Dall'olivo ai semiGrassi da condimento

Il frutto dell’olivo ed il prodotto

L’olivo, il cui nome botanico è Olea Europea Sativa, appartenente alla famiglia delle oleacee, è diffuso in un’area compresa tra il 35° e il 45° parallelo nord. Sono oltre 700 le varietà locali esistenti, dette “Cultivar”, in una fascia a clima temperato, perfettamente adatto alle sue esigenze di temperatura. Questo insieme di caratteristiche è splendidamente offerto da tutta la fascia costiera mediterranea, che detiene il quasi completo monopolio della produzione mondiale, nonostante negli ultimi decenni si è osservata l’espansione dell’olivicoltura in Paesi come l’Australia, l’Argentina, la California e la Nuova Zelanda. In questo quadro generale, l’Italia figura tra i maggiori produttori di olio d’oliva di qualità.

La Drupa è il frutto dell’olivo; essa ha una struttura e una composizione costante, anche se tra una varietà all’altra ci sono spiccate differenze per aspetto, dimensioni e caratteristiche. La drupa è formata da un’epidermide, o epicarpo, una parte carnosa, o mesocarpo, che contiene circa il 79% della materia grassa e il nocciolo legnoso, o endocarpo.

La drupa presenta molteplici caratteri morfologici che, purché presi nell’insieme, concorrono a identificare una cultivar. I più evidenti sono i seguenti:

  • peso: le drupe possono pesare da 1 g fino a 20 g; in genere il peso identifica la pezzatura; questo carattere influisce in modo particolare sulla destinazione dell’oliva;
  • rapporto polpa-nocciolo: è un altro carattere fondamentale per la destinazione dell’oliva. La buccia e la polpa sono costituite per il 15-23% da olio (di cui 1 -2% nel seme), da acqua per il 40-55% (a seconda dello stato di maturazione del frutto), e per il 20-40% da altre sostanze, zuccheri, pectine, proteine, ac. organici, tannini, polifenoli, pigmenti e vitamine. Le cultivar da mensa hanno in generale grande pezzatura e seme piccolo perciò hanno elevati valori di questo parametro (almeno 5). Le cultivar poco adatte all’utilizzazione come olive da tavola hanno invece valori piuttosto bassi (inferiore 4);
  • forma: alcune cultivar producono drupe sferiche (comunemente chiamate tonde), altre ovoidali, altre ancora formano drupe allungate. Della forma è importante anche il grado di asimmetria, il profilo dell’apice e della base, la presenza o meno dell’umbone all’apice;
  • colore: le cultivar si sviluppano durante l’estate e iniziano a maturare a fine settembre fino a novembre – gennaio, a seconda del clima e delle cultivar; a seconda della fase di maturazione varia il colore.

Durante la crescita il colore cambia (“invaiatura”) dal verde al giallo fino al viola e al nero violaceo, a seconda delle cultivar, e, contemporaneamente, nella polpa diminuisce il contenuto in acqua, zucchero e acidi con l’aumento di quello in olio: questa è la maturazione o “inoliazione”.

Alla fine della maturazione l’oliva risulta così composta:

Acqua 50% Cellulosa 6%
Olio 20-24% Proteine 1,5%
Carboidrati 20% Ceneri 1,5%

L’olio extravergine di oliva è fortemente influenzato dalla cultivar (vedi in seguito).

La richiesta di oli con caratteristiche organolettiche, nutrizionali e commerciali ben definite, ha recentemente rivalutato la funzione delle cultivar come elemento che concorre alla qualificazione delle nostre produzioni olivicole. In particolare, la cultivar ha un ruolo molto importante sulle caratteristiche dei frutti (dimensioni, rapporto polpa/nocciolo, maturazione), sul processo di inolazione e sui componenti principali e secondari dell’olio di oliva in modo più determinante delle stesse condizioni ambientali. Anche le sostanze presenti sono abbastanza differenti fra le varie cultivar.

Tempo di raccolta delle olive

Per ottenere di un extravergine di alta qualità occorre rispettare un severo capitolato, a cominciare dal tempo e dal metodo di raccolta delle olive, di stoccaggio dei frutti insieme al grado di maturazione e allo stato sanitario delle olive (frutto sano ovvero non colpito da funghi o da insetti tipo mosca olearia), tutti fattori che influenzano maggiormente la qualità organolettica e nutrizionale dell’olio extravergine d’oliva.

In primo luogo occorre scegliere il momento migliore per la raccolta che si ha quando l’invaiatura (cambiamento di colore del frutto che muta dal verde al violaceo ed infine diventa nero) è al 50-60%. Infatti in questo momento si ha la maggior concentrazione quantitativa di olio e di sostanze fenoliche responsabili delle qualità organolettiche e nutrizionali dell’olio.

Lo stoccaggio deve essere fatto in contenitori forati in modo da garantire la giusta areazione dei frutti per evitare principi di fermentazione che altererebbero il prodotto finale. Ci sono ancora produttori convinti che le olive raccolte a piena maturazione (invaiatura del 100%, quindi olive nere) hanno una resa maggiore in olio, una convinzione che apparentemente sembra appagare, ma in realtà ciò è dovuto solo ad una progressiva perdita d’acqua da parte della polpa interna all’oliva. La raccolta quindi deve essere eseguita nel momento in cui si è raggiunto il massimo sviluppo delle olive ed una buona maturazione o “inoliazione” (processo di arricchimento in olio di un’oliva che avviene durante la progressiva maturazione) in questa fase, nella polpa diminuisce il contenuto in acqua, zucchero e acidi e aumenta quello in olio. L’inoliazione della drupa inizia già in agosto e termina in novembre (riferimento medio per l’Italia).

Fasi di maturazione delle olive (invaiatura)

Quando il processo di inoliazione si è completato, la quantità di olio non aumenta nel frutto con la maturazione totale; inizia invece un processo di graduale aumento dell’acidità oleica direttamente correlato alla maturazione delle olive con conseguente perdita di molte caratteristiche organolettiche.

Durante la fase di maturazione si assiste, in particolare per alcune cultivar, ad una colorazione progressiva delle olive (invaiatura) che inizialmente interessa la buccia (epidermide) per poi diffondersi, con il passare del tempo, nella parte più interna dei frutti (polpa). Pertanto, il comportamento sulla variazione di colore dell’epidermide, e più ancora della polpa, dipende molto dalle condizioni climatiche e dalle catteristiche del terreno, oltre che dal tipo di cultivar.

Un esempio delle diverse fasi di maturazione è riportato nella figura:

  • Fase A -> 100% olive verdi
  • Fase B -> 20% olive invaiate
  • Fase C -> 40% olive invaiate
  • Fase D -> 50% – 60% olive invaiate
  • Fase E -> 80% olive invaiate dal colore nero o marrone scuro
  • Fase F -> 100% olive invaiate dal colore nero

Un buon compromesso quantità/qualità olio si ottiene allorquando almeno l’80% delle olive presenti sull’albero ha l’epidermide quasi totalmente colorata non oltre la Fase E (vedi figura). Infatti in questo stadio la qualità dell’olio si può ritenere al massimo livello, ovvero ricco di costituenti lipidici, fenolici e volatili. Da sottolineare che non con tutti i cultivar si assiste a un’omogenea invaiatura, ovvero non tutte le olive maturano allo stesso tempo, per cui i produttori che intendono mantenere alta la qualità sono costretti a procedere con la raccolta manuale e selettiva delle olive. Ovviamente questa scelta comporterà inevitabilmente un costo più elevato del prodotto finale.

E’ ampiamente dimostrato che più la raccolta è tardiva, più difficile è ottenere un prodotto qualitativamente elevato. Con raccolti tardivi, si ottiene un olio con intensità aromatiche molto ridotte, minore contenuto di sostanze fenoliche, maggiore acidità libera per eventuali attacchi di insetti e/o di crittogame, presenza di difetti organolettici, ecc. Inoltre, nelle zone olivicole più fredde, aumentano i rischi dei danni dovuti alle gelate notturne; il congelamento delle olive infatti comporta gravi conseguenze per la qualità dell’olio.

Metodi di raccolta delle olive

Il periodo di raccolta delle olive è molto variabile, a seconda della varietà, tra ottobre-novembre, se di varietà precoce fino a dicembre-gennaio, se più tardive; in linea di massima in Italia si va da metà ottobre a tutto dicembre, ed è influenzato da tanti fattori, come le condizioni climatiche stagionali (temperatura, piovosità, altitudine, terreno), la tecnica colturale adottata (potatura, concimazione, irrigazione).

Come accennato, durante la maturazione dell’oliva si ha un graduale aumento della percentuale di olio ed una progressiva diminuzione di quella acquosa. E’ quindi importante che la raccolta avvenga al momento opportuno e con i metodi più idonei. Tra questi:

  • la raccattatura
    • caduta spontanea
    • pettinatura
    • scrollatura delle olive
    • abbacchiatura
  • la brucatura a mano
  • la raccolta meccanica, che viene fatta con macchine che scuotendo il tronco fanno cadere le olive su delle reti di plastica, che poi vengono raccolte con speciali aspiratori.

I metodi più utilizzati per la raccolta delle olive sono la pettinatura e la scrollatura.

Caduta spontanea

Si tratta di un metodo di raccolta economicamente vantaggioso, in quanto è sufficiente aspettare che la natura faccia il suo corso e le olive cadano spontaneamente nelle reti stese sul terreno. Occorre però tener presente che le olive si staccano dall’albero quando sono eccessivamente mature e ciò determina un decadimento delle qualità organolettiche e nutrizionali dell’olio (incremento dell’acidità libera), a causa del distacco degli acidi grassi dal glicerolo e conseguente aumento dell’acidità libera.

Pertanto, considerando che un olio è tanto più pregiato quanto minore è la sua acidità, la raccattatura per caduta spontanea non sempre è consigliabile.

E’ sconsigliabile l’impiego di sostanze cascolanti, come acido formico, anidride maleica, acido linoleico e acido ascorbico, in quanto se da una favorisce la caduta spontanea delle olive quando non sono ancora giunte a completa maturazione, dall’altra va a contaminare le drupe e, di conseguenza, l’olio che da esse si ricava.

Pettinatura

Si usano una sorta di pettini, dei grossi rastrelli per i rami degli alberi, in modo da staccare le drupe preservando la struttura arborea, mentre sotto gli alberi sono posizionati dei teli per facilitare la raccolta delle olive cadute.

Scrollatura

Si utilizzano dei bracci meccanici che avvolgono il fusto o i grossi rami dell’olivo e li percuotono in modo blando, favorendo la caduta spontanea delle drupe. Anche questa tecnica non incide troppo sulla struttura dell’albero, che subisce comunque uno stress importante. Non mancano gli svantaggi che in molti casi vengono comunque compensati dal notevole risparmio nei costi di manodopera (alcune macchine sono dotate di ombrelli che raccolgono le olive cadute a mezz’aria, attenuando i danni causati dall’impatto con il terreno e velocizzando le procedure di trasferimento al frantoio).

In alternativa si possono impiegare dei piccoli scuotitori portati a spalla dagli operatori, che provocano vibrazioni più dolci e meno energetiche rispetto ai grossi scuotitori meccanici.

Potenti aspiratori convogliano le olive su appositi carri di raccolta.

Abbacchiatura

Metodo molto utilizzato in passato, consiste nel percuotere i rami degli alberi con delle grosse pertiche; lo svantaggio è che così facendo si vanno a lesionare i ramoscelli più giovani, a cui sarà affidata la fruttificazione nell’anno successivo, danneggiando la produttività dell’uliveto. Le olive più mature, inoltre, possono rompersi per l’impatto con la pertica o con il terreno.

Brucatura a mano

E’ un metodo di raccolta ottimo perché, raccogliendo le olive a mano, si può effettuare una cernita delle migliori e preservarne l’integrità. Si tratta, ovviamente, di una tecnica praticabile solo da piccoli olivicultori, che operano a livello familiare, ottenendo prodotti di qualità superiore.

Tra la raccolta delle olive e la conseguente pressatura deve intercorrere il minor tempo possibile, per impedire la degradazione enzimatica dei trigliceridi (che, come accennato, porterebbe ad un aumento dell’acidità libera e ad una maggiore tendenza all’irrancidimento); in ogni caso non bisogna superare le 24 ore dal raccolto. Se si supera tale tempo, occorre assicurare una conservazione ottimale delle olive.

Generalmente vengono messe in magazzini asciutti e ben areati e disposte su graticci sovrapposti, ma in spessori molto piccoli, in modo che i frutti non si schiacciano tra loro.

I traumi subiti dalle olive vanno infatti a ripercuotersi sulle loro cellule, determinando la fuoriuscita dell’olio contenuto nei vacuoli, con conseguente degradazione enzimatica; il risultato è uno scadimento qualitativo del prodotto ed una perdita economica importante.

Dopo la raccolta le olive vengono portate al frantoio per essere lavorate; le fasi per l’estrazione dell’olio sono:

  1. lavaggio con acqua e pulitura delle olive per allontanare le materie estranee;
  2. frangitura, consistente nella frantumazione delle olive con la molazza per ottenere la pasta di olive;
  3. gramolatura o rimescolamento delle olive frantumate;
  4. estrazione dell’olio: consiste nel separare la pasta di olive in olio, sansa e acqua di vegetazione.

Ancora oggi, per ottenere un olio d’oliva di qualità si deve procedere ad una premitura a freddo delle olive, pur con innovazioni tecnologiche.

Estrazione dell’olio

Sistema tradizionale a macine (detto anche a freddo)

Rappresenta il sistema classico di estrazione dell’olio mediante l’utilizzazione di macine o mole per la frantumazione delle olive così da ottenere una pasta in cui la polpa è triturata finemente, mentre i noccioli vengono rotti solo grossolanamente.

L’impianto detto anche molazza è costituito da un piatto di granito sul quale ruotano due o quattro ruote, anche esse di granito, mosse da un albero centrale azionato da un motore elettrico (una volta la forza motrice era fornita da asini o muli). La macinazione delle olive eseguita con la molazza determina un ottimo mescolamento della pasta favorendo l’aggregazione delle particelle di olio mosto in gocce sempre più grandi fino a favorirne l’affioramento.

L’estrazione avviene poi mediante spremitura per pressione: la pasta di molitura viene posta fra dischi filtranti forati al centro detti fescole (di materiale sintetico, ma fino a pochi anni or sono ancora di canapa o fibra di cocco) intervallati da diaframmi della stessa forma in ferro che una volta impilati sono posti sotto un torchio. Oggi si utilizzano presse idrauliche, che assolvono alla stessa funzione dei torchi a vite o a leva dell’antichità e consentono di separare la parte solida, detta sansa (circa 40%), da quella liquida, che rappresenta circa il 60% della massa sottoposta a spremitura.

Per separare l’olio dall’acqua di vegetazione, si usa una centrifuga, che sfruttando il diverso peso specifico dei liquidi sottoposti ad un alto numero di giri, riesce a separarli in brevissimo tempo.

Metodo a ciclo continuo

Questa tecnica si differenzia dalla precedente poiché sostituisce alla molazza due macchine, la prima detta frangitore (che può essere a dischi o a martelli), che ha il compito di frantumare in modo grossolano le olive mediante un solo passaggio, e una seconda detta gramola che posta in successione alla precedente rimescola e omogeneizza la pasta. Anche la pressa idraulica con le fescole viene sostituita da un decanter che ha lo stesso compito, ma per ottenere l’estrazione lavora con il principio della vite senza fine che agendo all’interno di un cilindro forato consente la fuoriuscita dei liquidi da un lato e della parte semisolida dall’altro. A chiudere il ciclo rimane la centrifuga che interviene esattamente come nel caso precedente.

Il processo è definito a ciclo continuo perché le macchine, lavorando in successione, consentono di non dover fare interventi durante le lavorazioni: da una parte si caricano le olive, dall’altra esce direttamente l’olio e i prodotti di scarto.

La resa in olio di un quintale di olive si aggira sul 18-20%, cioè servono circa 5-6 kg di olive per produrre un litro di olio. Se le olive vengono raccolte prima del raggiungimento dell’invaiatura al 50% (tra Fase A e C), metodo utilizzato per produrre extravergini dal colore e fragranze più accentuate, oppure perché si è scelto di anticipare il raccolto per evitare danni provocate ad esempio dalla mosca olearia, la resa in olio delle olive risulterà minore e questo comporta inevitabilmente un aumento del prezzo dell’olio.

L’olio d’oliva: classificazione, caratteristiche, composizione, controlli di qualità

L’Olio d’oliva rappresenta un componente essenziale e il cardine dello stile alimentare mediterraneo.

Il più pregiato, e di conseguenza il più salutare, è l’olio extravergine d’oliva, ottenuto per semplice spremitura meccanica a freddo delle olive (non per estrazione con solventi, come gli oli di semi), senza altri trattamenti diversi da lavaggio, decantazione, filtrazione (non troppo spinta) e maturazione e senza nessuna aggiunta di additivi chimici. La sua acidità (contenuto di acidi grassi liberi) deve essere <1%. Inoltre, deve essere chiaramente specificata la provenienza italiana per l’olio d’oliva extravergine del nostro paese e per gli altri oli, sia italiani che esteri. Purtroppo, dato l’alto valore aggiunto di questo prodotto, si tentano diverse frodi a danno dei consumatori utilizzando oli d’oliva di seconda scelta, sia italiano che estero, o persino olio di semi che vengono miscelati o spacciati per oli extravergini. Inoltre, spesso non viene ancora precisata e garantita la provenienza dell’olio per poter almeno scegliere con sicurezza in base alla sua provenienza, se non si vuole consumare solo olio italiano.

Il termine olio d’oliva è abbastanza generico, e comprende una gamma di prodotti diversi per qualità e caratteristiche. Al riguardo, i consumatori sull’argomento sono poco informati.

A seguito dell’emanazione del Reg. CEE 2568/91, relativo alle caratteristiche degli oli d’oliva e degli oli di sansa di oliva nonché ai metodi ad essi attinenti, l’olio d’oliva viene classificato con riferimento alle sue caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche (panel test). Con il Reg. CE 1531/2001 del Consiglio del 23 luglio 2001 (che modifica il regolamento n. 136/66/CEE e il regolamento (CE) n. 1638/98, in ordine alla proroga del regime di aiuto e alla strategia della qualità dell’olio di oliva) e successivo Reg. CEE 356/92 sono state fissate le denominazioni e definizioni degli oli d’oliva e degli oli di sansa d’oliva in vigore dal 1° novembre 2003 come di seguito riportato.

Il REGOLAMENTO DELEGATO (UE) 2015/1830 della Commissione dell’8 luglio 2015 ha modificato il regolamento CEE n. 2568/91 relativo alle caratteristiche degli oli da olive e degli oli di sansa di olive, nonché ai metodi di analisi ad essi attinenti).

Classificazione degli oli di oliva

La comunità europea stabilisce una rigida classificazione degli oli di oliva, permettendone l’attribuzione di un diverso valore economico alle diverse categorie merceologiche. Il regolamento CEE n. 136/66 e successive modifiche (l’ultima con regolamento CEE n. 1513/2001) all’articolo 35 definisce le seguenti categorie merceologiche:

  1. OLI DI OLIVA VERGINI

Gli oli ottenuti dal frutto dell’olivo soltanto mediante processi meccanici o altri processi fisici, in condizioni che non causano alterazione dell’olio, e che non hanno subito alcun trattamento diverso dal lavaggio, dalla decantazione, dalla centrifugazione e dalla filtrazione, esclusi gli oli ottenuti mediante solvente o con coadiuvanti ad azione chimica o biochimica o con processi di riesterificazione e qualsiasi miscela con oli di altra natura. Detti oli di oliva vergini sono oggetto della classificazione e delle denominazioni seguenti:

  1. a) Olio extra vergine di oliva: olio di oliva vergine la cui acidità libera, espressa in acido oleico, è al massimo di 0,8 g per 100 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria;
  2. b) Olio di oliva vergine: olio di oliva vergine la cui acidità libera, espressa in acido oleico, è al massimo di 2 g per 100 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria;
  3. c) Olio di oliva lampante: olio di oliva vergine la cui acidità libera, espressa in acido oleico, è superiore a 2 g per 100 g e/o avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria.
  4. OLIO DI OLIVA RAFFINATO

Olio di oliva ottenuto dalla raffinazione dell’olio di oliva vergine, con un tenore di acidità libera, espresso in acido oleico, non superiore a 0,3 g per 100 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria.

  1. OLIO DI OLIVA – COMPOSTO DI OLI DI OLIVA RAFFINATI E OLI DI OLIVA VERGINI

Olio di oliva ottenuto dal taglio di olio di oliva raffinato con olio di oliva vergine diverso dall’olio lampante, con un tenore di acidità libera, espresso in acido oleico, non superiore a 1 g per 100 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria.

  1. OLIO DI SANSA DI OLIVA GREGGIO

Olio ottenuto dalla sansa d’oliva mediante trattamento con solventi o mediante processi fisici, oppure olio corrispondente all’olio di oliva lampante, fatte salve talune specifiche caratteristiche, escluso l’olio ottenuto attraverso la riesterificazione e le miscele con oli di altra natura, e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria.

  1. OLIO DI SANSA DI OLIVA RAFFINATO

Olio ottenuto dalla raffinazione dell’olio di sansa di oliva greggio, con un tenore di acidità libera, espresso in acido oleico, non superiore a 0,3 g per 100 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria.

  1. OLIO DI SANSA DI OLIVA

Olio ottenuto dal taglio di olio di sansa di oliva raffinato e di olio di oliva vergine diverso dall’olio lampante, con un tenore di acidità libera, espresso in acido oleico, non superiore a 1 g per 100 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria.

In conclusione, l’olio extravergine è il prodotto migliore del mercato degli oli d’oliva in quanto

  • è ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici
  • soddisfa, alle analisi chimico-fisiche, una lunga serie di parametri richiesti dalla legge (Regolamenti CE 2568/91, 1989/03, 640/08) tra i quali l’acidità (acidi grassi liberi), che deve essere inferiore allo 0,8%, ed il valore dei metil esteri degli acidi grassi (MEAG) e degli etil esteri degli acidi grassi (EEAG) che deve essere inferiore a 75 mg/kg;
  • all’esame organolettico (effettuato da un gruppo di assaggiatori selezionati, riuniti in un Panel Test) non presenta difetti e ha presenza di fruttato. Il fruttato dell’olio è quell’insieme di sensazioni olfattive e gustative (flavor) che ricorda l’odore ed il gusto del frutto sano, fresco e colto al punto ottimale di maturazione.

Il Regolamento UE n. 61/2011 della Commissione del 24 gennaio 2011 ha modificato il regolamento CEE n. 2568/91 introducendo un nuovo parametro, che prima non esisteva: il valore degli alchil esteri, ossia dei metil esteri degli acidi grassi (MEAG) e degli etil esteri degli acidi grassi (EEAG), indici, soprattutto questi ultimi, di fermentazione delle olive e di conseguente compromissione dell’olio che se ne ottiene. Il valore introdotto è MEAG + EEAG ≤ 150 mg/kg.

Gli alchil esteri, etil esteri o metil esteri degli acidi grassi, si formano nell’olio di oliva a causa della combinazione tra acidi grassi liberi e rispettivamente alcol etilico e metilico. I composti che danno origine agli alchil esteri prendono origine principalmente da errate pratiche agronomiche e tecnologiche, in particolare da fenomeni fermentativi e degradativi delle olive troppo mature, danneggiate o conservate in condizioni non ideali prima di essere lavorate. Questi processi portano alla produzione di metanolo ed etanolo che, a loro volta, per reazione di trans esterificazione, possono combinarsi con gli acidi grassi per formare gli alchil esteri. Questi ultimi, è bene ricordare, sono comunque sostanze chimiche liposolubili naturali, assolutamente non pericolose per la salute umana, ma che possono costituire un prezioso indicatore della qualità dell’olio.  L’etanolo viene prodotto principalmente dal metabolismo aerobico dei microorganismi presenti in olive di cattiva qualità, mentre il metanolo, dall’attività dall’enzima metilesterasi che agisce sulle pectine. La presenza di grandi quantità di questi composti all’interno dell’olio di oliva è un sintomo della bassa qualità del prodotto stesso. E’ stato infatti rilevato da alcuni ricercatori che oli extra vergini di elevata qualità non contengono praticamente alchil esteri, al contrario degli oli ottenuti da olive che hanno subito processi fermentativi (es., per cattivo stoccaggio della materia prima), che spesso mostrano anche difetti organolettici quali “riscaldo/morchia”, “avvinato” e anche “muffa”.  La presenza, nell’olio, di alchil esteri al di sopra dei limiti rivela dunque lo stato di degradazione delle olive di partenza ed il loro contenuto non aumenta durante la conservazione se non minimamente e a carico soprattutto dei metil esteri. Il limite fissato dal Reg. N. 61/2011/UE per la categoria “olio extra vergine di oliva” è stato di 75 mg/kg, oppure compreso tra 75 e 150 mg/kg se il rapporto tra esteri etilici e metilici non supera il valore di 1,5.

Le polemiche sul Regolamento Comunitario 61/2011 che, a dire di alcuni, renderebbe legale l’utilizzo di oli deodorati, vanno confutate. Infatti, la legge stabilisce che per essere classificato come extravergine, un olio deve possedere contemporaneamente precise caratteristiche chimiche e precise caratteristiche organolettiche e rispondere a ben 28 parametri. Sia l’olio extravergine d’oliva (acidità <0,8%) che l’olio vergine d’oliva (acidità <2%) devono essere ottenuti solo per spremitura meccanica, a freddo per non alterare le componenti chimiche che gli danno il suo aroma caratteristico. Tuttavia, non tutte le spremute di olive hanno le caratteristiche per poter essere classificate come extravergine. Per ottenere un extravergine bisogna infatti partire da olive sane, raccoglierle al giusto livello di maturazione e spremerle correttamente nel più breve tempo possibile dopo la raccolta. Se anche uno solo di questi elementi venisse meno, la spremuta di olive avrà delle caratteristiche chimiche che risentiranno di questi errori e soprattutto avrà un odore ed un sapore sgradevole. Le spremute di olive che non possiedono le caratteristiche per essere classificate come extravergine vengono classificate come “olio di oliva vergine” e nei casi peggiori come “olio di oliva lampante”, non commestibile.

Il lampante, in particolare, non ha il sapore tipico fruttato di un olio d’oliva extravergine, trattandosi di una spremuta di olive così scadente e che possiede sapore ed odore così sgradevole che non ne è consentito l’utilizzo e la vendita al consumatore finale, ma è necessario che sia trattato industrialmente al fine di riportare i valori analitici entro limiti previsti dalla legge ed eliminare gli odori e sapori difettosi. Si chiama così perché veniva impiegato come combustibile nelle lampade per l’illuminazione domestica. Il procedimento a cui viene sottoposto l’olio lampante prende il nome di raffinazione ed il prodotto che ne deriva viene denominato “olio di oliva rettificato”. Anche l’olio di oliva rettificato non può essere venduto al consumatore finale ma deve essere miscelato con una percentuale variabile di olio extravergine di oliva o di olio vergine di oliva, per diventare quello che alla fine si trova in commercio con il nome di “olio di oliva”. Ricapitolando avremo gli oli di pressione (le “spremute” di oliva) che in ordine decrescente di qualità si chiamano “olio extravergine”, “olio vergine” ed “olio lampante” e gli oli di raffinazione ovvero l’olio rettificato che unito ad un olio di pressione diventerà “olio di oliva”. Sin qui abbiamo visto le diverse tipologie di oli previste dalla legge, passiamo ora ai deodorati. Un olio deodorato è un olio lampante che viene sottoposto ad una raffinazione blanda che non ne altera tutti i parametri chimici (come avviene per il rettificato) ma si limita ad abbassarne l’acidità ed a eliminare quasi tutti gli odori ed i sapori sgradevoli e difettosi. Nessuno vieterebbe di vendere questo prodotto come olio di oliva rettificato, ma operatori disonesti preferiscono venderlo illegalmente come olio extravergine in quanto il prezzo di quest’ultimo è decisamente più remunerativo. Gli oli deodorati esistono in realtà da almeno un decennio e, sino a qualche anno fa la loro presenza veniva rilevata grazie ad analisi che ricercavano quei parametri chimici che vengono modificati dalle alte temperature raggiunte durante il processo di raffinazione. Tali analisi sono state però rese inefficaci dalla invenzione di un processo di raffinazione a basse temperature che non lascia più tali tracce. Per fortuna, ad invenzioni dannose per un intero settore, corrispondono altrettanti progressi della ricerca, e così la svolta si è avuta quando è stato individuato un nuovo metodo (detto degli alchil esteri) che ricerca tracce dei processi fermentativi avvenuti nelle olive mal conservate prima della molitura e, che allo stato attuale, non si riescono ad eliminare o nascondere. In realtà, è bene precisarlo, tale analisi non è prova certa di presenza di oli deodorati ma solo di avvenuta fermentazione delle olive dovuta principalmente ad una cattiva conservazione delle stesse prima della molitura. Qualora pertanto ci si trovasse in presenza di oli con valori elevati di alchil esteri e contemporaneamente bassi valori di acidità ed assenza di difetti organolettici si potrebbe sospettare una avvenuta deodorazione. Un olio extravergine di ottima qualità ha un valore di alchil esteri generalmente inferiore a 10-15 mg/kg, e difficilmente superano i 50 mg/kg.

La nuova norma comunitaria stabilisce invece che un olio può essere classificato come extravergine se ha un valore di alchil esteri inferiore a 75 mg/kg (ma è ammesso un superamento di tale soglia ed il raggiungimento di un valore pari a 150 mg/kg a condizione che il rapporto esteri etilici/esteri metilici sia inferiore a 1,5 cosa invero assai improbabile in caso di valori così alti). Tale valore non è sufficientemente basso da garantire che nessun operatore disonesto possa spacciare deodorato per extravergine ed al contempo sufficientemente alto da tutelare produttori onesti che potrebbero correre il rischio di essere accusati di utilizzare olio deodorato in quanto il valore di alchilesteri nel loro prodotto, originariamente abbondantemente entro i limiti previsti, possa nel tempo crescere sino a superare tale limite.

Di qui la polemica. Considerato il fatto che i valori di alchil esteri tendono ad aumentare progressivamente con il passare del tempo anche in oli genuini (soprattutto se non filtrati), e visto che non esistono sufficienti dati storico/statistici che indichino la misura di tale aumento, il valore prescelto dovrebbe essere da un lato sufficiente a scoraggiare operatori disonesti e dall’altro abbastanza alto da tutelare tutti coloro che producono, imbottigliano e vendono olio extravergine genuino. Non sarà mai superfluo invitare gli Enti preposti ad una continua vigilanza da abbinare ad una quotidiana opera di controllo e repressione di qualsiasi frode e sofisticazione, e soprattutto alla creazione di una cultura di prodotto (vero punto debole dell’olio extravergine, prodotto praticamente sconosciuto ai più) che renderebbe ogni consumatore più abile ed efficace di qualsiasi strumento di analisi nel riconoscere la presenza di oli deodorati o di qualità scadente e nel premiare invece chi crede nel valore dell’onestà e produce oli extravergini genuini e di ottima qualità.

La deodorazione è un trattamento di tipo fisico (non chimico), comunque fraudolento, che, usando basse pressioni e alte temperature, elimina i cattivi odori dell’olio al fine di nascondere, almeno temporalmente, all’analisi sensoriale, il difetto del riscaldamento. Questo difetto viene però rivelato con l’analisi degli alchil esteri. È tuttavia auspicabile che con il tempo i valori degli alchil esteri vengano ridotti, com’è avvenuto per altri parametri.

Redazione amaperbene.it

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