (irrancidimento) così come le cellule dell’organismo umano, inducendo tutta una serie di effetti favorevoli sulla salute (Rafehi et al, 2012). Di conseguenza, più un olio extravergine è amaro e piccante, più sarà ricco di sostanze fenoliche, più sarà capace di indurre effetti favorevoli sulla salute dei consumatori.

 

L’extravergine è un olio assolutamente perfetto, senza difetti, con un’acidità libera espressa in acido oleico non superiore a 0.8 g per 100 g (l’olio vergine di oliva invece può arrivare fino al 2 per cento); gli oli che, invece, presentano piccole imperfezioni di gusto, vengono destinati alla raffinazione e miscelati con una percentuale variabile di extra vergine diventando così olio di oliva.

Parametri chimici qualitativi più importanti

L’acidità rappresenta un indicatore fondamentale della qualità della materia prima – le olive – in quanto e si forma in seguito alla degradazione della struttura cellulare del frutto.

Infatti, olive danneggiate o conservate oltre il tempo massimo di 24 ore o in modo non idoneo producono oli con valori di acidità più elevati rispetto a quelli ottenuti da olive sane.

Pertanto   conoscere questo parametro, riscontrabile solo attraverso una specifica analisi chimica, è molto utile per comprendere lo stato di degrado dell’olio in seguito all’azione della lipasi, enzima idrolitico specifico che libera acidi grassi dai trigliceridi, che si trova nell’oliva e che svolge la sua attività all’interno del frutto anche dopo la raccolta, se questo ha subito lesioni cellulari.

Pertanto, in un olio EVO di qualità i valori di acidità (espressi in percentuale di acido oleico per 100 grammi di olio) dovrebbe tendere allo 0, anche se nella norma si attestano intorno allo 0,1-0,3% (inferiori allo 0,8% previsti dalla normativa vigente). Valori superiori indicano che potrebbero esserci stati problemi durante la filiera e sono spesso accompagnati da difetti percepibili sensorialmente con odori e aromi sgradevoli (in particolare: avvinato, riscaldo, muffa) identificabili con il difetto di rancido.

I perossidi si formano per opera dell’ossigeno che è nell’aria e per l’azione catalitica di alcuni specifici enzimi che sono presenti nel frutto (le lipossidasi) in grado di legare l’ossigeno agli acidi grassi che costituiscono i trigliceridi.

L’ossidazione è espressa in milliequivalenti di ossigeno per chilo di olio (meq O2/kg). In base all’attuale normativa, per gli oli vergini commestibili (sia extravergini che vergini) il limite massimo del numero di perossidi è fissato a 20 meq O2 attivo/kg di olio, al di sopra del quale l’olio è classificato come “lampante”. In un extravergine di alta qualità, ottenuto da olive sane e molite entro poche ore dalla raccolta con adeguate tecniche estrattive, tale valore può essere contenuto entro 4/6 meq O attivo/kg. Tanto più basso è questo valore tanto meglio si conserverà il prodotto nel tempo (shelf life) e si ritarderà la possibilità di comparsa del fenomeno di irrancidimento.

Il processo di ossidazione, però, può verificarsi anche nelle fasi di estrazione dell’olio, praticamente fino a quando c’è un contatto tra la frazione lipidica e l’acqua di vegetazione in cui sono presenti gli enzimi sopra citati. Pertanto, oltre alle corrette pratiche agronomiche, sono estremamente importanti anche adeguate tecniche estrattive. In particolare, la fase della gramolatura della pasta delle olive che, nei tempi e nelle temperature di gramolazione, presenta due punti critici che, se non adeguatamente e sapientemente controllati, possono determinare un sensibile aumento del numero di perossidi nell’olio.

Anche in fase di conservazione dell’olio (gestione del prodotto finito) si possono verificare fenomeni di ossidazione chimica senza l’azione degli enzimi di cui sopra. In tal caso, i catalizzatori dell’ossidazione chimica sono la luce, l’ossigeno e la temperatura elevata oltre i limiti ritenuti ottimali per un corretto stoccaggio del prodotto (che si attestano sui 14°-15°C). La semplice presenza di ossigeno nell’olio, infatti, può portare alla formazione di idroperossidi che hanno origine dalla formazione dei radicali liberi. Una volta cominciata, la reazione procede a catena formando altri radicali liberi e altri idroperossidi. Questi ultimi, essendo molto instabili, si decompongono facilmente in sostanze volatili dagli odori sgradevoli (aldeidi e chetoni) e sono responsabili del citato irrancidimento, nonché marcatori del difetto del rancido.

Risulta più che evidente che tutte le operazioni che portano l’olio a contatto con l’aria sono decisamente negative per l’aumento del contenuto di idroperossidi e quindi per la qualità del prodotto stesso.

Un numero di perossidi alto significa che c’è un processo di ossidazione già partito e comunque irreversibile. Un basso numero di perossidi non è comunque direttamente correlato alla qualità del prodotto in quanto si può essere già in presenza della fase secondaria di ossidazione, quella in cui i perossidi si sono decomposti. In tal caso è necessario abbinare l’esame dei perossidi all’esame spettrofotometrico e organolettico.

Durante la conservazione dell’olio, a un iniziale aumento del numero dei perossidi può seguire una progressiva diminuzione dei medesimi. Per avere un quadro più preciso sullo stato ossidativo del prodotto è importante valutare i parametri della spettrofotometria nell’ultravioletto. Questa analisi permette sia di valutare lo stato di ossidazione/invecchiamento dell’olio sia di fornire indicazioni riguardo a processi illegali di raffinazione effettuati e, di conseguenza, a rivelare eventuali frodi e/o contaminazioni. Particolarmente importanti sono i valori dell’assorbimento della luce ultravioletta nelle lunghezze d’onda di 232 e 270 nanometri (nm), indicati come K232, K270 e ΔK.

Quando l’olio invecchia aumentano i prodotti primari e secondari dell’ossidazione.

Il K232 misura l’assorbimento della luce ultravioletta alla lunghezza d’onda di 232 nanometri ed è tipico dei prodotti primari dell’ossidazione (idroperossidi). Pertanto, un aumento del K232 evidenzia un’ossidazione primaria, con formazione di perossidi. Questo parametro aumenta se sono state lavorate olive eccessivamente mature, danneggiate da operazioni poco accorte di raccolta, fortemente attaccate dalla mosca olearia o comunque conservate a lungo prima delle operazioni di estrazione in frantoio. Anche queste ultime, se condotte in modo non adeguato (come ad esempio lunghe gramolature eseguite a temperature superiori a 30°) possono alterare sensibilmente il valore del K232. Per gli oli extravergini la legge prevede un valore massimo di 2,5.

Il K270 misura l’assorbimento della luce ultravioletta alla lunghezza d’onda di 270 nanometri e indica lo stato di ossidazione secondaria con formazione di aldeidi e chetoni. Come precedentemente riportato, questi composti sono strettamente collegati al difetto di “rancido” e, pertanto, costituiscono un indicatore importantissimo dello stato di conservazione dell’olio. La qualità della materia prima e la conduzione delle operazioni estrattive, infatti, non influenzano sensibilmente tale parametro, mentre il valore dello stesso può aumentare durante la conservazione e l’invecchiamento del prodotto. Per gli oli extravergini la legge prevede un valore massimo di 0,22.

Il ΔK misura l’assorbimento alla lunghezza d’onda di 268 nm ed esprime, come il K270, lo stato di ossidazione secondaria non influenzato dalla qualità della materia prima. Per gli oli extravergini la legge prevede un valore di ΔK ≤ 0,01.

Negli oli raffinati i valori di K270 e ΔK sono generalmente molto più alti di quelli riscontrabili negli oli vergini e, pertanto, è possibile sfruttare questi parametri per scoprire frodi ed eventuali contaminazioni.

Altro parametro per valutare la qualità degli oli da olive è rappresentato dagli alchil-esteri (AE), composti organici (esteri etilici o EEAG e metilici o MEAG degli acidi grassi) che si originano dall’esterificazione degli acidi grassi con gli alcoli. Ciò avviene in seguito a fenomeni di fermentazione e degradazione che si sviluppano in olive di scarsa qualità (frutti troppo maturi, danneggiati dalla mosca olearia, conservati troppo a lungo e in cattive condizioni durante le fasi di trasporto e stoccaggio in attesa della lavorazione in frantoio) e che conducono direttamente alla produzione di oli lampanti. Infatti, processi di alterazione delle strutture della drupa, in seguito all’azione di microrganismi ed enzimi, producono alcol etilico e metilico insieme alla liberazione di acidi grassi dai trigliceridi, con conseguente formazione degli alchil-esteri. Un olio extravergine di ottima qualità ha un valore di alchil esteri generalmente inferiore a 10-15 mg/kg, e difficilmente superano i 50 mg/kg.

Quindi, l’elevata presenza di alcol etilico, alcol metilico e acidi grassi negli oli da olive è indice di scarsa qualità della materia prima.

Gli alchil-esteri si trovano in grandi quantità negli oli lampanti piuttosto che negli oli extravergini di oliva. La loro concentrazione non aumenta in modo significativo durante la conservazione dell’olio e non si riescono ad eliminare tramite processi illegali di deodorazione a cui gli oli di scarsa qualità possono essere sottoposti. La deodorazione, infatti, è un trattamento fraudolento che elimina buona parte dei composti volatili, tra cui quelli responsabili dei cattivi odori o dei difetti dell’olio. Durante questo trattamento gli alchil-esteri permangono comunque nell’olio costituendo, pertanto, degli ottimi traccianti per stabilire davvero la qualità originaria del prodotto. L’obiettivo di chi attua la deodorazione è quello di abbassare l’acidità di partenza dell’olio, sicuramente superiore al limite consentito dalla normativa per la categoria commerciale dell’extravergine (i cosiddetti oli lampantini), nonché di nascondere alcuni difetti percepibili sensorialmente come ad esempio l’avvinato, il riscaldo, la muffa per arrivare ad ottenere un prodotto “neutro” dal punto di vista aromatico. Quest’ultimo verrà poi sapientemente miscelato con una certa percentuale di extravergine o vergine di oliva in modo da ottenere un prodotto sufficientemente dotato degli odori caratteristici del fruttato di oliva.

La presenza di un alto contenuto di alchil-esteri in un olio extravergine di oliva assume, pertanto, una duplice valenza: fornisce un parametro di qualità della materia prima (le olive) e dell’olio da queste estratto e mette in evidenza se l’olio viene commercializzato in modo fraudolento come extravergine. Per gli oli extravergini di oliva il Reg. UE 61/2011 ha stabilito un valore in alchil-esteri totale (somma di esteri etilici e metilici) non superiore a 75 mg/kg. Tale parametro è da considerarsi comunque molto alto rispetto ai normali valori di alchil-esteri totali (decisamente molto più bassi) che un olio extravergine di oliva deve possedere. Proprio per questo motivo, su sollecitazione di alcuni paesi europei, si è ritenuto necessario avviare le procedure per abbassare tale soglia fino ai 15-20 mg/kg, valore riscontrabile negli extravergine di qualità. Per la campagna olivicola 2015/16 il C.O.I. (Consiglio Olivicolo Internazionale) ha adottato il limite massimo definitivo di 30 mg/kg per i soli etil-esteri.

Occorre tener infine ben in evidenza che l’olio extra vergine di oliva è un prodotto estremamente delicato, molto sensibile soprattutto alle fonti di calore e di luce. Purtroppo, non sempre la distribuzione del prodotto avviene in condizioni ideali, in alcuni casi per ignoranza, in altri casi per superficialità e una inconsapevole vocazione a banalizzare il prodotto, che è poi lo stesso atteggiamento che continua a esserci anche nelle case della maggior parte dei consumatori italiani, grandi consumatori ma scarsi conoscitori dell’olio.

Se poi la vendita è effettuata al di fuori dei confini nazionali, e in Paesi meno affidabili del nostro sul fronte distributivo, allora i rischi di consegnare al consumatore un prodotto non più conforme a quello uscito dall’azienda, è altamente probabile. Tutti possono darsi dei disciplinari rigidi in partenza ma nessuno può garantirne il mantenimento anche in arrivo, sulle tavole dei consumatori. Importante è inserire il Termine Minimo di Conservazione che rappresenta la data fino alla quale il prodotto si mantiene inalterato a patto che venga conservato nelle condizioni opportune.

La verifica del livello del tenore degli alchil esteri andrebbe fatto non solo alla “partenza” del prodotto dal frantoio o dallo stabilimento produttivo, ma anche e soprattutto quando viene distribuito e consumato.

L’olio ha una vita, per cui va incontro ad invecchiamento naturale che comporta l’acquisizione di qualche piccolo difetto. Per questo può essere declassato dalle commissioni panel test. E per il declassamento basta un’analisi che è soggettiva e irripetibile. Inoltre bisogna precisare che solo in Italia un giudizio negativo di un panel test può dare avvio a un’inchiesta penale; nel resto del mondo il procedimento avviato è di tipo amministrativo. Consideriamo poi che l’alterazione del gusto può essere dovuta, banalmente, a una cattiva conservazione del prodotto. Per questo è necessario fare attenzione a ciò che si dice.

Valutare la qualità di un olio extravergine di oliva soltanto attraverso i parametri previsti dalla normativa (acidità, alchilesteri, numero dei perossidi K270, K232, ecc.) risulta però decisamente riduttivo. Così andrebbe valutato il contenuto in sostanze fenoliche bioattive, cui sono attribuite gran parte delle proprietà salutistiche. Ebbene, il contenuto in sostanze fenoliche bioattive non è riportato in nessuna normativa relativa alla classificazione degli oli extravergini, ma può variare da un minimo di 40 mg/Kg ed un massimo di 900 mg/Kg. Ovviamente, se un extravergine ha 40 mg/kg di sostanze fenoliche bioattive ha scarse proprietà salutistiche rispetto ad oli che ne contengono quantità maggiori. In conclusione, puntare su un prodotto di qualità superiore dall’extravergine comune, sarebbe salutare per le aziende italiane che potrebbero educare il consumatore aumentandone le conoscenze al riguardo.

Altri elementi contribuiscono in maniera sostanziale a determinare in modo oggettivo il livello di qualità di un olio extravergine di oliva, come ad esempio i sentori olfattivi in grado di caratterizzare e di tipizzare in maniera esclusiva le diverse tipologie di extravergini come, ad esempio, le note aromatiche di tipo erbaceo, vegetale e floreale (erba appena tagliata, erbe aromatiche, fiori, pomodoro, carciofo, mela, banana, frutti di bosco, mandorla, pepe e molte altre ancora).

Responsabili dell’aroma, in funzione della concentrazione e del valore di soglia di percezione sensoriale, sono i taluni composti volatili presenti nell’EVOO. Essi hanno importanza per il giudizio organolettico. L’analisi dei composti volatili, oltre a consentire un controllo qualitativo dei componenti responsabili di pregi e difetti percepibili all’olfatto, è utile anche nel controllo anti-frode, poiché permette il riconoscimento di composti estranei e di cui è vietata l’aggiunta nell’olio.

Proprietà salutistiche (funzioni nutraceutiche)

Fin dall’antichità vengono attribuite all’EVOO numerose proprietà salutistiche. Fondamentali gli studi dell’americano Ancel Keys, grazie ai quali sono via via emersi i numerosi effetti benefici della Dieta Mediterranea (Martínez-González et al, 2015) contro le malattie cardiovascolari e le c.d. “malattie del benessere” come obesità, aterosclerosi (Ros et al, 2014), ipertensione, diabete, patologie cronico-degenerative, compreso il cancro; oggi è unanimemente recepito che lo stile mediterraneo e le abitudini alimentari correlate sono tra le più sane del mondo, ottimale per l’alimentazione dell’uomo del III millennio (Lavelli et al, 2006).

L’olio extravergine d’oliva è il condimento con il miglior equilibrio di grassi. È particolarmente ricco di acidi grassi monoinsaturi, che tra le sostanze grasse sono le più attive per la prevenzione dei disturbi cardiovascolari, e povero invece di grassi saturi, responsabili dell’aumento dei livelli di colesterolo nel sangue e direttamente legati a problematiche come l’occlusione delle arterie, l’arteriosclerosi, l’infarto del miocardio. In effetti, l’olio EVOO ha un alto contenuto (tra il 55 e l’83%) in acido oleico, cui vengono attribuite gran parte delle proprietà salutistiche, compresa la capacità di combattere l’invecchiamento precoce (Virruso et al, 2014).

L’acido oleico (18 atomi di carbonio) è un acido grasso monoinsaturo, appartenente alla famiglia degli acidi grassi ω 9. Ha numerose proprietà per l’organismo umano, tra cui:

  • aumenta la secrezione di bile (effetto colecistocinetico del drenaggio della bile), l’apporto di vitamina A, D e E, l’assorbimento delle altre vitamine;
  • inibisce la secrezione acida dello stomaco e l’ipermotilità;
  • mostra un buon livello di digeribilità (84%);
  • facilita l’assorbimento del calcio da parte dell’intestino;
  • stimola l’attività pancreatica;
  • ha effetti antiossidanti;
  • aumenta la quantità di colesterolo HDL (acronimo dell’inglese High Density Lipoprotein), meglio conosciuto come “colesterolo buono”, e riduce la percentuale di colesterolo totale LDL (acronimo dell’inglese Low Density Lipoprotein), meglio conosciuto come “colesterolo cattivo”) (Covas MI et al, 2006); in questo modo, rallenta lo sviluppo della malattia cardiaca, limita i rischi di occlusione delle arterie, la pressione arteriosa, il tasso di zucchero nel sangue, previene o limita l’insorgenza della trombosi, di ictus, i rischi di occlusione delle arterie, di infarto del miocardio (Weinbrenner et al, 2004; de la Torre-Carbot et al, 2010). Un basso livello di ac. oleico nelle piastrine circolanti è un marker della patologia cardiovascolare ischemica.

L’Efsa, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, ha autorizzato l’impiego di prodotti a base di acido oleico con l’indicazione del mantenimento nella normalità dei livelli di colesterolo; l’Autorità europea precisa infatti che “la sostituzione di grassi saturi nella dieta con grassi insaturi come l’acido oleico contribuisce al mantenimento dei normali livelli di colesterolo nel sangue”.

I grassi monoinsaturi, inoltre, rendono l’olio extravergine di oliva particolarmente resistente alle alterazioni. E’ stato anche documentato come l’assunzione di composti fenolici sia associato ad una ridotta formazione di prodotti dell’ossidazione del DNA (Machowetz et al, 2007), meccanismo alla base di molte forme di cancro.

L’effetto antiossidante è stato inoltre verificato in vitro, documentando una ridotta produzione di radicali liberi, ed in vivo con un aumento dell’attività antiossidante plamatica e dell’equilibrio redox del glutatione (Cicerale S et al, 2009, 2010), ma anche di una ridotta produzione di F2-isoprostano, un derivato della perossidazione dell’acido arachidonico.

Grazie alla modesta presenza di acido arachidonico, l’olio d’oliva ha un’azione preventiva nella genesi delle prostaglandine ad azione pro-infiammatoria, laddove grazie al modesto contenuto in acidi grassi polinsaturi omega-6, l’olio d’oliva limita i danni da questi determinati, in particolare, per ciò che concerne l’invecchiamento cellulare.

L’EVOO, se ben conservato, non irrancidisce ma soprattutto sopporta bene la cottura, raggiungendo temperature anche elevate (ad esempio nelle fritture) senza dar luogo alla formazione di sostanze nocive, cosa che invece succede quando si utilizzano oli ricchi di grassi polinsaturi (come la maggior parte degli oli di semi). L’EVOO è il solo condimento che si inserisce nello svezzamento dei lattanti perché contiene grassi polinsaturi essenziali ω6 ed ω3 in corretto rapporto tra loro, analogamente a quanto avviene nel latte materno.

L’olio EVO, così come gli altri oli alimentari, è costituito per la quasi totalità (98-99%) da trigliceridi, e da una c.d. “frazione minoritaria”, così definita solo per via del basso contenuto percentuale (1-2%) nella sostanza grassa ma il cui “valore” è importante.  Di quest’ultima fanno parte agenti come lo squalene, un idrocarburo triterpenico, così chiamato perché isolato per la prima volta dal grasso del fegato degli squali, che si trova nell’olio EVO in concentrazioni superiori a tutti gli altri oli vegetali (nell’olio di germe di grano, nell’olio di palma, nell’olio di amaranto, nell’olio di crusca di riso).

La quantità di squalene varia tra 1 e 10 g per kg di olio a seconda della cultivar di oliva, della sua area di produzione, del grado di maturazione delle olive.  Negli oli raffinati è possibile trovare isomeri e idrossi derivati dello squalene, che possono costituire un “marker” di un possibile processo di rettificazione subito anche dall’olio d’oliva.

Lo squalene ha proprietà antiossidanti ed anti-tumorali; la sua presenza nell’olio d’oliva e nei derivati cosmetici gli permette di penetrare negli strati più profondi della pelle e di riformare il filo idrolipidico, indebolito dai raggi solari e dai detergenti.

Altre sostanze antiossidanti naturali presenti nell’EVOO sono i tocoferoli (vitamina E), che oltre ad esercitare nell’olio la stessa funzione antiossidante dei polifenoli, proteggono le membrane cellulari dall’azione disgregativa dei radicali liberi che si formano nell’organismo umano.

Il contenuto e la composizione dei tocoferoli varia a seconda della cultivar, dello stato di maturazione delle olive e delle condizioni di conservazione dell’olio; è essenziale per valutare la stabilità nel tempo di un olio extra vergine di oliva e le sue caratteristiche nutraceutiche.

Per poter essere efficace nel contrastare l’ossidazione dei grassi, la vitamina E deve essere presente in un rapporto equilibrato con l’acido linoleico, ovvero in una misura superiore a 0.79. Mentre nella maggior parte degli oli di semi tale rapporto varia tra 0,30 e 0,50, nell’olio extravergine di oliva, tale rapporto è pari a 1,87. Questo significa che la vitamina E presente nell’EVOO, non solo è sufficiente a proteggere il grasso dalla formazione di radicali liberi, ma è addirittura in eccesso e “biodisponibile” per svolgere la sua preziosa attività vitaminica. La vitamina E è anche un leggero vasodilatatore, svolge attività antitrombotica e rinforza le pareti dei capillari. Regolarizza la produzione di ormoni sessuali maschili e femminili e li protegge dall’ossidazione. L’apporto di vitamina E nella dieta ha dimostrato di saper incrementare i livelli di colesterolo “buono”. L’olio extravergine di elevata qualità può fregiarsi in etichetta della dicitura “naturalmente ricco di vitamina E”.

Nell’olio EVO di oliva si ritrovano diversi carotenoidi i più abbondanti dei quali sono il beta-carotene e la luteina seguiti da violaxantina e luteoxantina. È noto che i carotenoidi presentano diverse azioni biologiche; infatti alcuni di questi sono provitamine, in particolar modo il beta-carotene, altri (ad es. la luteina) sembrano importanti per una buona funzionalità della macula della retina, ed altri ancora agiscono da composti antiossidanti.

A tal proposito, risulta interessante conoscere i contenuti medi di carotenoidi negli oli extravergini di oliva così come i parametri che ne possono influenzare la variazione.

Il contenuto totale in carotenoidi può variare in un olio extravergine tra 1 e 20 mg/kg di olio. I fattori che possono influenzare maggiormente il contenuto in carotenoidi sono la varietà, il grado di maturazione delle olive così come le condizioni di conservazione dell’olio.

In conclusione, l’EVOO

  • è il più salutare degli oli, possedendo straordinari valori nutrizionali
  • è il più digeribile degli oli vegetali, grazie alla sua composizione di acidi grassi;
  • è più stabile degli altri oli vegetali;
  • è molto resistente all’ossidazione;
  • è anche il più sano per friggere a causa del suo più alto punto di fumo (la temperatura alla quale l’olio inizia a degradarsi generando fumo e liberando sostanze nocive).

Una ricerca, pubblicata sull’American Journal of Clinical Nutrition (Buckland et al, 2012), ha dimostrato che bastano solo due cucchiai di olio d’oliva per ridurre quasi della metà il rischio di morire di malattie cardiache, mentre l’equivalente di un cucchiaio da tavola riduce il rischio di circa il 28%.

OLIVE OIL CAN HALVE RISK OF DYING FROM HEART DISEASE

L’OLIO DI OLIVA può dimezzare il rischio di morire per malattie cardiache.

Lo studio prospettico europeo, che ha avuto inizio poco più di 20 anni fa, è stato condotto su 40.622 uomini e donne tra i 29 ei 69, monitorati per 13 anni per vedere l’effetto che l’olio d’oliva ha avuto sul tasso di mortalità. Durante lo studio sono morte circa 2.000 persone, 956 delle quali per cancro e 416 per malattie cardiache. Queste si trovavano tra quelli che consumavano meno olio d’oliva. Coloro che consumavano 29 grammi o più d’olio al giorno – poco più di due cucchiai da tavola – evidenziavano un 44% in meno di probabilità di morire per problemi cardiaci.

L’EFSA, Autorità europea per la sicurezza alimentare, in merito alla salute cardiovascolare, ha concluso che esiste un rapporto causa – effetto tra il consumo di olio di oliva ricco in biofenoli, standardizzato dal contenuto di idrossitirosolo e oleuropeina (almeno 5 mg per 20 g d’olio d’oliva), e la protezione delle particelle LDL dai danni ossidativi. Questo è stato ben compreso da alcune aziende spagnole. OliveHeart è un prodotto che viene offerto in tutto il mondo confezionato in bottiglie di vetro e pacchetti di dosi individuali per il viaggio. E’ sviluppato da Olive Innovations, fondata da Jeronimo Díaz, e costituita da un gruppo di dirigenti e ricercatori dell’industria dell’olio d’oliva con sede in Spagna e con più di 30 anni di esperienza nel settore, la cui filosofia di mercato è quella di offrire ai clienti qualcosa di completamente nuovo.

Il contenuto ed il profilo delle sostanze fenoliche nell’EVOO è di particolare importanza poiché correlate alla stabilità (proteggono l’olio dall’autossidazione e ne aumentano la sua shelf-life ovvero il tempo per il quale un olio può essere conservato) e alle caratteristiche organolettiche del prodotto; la loro concentrazione può variare da meno di 100 mg a 1500 mg per kg di olio; i più rappresentati sono i secoiridoidi e i lignani (70-95%). Tra i vari composti fenolici, è emerso che l’idrossitiriosolo è dotato di un’elevata attività antiossidante. All’idrossitirosolo è stato attribuito il potere di inibire l’ossidazione delle LDL in vitro (le lipoproteine che trasportano il colesterolo ossidato, appunto detto in gergo popolare “cattivo”), di ridurre il rischio di malattie coronariche, aterosclerotiche e più in generale i processi ossidativi.

L’oleuropeina è il principale polifenolo presente nelle foglie e nei frutti dell’olivo; si ritrova nell’olio di oliva sia nella forma legata a una molecola di glucosio (glicoside), che nella forma non glicata; ed è anche il principale costituente responsabile del sapore amaro delle olive e delle foglie di olivo. Alla oleuropeina sono attribuite numerose proprietà benefiche, da quelle antimicrobiche, fungicide e insetticide contro infezioni e infestazioni, a quelle nei confronti di numerose malattie come neoplasie, patologie cardiovascolari, diabete e malattie neurodegenerative.

L’oleuropeina aglicone è molto attiva nell’inibire l’aggregazione piastrinica nel sangue. Inoltre proprio i secoridoidi mostrano un effetto, anche a basso dosaggio, nella protezione dall’ossidazione delle lipoproteine. Come pure riducono i danni ossidativi a carico degli eritrociti, suggerendo un effetto antitrombotico e preventivo contro l’arteriosclerosi. Se non bastasse l’oleuropeina aglicone, per alcune forme di cancro, riduce la proliferazione delle cellule tumorali.

L’azione antidiabetica dell’oleuropeina è complessa e supportata da numerose sperimentali e cliniche, sancita anche da un brevetto concesso a livello europeo [Use of oleuropein and derivatives in the treatment of type 2 diabetes mellitus and pathologies associated with protein aggregation phenomena – EP 2285388 B1].

Diversi dati scientifici sosterrebbero l’efficacia dell’assunzione giornaliera di dosi adeguate di oleuropeina attraverso l’integrazione con prodotti nutraceutici del normale contenuto della sostanza nell’alimentazione, al fine di prevenire e curare la sindrome metabolica e le patologie correlate, in particolare il diabete mellito di tipo 2, anche in considerazione dell’assenza di effetti collaterali legati all’assunzione di questo polifenolo (Barbaro et al, 2014).

Un derivato dell’oleuropeina aglicone, l’oleocantale [C17H20O5] (deacetossi ligstroside aglicole) o oleocanth (oleo = di oliva; cant = pungente; al = aldeide) una molecola organica naturale isolata dall’olio extra vergine d’oliva.

La sua quantità varia a seconda di molti fattori, come la qualità di olio o l’età delle olive nel momento della pigiatura (si trova in maggiori quantità negli oli di recente produzione). La concentrazione media che si può raggiungere varia dai 22 ai 190 µg per grammo di olio. Va tuttavia precisato che l’oleocantale è presente solamente nell’olio spremuto a freddo.

L’oleocantale è più stabile alla cottura rispetto ad altri fenoli dell’olio extra-vergine di oliva, con una perdita massima di concentrazione del 16%, ma subisce una notevole riduzione dell’attività (fino al 31%) quando riscaldato per un tempo prolungato, indicando una possibile perdita delle proprietà benefiche sulla salute.

L’oleocantale è responsabile della sensazione pungente e acre degli oli extra-vergini di oliva nella faringe e dell’irritazione della gola; l’intensità dell’irritazione è dose-dipendente, ovvero direttamente proporzionale alla concentrazione di oleocantale.

La molecola è stata identificata dai chimici del Chemical Senses Center di Philadelphia, guidati da Gary Beauchamp, principale autore dello studio, il quale ha raccontato di aver avuto per la prima volta il sospetto che l’olio di oliva avesse proprietà antinfiammatorie durante una degustazione d’olio in Sicilia, quando aveva avvertito un leggero pizzicore alla gola. Una sensazione identica a quella che sentiva di solito quando assumeva dell’ibuprofene, un diffuso farmaco anti-infiammatorio non steroideo (FANS o NSAID) (Beauchamp et al, 2005). Da lì, con i suoi collaboratori, cominciò ad analizzare l’olio di oliva fino all’identificazione della sostanza in questione. Secondo la ricerca, 50 grammi di olio extra-vergine di oliva (4 cucchiai) contengono fino a 200 µg per ml di oleocantale, quantitativo assorbito per il 50%-90%; questo corrisponderebbe ad un’assunzione della molecola fino a 9 mg al giorno. Tale dose è relativamente bassa, corrispondendo a circa il 10% del dosaggio di ibuprofene raccomandato per gli adulti per la cessazione del dolore. Si tratta quindi di effetti piuttosto modesti se confrontati con quelli di una singola dose di antinfiammatori; ma è risaputo che basse dosi di aspirina, che rappresenta ad esempio un altro inibitore, regolarmente assunte, conferiscono beneficio all’efficienza cardiovascolare. In effetti, la quantità consigliata per attivare l’azione benefica dell’oleocantale si aggirerebbe intorno ai 5-6 cucchiai al giorno, con relativo elevato apporto calorico (100-110 calorie per cucchiaio); tale quota è nettamente superiore a quella fissata dalle linee guida per una corretta alimentazione, che si attesta sui 3-4 cucchiai.

La struttura chimica dell’oleocantale è in effetti simile a quella dell’ibuprofene, farmaco anti-infiammatorio non steroideo (FANS o NSAID), con il quale condivide il meccanismo di azione e gli effetti.

E’ stato dimostrato che entrambi gli enantiomeri sono anti-infiammatori non-steroidei (NSAID o FANS) e agenti anti-ossidanti; entrambi sono inibitori non selettivi delle COX 1 e 2. Le ciclo-ossigenasi catalizzano una delle prime tappe della conversione dell’acido arachidonico in prostaglandine, potenti mediatrici della risposata infiammatoria.

Come l’ibuprofene, andando a ridurre la produzione di prostaglandine, esercita un effetto analgesico.

Può dare alcuni dei benefici a lungo termine che si ottengono con l’uso ripetuto dell’ibuprofene, come la riduzione delle forme di demenza (per esempio il morbo di Alzheimer), del rischio di infarto (la Food and Drug Administration ha autorizzato campagne che indicano l’olio extra-vergine di oliva capace di ridurre il rischio di disturbi alle coronarie), di ictus nonché di alcuni tipi di tumore (polmonare e mammario).

Non è chiaro se, con una dieta ricca di olio d’oliva, possano insorgere danni renali e digestivi (che sono possibili con un uso a lungo termine dell’ibuprofene).

L’ibuprofene è associato ad una riduzione del rischio di sviluppare alcuni tipi di cancro e ad una riduzione dell’aggregazione delle piastrine nel sangue.

Un derivato dell’oleuropeina aglicone, l’oleocantale, responsabile della sensazione pungente al gusto, espleta attività simili a quelle mostrate dall’assunzione di un farmaco antinfiammatorio non steroideo, come l’ibuprofene. Entrambe le molecole posseggono proprietà analgesiche e antiinfiammatorie, inibendo la sintesi di TNF-a nei monociti, l’attività delle ciclossigenasi 1 e 2 (COX-1, COX-2) in maniera dose-dipendente e superiore all’ibuprofene (Beauchamp GK et al, 2005), ma anche la produzione di NO, importante mediatore nella malattia artrosica, nonché la produzione di prostaglandine (in particolare PGE2), sostanze endogene dotate di una spiccata attività algica e infiammatoria. L’oleuropeina aglicone è molto attiva nell’inibire l’aggregazione piastrinica nel sangue. Inoltre proprio i secoridoidi mostrano un effetto, anche a basso dosaggio, nella protezione dall’ossidazione delle lipoproteine. Come pure riducono i danni ossidativi a carico degli eritrociti, suggerendo un effetto antitrombotico e preventivo contro l’arteriosclerosi. Se non bastasse l’oleuropeina aglicone, per alcune forme di cancro, riduce la proliferazione delle cellule tumorali.

Gli estratti fenolici dell’olio extra vergine di oliva avrebbero anche effetti anti-proliferativi in corso di neoplasie mammarie e prostatiche in parte esercitata attraverso un’azione pro-apoptotica. L’azione antinfiammatoria potrebbe esercitarsi anche attraverso una ridotta espressione di geni (down-regulation) codificanti per molecole pro-infiammatorie (Camargo A et al, 2009).

Strategie di marketing

L’attenzione posta negli ultimi tempi a valorizzare questo prodotto così importante per la Salute (e l’economia del nostro Paese), ha fatto sì che tutti gli altri oli di oliva siano stati erroneamente messi da parte perché ritenuti quasi “non buoni”. Ciò non risponde al vero in quanto l’intera gamma degli oli di oliva ha aspetti salutistici più o meno evidenti e variabili sulla base di diversi fattori.

Forse, come suggerito da Massimo Occhinegro, esperto di marketing, andrebbero ripensate  le strategie di marketing, aderendo ad una nuova logica se si vuole garantire: a) il valore nutrizionale del prodotto, b) al consumatore la possibilità di fare una scelta di prodotto in maniera consapevole, c) valorizzare la migliore produzione italiana, ossia l’eccellenza.

In una nuova educazione al consumo, l’olio vergine d’oliva potrebbe diventare l’equivalente del vino da tavola, mentre l’extra vergine lo si potrebbe innalzare al pari dei migliori vini. Su tale base, ogni olio ha le sue funzionalità.

  • Olio extra vergine di oliva, necessariamente di alta qualità per l’uso a crudo e per la cucina, avendo cura di pensare all’abbinamento con i diversi piatti, in virtù delle caratteristiche precipue di ciascun olio
  • Olio vergine di oliva per l’uso quotidiano in cucina, per le famiglie
  • Olio di oliva per la frittura di qualità
  • Olio di sansa di oliva come concorrente diretto degli oli di semi, ovvero per la frittura.

Discorso a parte meriterebbe lo sfruttamento di tutto ciò che c’è attorno all’oliva: acque di vegetazione, sansa, foglie, per ottenere antiossidanti da impiegare per uso alimentare o salutistico.

Redazione amaperbene.it

AMAxBenE è l’acronimo di AliMentAzione per il BenEssere

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