Pesce, crostacei e molluschi

A proposito di Pesce Azzurro

Vengono generalmente definite pesci azzurri alcune specie di pesci caratterizzati da colorazione dorsale tendente spesso al blu, in qualche caso verde e da colorazione ventrale argentea.

La denominazione di “pesce azzurro” non si riferisce pertanto ad un gruppo scientificamente definito di specie ittiche, ma è utilizzata commercialmente e in campo culinario per indicare alcune varietà di pesci, generalmente di piccola pezzatura, senza squame, di varia forma e sfumature di colorazione, il cui costo è generalmente ridotto per la grande quantità di pescato.

Biologicamente parlando, il pesce azzurro appartiene a specie a vita pelagica, con carni grasse e spesso ricche di oli. Anche se i piatti preparati con tali specie di pesce vengono spesso fatti rientrare nella c.d. “cucina povera”, il pesce azzurro è molto apprezzato non solo in cucina per le qualità organolettiche e salutistiche degne di nota.

Numerose le proprietà del pesce azzurro:

  • Fonte di proteine: il pesce azzurro è una fonte eccellente di proteine ad alto valore biologico, contenenti tutti gli aminoacidi essenziali di cui il nostro corpo necessita per funzionare correttamente; il contenuto proteico varia tra il 15 e il 24% (comunque superiore a quelle del resto dei prodotti ittici) in base al periodo e alle aree di pesca, coi grassi che aumentano prima della riproduzione.
  • Contenuto di grassi sani: il pesce azzurro è ricco di acidi grassi omega-3, detti “grassi buoni” per le loro supposte proprietà benefiche (riducono i livelli di trigliceridi e di colesterolo nel sangue, per cui risultano protettivi nei confronti di cuore, vasi sanguigni e cervello. Il consumo regolare di pesce azzurro è da consigliare sempre, ma soprattutto se si vogliono evitare i grassi saturi, presenti in altre specie animali, e, in generale, se si vuole tenere sotto controllo la concentrazione di colesterolo nel sangue.
  • Vitamine e minerali: il pesce azzurro è molto ricco di minerali tra cui selenio, fosforo, ferro, iodio, calcio nonché di vitamine, specialmente A, D, B1, B2 e B12. Lo iodio, ad esempio, è un minerale potenzialmente carente per tutti e necessario al buon funzionamento della ghiandola tiroide (a sua volta responsabile della regolazione del metabolismo basale). Notevole l’apporto di fosforo, indispensabile per la formazione dell’idrossiapatite (minerale che compone le ossa). A seconda della specie, possono abbondare anche il ferro e il calcio.

Il pesce azzurro è anche una fonte eccellente di vitamina D, una liposolubile necessaria allo sviluppo e al mantenimento scheletrico; carente in chi non si sottopone all’esposizione solare nel periodo tardo-primaverile, estivo e inizio autunnale, la vitamina D dev’essere assunta con gli alimenti durante la stagione fredda.

  • Basso contenuto di mercurio: rispetto ad altre specie di pesce, il pesce azzurro tende ad avere un contenuto di mercurio inferiore.
  • Elevata digeribilità, dovuta alle fibre muscolari corte e al basso contenuto di lipidi, che rende il pesce azzurro un alimento indicato per tutti, soprattutto per anziani e bambini.
  • Sostenibilità: molte specie di pesce azzurro sono considerate sostenibili e sono un’ottima scelta per le persone che desiderano scegliere cibi che abbiano un impatto minore sull’ambiente.

Ultime due considerazioni:

  • rispetto al contenuto di lipidi, i pesci possono essere classificati in quattro categorie, con quelli azzurri che rientrano soprattutto nelle ultime due:
    • molto magri: lipidi inferiori all’1%, tra cui razza, polpo, merluzzo, nasello;
    • magri: lipidi 1-3%, fra cui sogliola, spigola (se pescata), orata, palombo, rombo;
    • semigrassi: lipidi 3-10%, in questi valori rientra buona parte dei pesci azzurri;
    • grassi: lipidi superiori al 10%, fra cui anguilla, aringa e sgombro.
  • l’apporto calorico varia, a seconda delle specie, fra le 70 e le 200 kcal per 100 grammi di prodotto.

Appartengono alla categoria del pesce azzurro:

  • l’aguglia (Belone belone)
  • l’alaccia (Sardinella aurita)
  • l’alice o acciuga (Engraulis encrasicholus)
  • l’aringa (Clupea harengus)
  • la cheppia o gheppia o ceppa (Alosa fallax)
  • il cicerello (Gymnammodytes cicerelus)
  • la costardella (Scomberesox saurus)
  • il lanzardo (Scomber colias)
  • la lampuga o corifena (Coryphaena hippurus)
  • la leccia stella (Trachinotus ovatus)
  • la palamita (Sarda sarda)
  • la sardina (Sardina pilchardus)
  • il pesce sciabola o spatola (Lepidopus caudatus)
  • la serra (Pomatomus saltatrix)
  • lo sgombro (Scomber scombrus)
  • lo spratto o papalina (Sprattus sprattus)
  • il suro (o sugherello o sugarello o occhialone o sauro) (Trachurus trachurus)

Nonostante le dimensioni, alcuni considerano pesci azzurri anche esemplari come:

  • Leccia (Lichia amia)
  • Ricciola (Seriola dumerili)
  • Tonni
    • Propriamente detti (Genere Thunnus)
    • Tonnetto striato (Katsuwonus pelamis)
    • Tonnetto alletterato (Euthynnus alletteratus)
    • Allothunnus fallai
    • Euthynnus affinis
    • Tombarello (Auxis thazard thazard)
    • Tombarello biso (Auxis rochei rochei)
    • Gasterochisma melampus
    • Gymnosarda unicolor
  • Pesci spada
    • Pesce spada propriamente detto (Xiphias gladius)
    • Famiglia dei Marlin e del Pesce Vela (Istiophoridae).

 

Specie di pesce azzurro più significative:

  • l’aguglia (Belone belone)

L’aguglia (Belone belone Linnaeus, 1761) è un pesce osseo di mare appartenente alla famiglia Belonidae. Presenta una forma caratteristica; ha infatti un corpo dalla forma estremamente allungata e dall’aspetto compresso. E’ di un colore blu scuro sul dorso, che diventa argenteo in corrispondenza dei fianchi. Le mascelle dell’aguglia sono piuttosto pronunciate e hanno quasi l’aspetto di un becco. Ha la particolare caratteristica di possedere uno scheletro di colore verde-azzurro (la colorazione della lisca è dovuta a depositi di biliverdina, un prodotto della bile). Di taglia grande, ha una lunghezza media di 45 cm, ma può tranquillamente arrivare ad una lunghezza che supera gli 80 cm e ad un peso superiore al chilogrammo.

Gli occhi sono argentati. Il nervo olfattivo del Belone belone normalmente non è mielinizzato ed è utilizzato nella ricerca scientifica come modello di nervo non mielinizzato.

Belone belone si trova comunemente nel Mar Mediterraneo e nell’Atlantico orientale, nelle zone costiere intorno alle isole Canarie, Azzorre, Madera e Capo Verde, nonché nel Mar Nero e nel Mar d’Azov.

L’aguglia vive solitamente al largo, ma nei periodi riproduttivi tende ad avvicinarsi alle coste e può essere avvistata mentre nuota in superficie; si ciba di piccoli pesci, prevalentemente di sardine e acciughe. Le femmine depongono numerose uova di 3 mm di diametro ricoperte di filamenti con cui si attaccano fra di loro o sulle pareti delle alghe. Le larve appena schiuse, lunghe 9 mm, non hanno ancora il caratteristico muso allungato che acquisiranno da adulte.

L’aguglia è ampiamente pescata sia da pescatori sportivi (soprattutto con la tecnica della traina e dello spinning) che da professionisti con reti da circuizione. Le carni sono buone, soprattutto fritte, anche se il colore verde delle ossa può impressionare qualcuno.

Viene altresì ampiamente utilizzata dai pescatori sportivi come esca viva per la cattura del pesce serra, principalmente nell’area che va dal nord della Toscana fino al sud del Lazio. La forma affusolata, il candore e il pregio delle carni sommate alla rapidità di movimento rende l’aguglia una delle prede preferite del predatore, al pari del muggine. L’aguglia viene pescata vicino a riva con canne da surfcasting o da spinning di ben bassa portata, atte soprattutto alla cattura delle esche vive come l’aguglia (o come la ben nota leccia stella), dopodiché viene innescata all’amo e la lenza viene portata a 30-40 metri da riva.

Le carni dell’aguglia sono molto delicate e necessitano di brevi cotture ed è per questo che il miglior modo di cucinare l’aguglia è quello alla griglia o alla piastra, facendo cuocere il pesce di 3 ai 5 minuti per lato.

L’aguglia è una specie magra, ottima fonte di proteine di elevato valore biologico ed acidi grassi polinsaturi omega-3 a lunga catena. Buono l’apporto di vitamina D, ottimo quello di vitamine del gruppo B, in particolare B6, B12 ed acido pantotenico. Ottima fonte di minerali, fra cui, in particolare, fosforo, rame e selenio. Bassi i livelli di sodio, colesterolo e grassi saturi. 100 g di aguglia apportano circa 108 Calorie

  • l’alaccia (Sardinella aurita)

L’alaccia (o Sardinella Aurita) è un pesce di mare assai pescato nel Mediterraneo: alimento ittico noto alle tavole degli italiani per via del sapore particolare e per la ricchezza nutritiva, ad oggi l’alaccia è utilizzata in un gran numero di piatti, soprattutto nelle zone costiere del bel paese, benché la tipica cucina nostrana vi preferisca ancora le sardine, “cugine” meno grasse e più saporite.

L’alaccia appartiene alla famiglia delle Clupeidae – la stessa delle sardine o le aringhe – : in effetti assomiglia molto alla sardina, da cui si distingue per la dimensione maggiore (l’alaccia può arrivare a 25-35 centimetri di lunghezza) e dalla forma più spessa, oltre che da una caratteristica linea di colore giallo sul fianco. Si nutre di plancton e a sua volta è importante elemento cibario per altri pesci come il tonno o il pesce spada.

La sardinella aurita si concentra in banchi numerosi prevalentemente al largo del Mediterraneo; è un pesce che predilige acque tendenzialmente calde: per questo anche l’Atlantico sul versante dell’America del Sud e il Mar dei Caraibi ne è alquanto ricco. Di solito l’alaccia si concentra in acque profonde anche centinaia di metri e quasi mai si trova sulla costa.

L’alaccia possiede notevoli proprietà nutritive, poiché le sue carni sono pregne di olio di pesce: infatti anche nei secoli addietro l’alaccia conservata sotto sale era uno dei principali alimenti dei lupi di mare che solcavano il Mediterraneo. Questo tipo di pesce, insomma, possiede carni ricche di Omega 3, principio fondamentale nella dieta perché, tra i suoi pregi, possiede quello di favorire una corretta circolazione, abbassare il livello di colesterolo e coadiuvare un maggior sviluppo delle qualità intellettive.

Sin dai tempi passati, il modo più comune di consumare l’alaccia – soprattutto tra i pescatori del Sud Italia e delle isole – era sotto conserva: ossia il pesce veniva lasciato per tre giorni ad insaporire sotto sale, quindi ripulito e messo sott’olio in barattoli di vetro. Pasto “povero” del passato, preparata in questa maniera l’alaccia viene consumata anche oggi come antipasto, o accompagnata con pane. In alternativa, si può togliere l’alaccia dall’olio e metterla in soffritto, per arricchire un sughetto di mare. Per chi invece volesse consumare fresco, appena pescato questo tipo di prodotto ittico, l’ideale è friggerlo nell’olio: semplice, rapido da preparare e molto saporito.

100 g di alaccia apportano 243 cal.

  • l’alice o acciuga (Engraulis encrasicholus)

L’acciuga o alice (Engraulis encrasicolus (Linnaeus, 1758)) è un pesce osseo marino appartenente alla famiglia Engraulidae di grande importanza economica.

Il termine “Acciuga” deriva dal latino volgare apiua o apiuva per il classico aphyē, dal greco ἀφύη aphýē, nome di un piccolo pesce. L’esito -cci- da -pj- non è toscano e probabilmente ha subito un passaggio da dialetti liguri o meridionali.

Il termine alice, di area italiana meridionale, napoletana e siciliana (alici), deriva dal latino hallēx, allēx, alēc, hallēc o allēc, -ēcis, una salsa simile al garo, fatta con interiora fermentate di pesce, a sua volta dal greco ἁλυκόν halykón, da confrontare con ἁλυκίς halykís “salamoia”.

La specie è diffusa nell’Oceano Atlantico orientale, tra la Norvegia e il Sudafrica. È presente e comune anche nei mari Mediterraneo, Nero e d’Azov. Alcuni esemplari sono stati catturati nel canale di Suez: si tratta quindi di una delle poche specie di pesci mediterranei che hanno intrapreso una migrazione verso il mar Rosso, in senso contrario a quello dei migranti lessepsiani.

Si tratta di un tipico pesce pelagico che si può trovare anche a grande distanza dalle coste, a cui si avvicina in maggio-giugno per la riproduzione. Di solito nella stagione calda non si incontra a profondità superiori a 50 metri, la massima profondità registrata è di 400 metri. In inverno frequenta acque più profonde, attorno ai 100-180 metri nel Mediterraneo. È una specie moderatamente eurialina, tollera le acque salmastre e talvolta penetra nelle foci e nelle lagune. Nei laghi salmastri di Ganzirri e di Torre Faro in comune di Messina esiste una popolazione stanziale in passato considerata come una sottospecie (Engraulis encrasicolus russoi).

Sebbene l’acciuga sia spesso associata alla sardina e talvolta confusa con essa, queste due specie appartengono a famiglie diverse e hanno un aspetto decisamente differente. L’acciuga ha corpo allungato e snello, a sezione cilindrica, privo della cresta ventrale di scaglie rigide presente nella sardina. La testa è grande (circa ¼ della lunghezza totale), conica, appuntita, con occhi grandi posti all’estremità anteriore della testa, in posizione molto avanzata. Anche la bocca è grande (molto più che nella sardina), ampia fin oltre l’occhio ed è posta in posizione infera (ovvero nella parte inferiore della testa); è armata di denti piccoli e numerosi. La mascella superiore è più lunga dell’inferiore. Le scaglie sono piccole e si distaccano facilmente. La pinna dorsale è abbastanza breve, di forma triangolare, inserita circa a metà del corpo. La pinna anale è inserita più indietro, è più bassa e più lunga della dorsale. Le pinne ventrali sono piccole e poste all’altezza dell’origine della dorsale; le pinne pettorali sono inserite molto in basso, presso il bordo ventrale del corpo e sono strette e allungate. La pinna caudale è biloba.

La colorazione è argentea sui fianchi e biancastra sul ventre; il dorso è verde azzurro negli individui vivi che diventa blu scuro in quelli morti. Sui fianchi dei pesci vivi, soprattutto di piccola taglia, è spesso presente una banda argentea sopra cui decorre una linea più scura.

La lunghezza massima può eccezionalmente raggiungere i 20 cm ma mediamente si aggira sui 15-17 cm.

Si nutre di zooplancton; le prede principali sono crostacei copepodi e stadi larvali di molluschi.

  • l’aringa (Clupea harengus)

L’aringa, o Clupea harengus, è un pesce pelagico della famiglia dei Clupeidae. Vive in grandi banchi che popolano solo le zone costiere dell’oceano Atlantico settentrionale (Islanda, Groellandia, nord America, nord Europa [soprattutto Olanda e Norvegia] ecc).

L’aringa raggiunge mediamente i 50 cm di lunghezza, ha un corpo fusiforme ricoperto di squame grandi e sottili che non arrivano alla testa. La bocca è appuntita e ricoperta da piccoli denti, mentre la mandibola risulta tipicamente prognata; sulla schiena, la livrea è di colore blu tendente al verde e sfuma lungo i fianchi argentati fino al ventre che risulta più pallido.

L’aringa si riproduce costantemente durante tutto l’anno ed ogni esemplare depone fino a 40.000 uova; questo pesce si nutre soprattutto di invertebrati, crostacei, molluschi, uova e larve. L’aringa è un pesce molto importate per l’equilibrio alimentare marino del suo habitat, in quanto rappresenta la principale fonte di cibo per foche, uccelli, calamari, squali e molti altri pesci.

Storicamente, la pesca dell’aringa si è dimostrata una “colonna portante” dell’alimentazione nordica dell’est Europa; ad oggi, viene ancora pescata per essere consumata fresca o conservata (sotto sale o marinata), ma i livelli di diffusione e consumo non sono lontanamente paragonabili con quelli medioevali. In Italia, l’aringa è molto conosciuta ma estremamente sottovalutata rispetto alle altre specie di pesce “azzurro”, mentre in Olanda rappresenta il capostipite della cucina nazionale e viene servita in tutti modi possibili: affumicata, marinata o cruda.

L’aringa è un prodotto della pesca abbastanza economico e molto ricco dal punto vista nutrizionale; possiede un ottimo apporto di acidi grassi polinsaturi essenziali ed in particolar modo di acido alfa-linolenico (esponente della famiglia omega 3).

Valori nutrizionali dell’Aringa per 100g di parte edibile: 216,00 kcal

  • la cheppia (Alosa fallax)

La cheppia  (Alosa fallax) è un pesce anadromo[1] e eurialino[2] ( della famiglia Clupeidae; è un pesce di modeste dimensioni (una lunghezza media di circa 20-30cm, gli esemplari più anziani raggiungono anche i 60  cm), “cugino” delle più conosciute sardine e acciughe. Frequente in passato nei nostri mari, oggi la cheppia (Alosa fallax) assiste ad un declino nel numero di esemplari tale da giustificarne la classificazione come specie a rischio (vulnerabile secondo la Lista Rossa dell’IUCN), complice anche la modifica artificiale del loro habitat, e conseguentemente delle loro abitudini. è diffusa nel Mediterraneo occidentale, nel Mar Nero, nell’Atlantico orientale tra il Marocco e la Norvegia, in parte del Mare del Nord e nel Mar Baltico; è rara nel Mar di Marmara. La cheppia nasce nei fiumi e si reca in mare quando raggiunge i 14 cm e ha 34-115 giorni di vita; poi ritorna negli ambienti lotici quando è matura sessualmente (i maschi a 2-9 anni, le femmine a 4-5); nel periodo riproduttivo risale i corsi d’acqua dolce che sfociano nel Mediterraneo, nel Mar Baltico e nell’Oceano Atlantico. In Italia esistono alcuni siti riproduttivi d’elezione, come Canal Bianco, Magra e fiume Taro.

L’Alosa fallax presenta un corpo allungato, conico alle estremità e leggermente compresso lateralmente; la bocca è terminale, con la mascella inferiore lievemente prominente, mentre quella superiore con un’insenatura mediana dove si inserisce la punta della mascella inferiore. Il dorso è verde-azzurro, i fianchi e il ventre argentei. Il ventre in particolare appare seghettato per la presenza di squame simili a scudetti che formano una carena. Sono evidenti striature a raggiera sull’opercolo, mentre nelle sue vicinanze, lungo il fianco, è presente una macchia scura a cui possono seguirne altre 5-6. Caratteristica che contraddistingue il genere Alosa è un preciso numero di branchiospine nell’apparato branchiale in numero di 18-24 anteriormente alle pinne ventrali e 13-20 scudi posteriormente ad esse. Le branchiospine sono processi filiformi situati a livello delle branchie che aumentano la superficie disponibile per la cattura di cibo nel meccanismo di filtrazione.

La lunghezza media degli adulti maschi è 35–40 cm, anche 50 nelle femmine. Le maggiori dimensioni segnalate sono di 60 cm per 1,5 kg. La pinna dorsale misura 13–16 cm, l’anale 18–22 cm. Può vivere 9 anni, ma anche più. Per misurare l’età si contano gli anelli delle scaglie.

I pescatori pescaresi lo chiamavano “pesce fesso” perché quando veniva pescata, principalmente con canna e mulinello, mostrava scarse reazioni di combattività e quasi nessuna resistenza; era quindi una preda facile, ovvero “fessa”.

  • il cicerello (Gymnammodytes cicerelus)

Il cicerello (Gymnammodytes cicerelus) è un pesce di mare appartenente alla famiglia Ammodytidae, che si trova soprattutto nell’Oceano Atlantico, nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero. Nei mari italiani può essere comunissimo su alcune spiagge e assente in altre, pur a poche centinaia di metri di distanza; inoltre, è noto per sparire improvvisamente da località in cui normalmente abbonda e per ricomparire solo dopo qualche anno. Popola i fondali sabbiosi e fangosi delle acque costiere poco profonde, fino a una profondità massima di circa 30 metri.

È un pesce molto caratteristico, tanto da risultare inconfondibile. Infatti, ha corpo molto allungato e sottile, con una testa piatta e una bocca piccola, mandibola sporgente, pinna dorsale molto lunga e pinna anale lunga circa la metà, pinne ventrali assenti e corpo privo di squame. La bocca è estremamente protrattile. La pinna caudale è forcuta. La livrea ha una colorazione grigiastra o marrone chiaro sul dorso, mentre il ventre è più chiaro. Sulle pinne dorsali e caudali sono presenti striature scure. I giovani sono color rosato. Questo pesciolino non supera i 15 cm.; si nutre di piccoli crostacei, molluschi e vermi; la riproduzione avviene in primavera e in estate; la femmina depone le uova in una tana scavata nel substrato, dove vengono fecondate dal maschio. Il cicerello se ne sta infossato nella sabbia per tutte le ore diurne per uscire a nutrirsi durante la notte.

Il cicerello non ha un grande valore commerciale, ma viene pescato in piccole quantità per la sua carne, che viene consumata localmente, apprezzatissimo nelle fritture. Per tale motivo in alcune zone e’ richiestissimo. Viene pescato con le sciabiche o con delle reti chiamate schiabichelli che vengono manovrate direttamente dalla spiaggia e poi tirate grazie alla forza delle braccia. Solitamente per la pesca del cicerello si riuniscono diversi marinai e la pesca di questo pesce in alcune marinerie diventa una sorta di festa. Non è attualmente considerato in pericolo di estinzione, ma la sua popolazione è stata ridotta a causa della pesca eccessiva e dell’inquinamento delle acque costiere.

  • la costardella (Scomberesox saurus)

La costardella (Scomberesox saurus) è un pesce di mare della famiglia Scomberesocidae presente nei settori caldi e temperati di tutti gli oceani. In Europa è diffusa nel mar Mediterraneo e lungo le coste atlantiche a nord fino alla Manica, talvolta fino alla Norvegia. Nei mari italiani è segnalata ovunque (più di rado nell’alto Adriatico) ed è comunissima nello stretto di Messina. È pelagica e non si avvicina alle coste che nel periodo della riproduzione.

Simile all’aguglia ma meno allungata, con rostro più corto e dotato di denti sottili, questo pesce ha pinna dorsale e pinna anale molto arretrate, opposte e simmetriche. La pinna caudale è forcuta; sul peduncolo caudale sono presenti pinnule simili a quelle degli Scombridae. La colorazione è bruna o verdastra sul dorso con una fascia argentea sui fianchi, spesso accompagnata da una linea scura. Le dimensioni raggiungono i 40 cm.

Si nutre di plancton e di giovani esemplari di sardine e acciughe.

Si riproduce da ottobre a dicembre e in tale occasione si avvicina leggermente alle coste.

Questa specie ha importanza per il consumo, soprattutto nella zona dello stretto di Messina, dove questo pesce costituisce un piatto tipico.

100 g di costardella apportano 106 calorie (kcal).

 

  • la lampuga o corifena (Coryphaena hippurus)

La corifena o lampuga (Coryphaena hippurus) conosciuta anche come corifena cavallina, pesce capone o pesce settembrino è un pesce osseo pelagico appartenente alla famiglia dei Coryphaenidae; nel mondo è conosciuta anche con il nome di Dorado o Mahi-Mahi.

La lampuga è una specie migratoria diffusa nelle acque tropicali e subtropicali di Atlantico, Pacifico e Indiano. È presente anche nel Mar Mediterraneo. Appare sulle coste soltanto al tempo della deposizione delle uova (in estate), per poi andare in acque più calde all’inizio dell’autunno. Si trova in grandi popolazioni soprattutto in alcune località come le Azzorre, Madagascar e Galapagos.

Presenta un corpo lungo, compresso ai fianchi, con profilo frontale arrotondato e sporgente. Il corpo si riduce al peduncolo caudale. La pinna dorsale è lunga, alta all’inizio, diminuisce in altezza verso la fine. Le pettorali sono lunghe e appuntite, così come le ventrali. La pinna anale è poco sviluppata in altezza, ma copre 1/3 del ventre del pesce. La coda è fortemente forcuta.

La livrea è grigio azzurra, tendente al blu sul dorso e al giallo su fianchi e ventre. Il suo colore varia a seconda della luce: magnifico azzurro o porporino, con riflessi metallici di ogni sorta, o giallo-oro. Raggiunge una lunghezza massima di circa 2 metri ed un peso di circa 20 chilogrammi. Nei mari italiani il peso medio delle catture varia da 3-4 etti a 8 chilogrammi, ma sono stati pescati anche esemplari più grandi soprattutto nel mar Ligure.

La lampuga si ciba di piccoli pesci, specialmente di quelli che abitano gli strati superiori dell’acqua, e principalmente delle diverse specie di pesci volanti. È nota ai pescatori per la sua voracità.

La lampuga presenta un accrescimento molto rapido nel primo anno di età. La maturità sessuale è raggiunta entro il primo anno di vita. La sua carne è molto apprezzata e ben pagata: questo pesce è oggetto di pesca commerciale e ambita preda di pesca sportiva.

È uno dei pesci da traina costiera per eccellenza, apprezzato soprattutto a causa della forte reazione che oppone alla cattura, effettuando numerosi salti fuor d’acqua. Al contrario di tonnetti e palamite, raramente si manifesta. In Sicilia, specialmente nella zona di Porto Palo di Capo Passero, i pescatori usano piazzare al largo delle coste, gruppi di foglie di palma legate tra loro in modo da creare una zona d’ombra in superficie; una zavorra a fondo fa sì che le suddette foglie non vengano trasportate dalla corrente, le lampughe si radunano sotto la zona d’ombra, dove poi vengono catturate con reti da circuizione. Si può insidiare con la canna da pesca effettuando traina costiera con piccoli octopus oppure da riva utilizzando l’aguglia viva, piccoli cefali o pezzi di salame flotterati.

In Sicilia, anticamente, il pesce Capone si preparava in cucina con cipolla, sedano, olive, capperi e aceto: il piatto prendeva il nome di “Caponatina”; oggigiorno al posto del pesce si usano le melanzane, ma il nome è rimasto immutato.

100 g di lampuga apportano circa 85 calorie (0% carboidrati, 92,6% proteine, 7,4% grassi).

  • il lanzardo (Scomber colias)

Il lanzardo è un tipo di pesce azzurro molto simile allo sgombro, che ha un sapore deciso che può piacere particolarmente a chi vuole assaporare in bocca il gusto del mare, e che ha il vantaggio di essere anche particolarmente economico. Ha il corpo allungato, slanciato, con il muso appuntito; una colorazione verde tendente la blu con pinne dorsali ben definite. Si differenzia dallo sgombro comune soprattutto per la presenza di macchie scure lungo i fianchi, e una tendenza delle scaglie a sfumare verso il giallo. Può arrivare fino a misurare 50 cm di lunghezza, ma la media è di 20 cm.

Il lanzardo è una specie assai diffusa lungo le coste, in particolar modo del mar Mediterraneo e del mar Nero, ma può trovarsi anche nel nord Atlantico, specie lungo le coste spagnole, fino al mar di Norvegia, alle isole islandesi e al Canada. Si trova molto diffuso lungo le coste italiane, e in particolar modo nelle acque pugliesi, che sono più profonde, perché in genere vive a circa 200 metri di profondità.

 

Il lanzardo è un pesce molto ricco di proteine e di omega tre, ma anche piuttosto grasso, come è tipico per questa tipologia ittica che è simile allo sgombro. Inoltre, possiede nelle sue carni elevati quantitativi di sodio, fosforo e potassio, ma anche notevoli livelli di colesterolo.

Mangiare il lanzardo fa bene anche alle tasche in quanto costa molto poco, tanto che è considerato il “parente povero” dello sgombro.

La sua conservazione avviene prevalentemente sottolio, una volta sfilettato, o in salamoia, perché in questo modo conserva maggiormente le sue proprietà, che invece vengono diminuite dalla surgelazione. Se consumato fresco, la sua carne appare parecchio polposa in quanto ricca di lipidi, ed è molto buona semplicemente arrostita alla brace, ma si possono ideare anche molte altre preparazioni. Il lanzardo infatti si può utilizzare in qualsiasi portata: dagli antipasti, accompagnato da olive nere e focaccia, ai primi, ad esempio per realizzare un sugo con cui condire la pasta, fino al secondo, semplicemente cotto alla piastra e condito con prezzemolo e limone.

100 g di Lanzardo o Sgombro cavallo apportano 104 calorie (kcal), equivalenti a 435,43 kJoule

  • la leccia stella (Trachinotus ovatus)

La leccia stella (Trachinotus ovatus), conosciuta anche come Leccia stellata, è un pesce marino appartenente alla famiglia dei Carangidae, che si trova nell’intero mar Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico orientale tra La Manica e l’Africa tropicale; molto raramente è stata trovata a nord fino a Svezia e Norvegia; nelle acque italiane è molto comune. È pelagica ma prettamente costiera; si trova di solito su substrati sabbiosi ma non è un imperativo. In inverno sta più al largo.

Ha corpo ovoidale, piuttosto compresso ai lati, con bocca piccola ed occhi piuttosto grandi rispetto alla leccia. Le pinne anale e prima dorsale sono simmetriche ed opposte, la coda profondamente falcata. La sua colorazione è madreperlacea con sfumature bluastre sulla schiena e sulle pinne, con 3-5 macchie ovali più scure sui fianchi e con le punte delle pinne nere. Raramente raggiunge i 50 cm di lunghezza con un massimo di 2 kg.

Si nutre di piccoli pesci, in particolare lattarini, che caccia anche vicino a riva. La sua tecnica si basa sul gettarsi nel banco e dibattersi quando afferra una preda. I pesci nel disperato tentativo di confondere la leccia saltano fuori dall’acqua.

La riproduzione della leccia stella avviene in primavera e in estate. La femmina depone le uova in acqua aperta, dove vengono fecondate dal maschio.

La leccia stella ha un grande valore commerciale; attualmente non è considerata in pericolo di estinzione, ma la sua popolazione è stata ridotta in alcune zone a causa della pesca eccessiva e dell’inquinamento delle acque costiere.

Si cattura con varie tecniche, soprattutto la traina, lo spinning e il surf casting sia con esche naturali che artificiali. Le carni sono ottime.

  • La palamita (Sarda sarda)

La palamita, nome scientifico Sarda sarda, è un pesce osseo di acqua salata appartenente alla famiglia Scombridi – la stessa del tonno -; è un pesce carnivoro e predatore molto diffuso nel Mediterraneo, nel mar Nero e nell’Oceano Atlantico.

La palamita è molto simile a un piccolo tonno; ha corpo allungato (più del tonno), appiattito sui fianchi, lungo tra 50 e 70 cm o più. Il capo è a punta, la bocca è grande e si estende dietro fino a superare l’occhio; si presenta ricca di numerosi ed affilati denti, con i quali trancia agilmente qualunque preda. Il corpo è estremamente muscoloso. La pinna caudale è rigida, a forma di falce, non troppo grande, provvista di un peduncolo sottile caratterizzato da due carene laterali. Ha due pinne dorsali contigue e una pinna anale abbastanza proporzionate; due pinne pettorali e due ventrali non troppo sviluppate. Dall’anale e dalla seconda dorsale al peduncolo caudale (sopra e sotto), la palamita presenta due file di pinnule simili a quelle del tonno. La livrea è più scura sul dorso e chiara sul ventre; la colorazione è leggermente variegata di blu scuro su sfondo azzurro o grigio, che va sfumando in argenteo e poi bianco perlato verso la pancia; talvolta pare anche tigrata di bianco e grigio. Si caratterizza per il disegno di alcune barre scure trasversali che, dalla testa in direzione della coda, partono in diagonale dal basso verso l’alto. Le squame sono molto piccole. La palamita raggiunge una taglia massima di circa 10kg di peso.

La palamita è una creatura pelagica, gregaria, predatrice ed estremamente vorace. Colonizza prevalentemente il Mar Mediterraneo e l’Oceano Atlantico, nei quali compie grandi spostamenti (è un nuotatore instancabile) per necessità alimentari e riproduttive; in genere, queste ultime vengono soddisfatte nel periodo primaverile-estivo.. Si nutre soprattutto di piccoli pesci (come le alici, le sardine, le aguglie, le alacce, i piccoli sgombri, le boghe ecc) e molluschi gasteropodi (come i calamari, le seppie, i totani ecc), che insegue divorando fino ad annientare l’intero banco senza lasciarne traccia.

Il nome del pesce in lingua italiana è Palamita, Tonnetto o Palamita sarda. A Messina questo pesce viene chiamato in dialetto palamitu oppure gli si dà il nome di Pisantuni (Pesantone). In altre regioni prende il nome di Palammeto o Bonnicou in Liguria, Palamia o Palamide/a in Veneto, Cuvarita o Palamido in Campania, Palammita in Puglia, Palamitu maiaticu in Calabria e Palamitu in Sardegna.

A San Vincenzo, in provincia di Livorno, si svolge la Sagra della palamita.

E’ conosciuta anche come “tonno dei poveri“,

La palamita è un pesce azzurro ricchissimo di Omega 3, costa poco e che si presta a svariate preparazioni. Come altri pesci azzurri anche la palamita è particolarmente ricca di acidi grassi omega-3 ma anche di vitamine e sali minerali, in particolare fosforo, iodio, ferro e potassio. Relativamente ipocalorica con le sue 177 kcal per 100 grammi, la palamita è buona fonte di proteine ad alto valore biologico a fronte di un basso quantitativo di grassi. Tra le vitamine del gruppo B si segnalano in particolare niacina, riboflavina vitamina B6; buona la presenza anche di vitamina D, elemento molto importante per il nostro organismo.

Consumata regolarmente la palamita è utile per:

  • tenere sotto controllo il colesterolo: grazie alla buona presenza di acidi grassi omega-3, la palamita ci aiuta a contenere e controllare i livelli di colesterolo nel sangue;
  • seguire una dieta ipocalorica: la palamita, lavorata senza l’aggiunta di grassi, può essere inserita in un regime alimentare dimagrante e ipocalorico;
  • salute della tiroide: lo iodio di cui la palamita è ricca, stimola e protegge la salute della tiroide e le sue funzioni;
  • effetto energizzante: le proteine facilmente e i sali minerali garantiscono un effetto energizzante e ci aiutano in caso di stress e affaticamento;
  • sostenere il sistema nervoso: effetto degli omega -3 che sostengono e proteggono i tessuti nervosi;
  • salute di ossa e denti: grazie al fosforo e al potassio, la palamita protegge e sostiene il naturale sviluppo di ossa e denti;
  • utile in caso di anemia: la palamita è consigliata in caso di anemia per via della buona presenza di ferro;
  • potere antinfiammatorio: i grassi omega-3 uniti all’azione dei sali minerali hanno un effetto antinfiammatorio e antibatterico.

Usi in cucina

La palamita è spesso adoperata in cucina come sostituto del tonno: in realtà si tratta di un pesce dalle carni forse anche più saporite e non va sottovalutato solo perché meno pregiato. Innanzitutto, occorrerebbe ricordare che la palamita più saporita è quella che non supera i 3-4 chilogrammi di peso.

La palamita è un pesce che si presta a vari tipi di cottura.

  • Acquistata fresca, intera o in tranci, può essere sfilettata per diventare il ripieno per pasta fresca e ravioli da gustare con un sugo al pomodorino fresco o servire in una elegante tartare, per un antipasto alternativo. In padella può essere lavorata con pomodorini, origano, basilico, menta, timo, peperoncino e altri ingredienti tipici mediterranei, talvolta con un poco di pane grattato, per confezionare dei sughi finalizzati ai primi piatti.

Grazie alle sue carni sode la palamita è buonissima anche impanata e fritta ma anche nei primi piatti fa la sua bella figura: il Sicilia è protagonista degli spaghetti allo stufatu in un ragù di mare con pinoli, uvetta, menta e finocchietto selvatico; nella cucina campana trova invece spazio con pomodorini, capperi e olive, nel condimento perfetto per un piatto di paccheri.

  • Bollita o al vapore, con alloro e pepe nero, si accompagna brillantemente ad un cucchiaio di maionese casalinga.
  • A fette non più spesse di tre centimetri, può essere cotta alla ligure, grigliata qualche secondo per lato (arrosto tende a divenire un po’ stopposa) e poi condita con olio extravergine di oliva, limone e prezzemolo; ottima anche al cartoccio, meglio se intera, con pomodorini, aglio, sale e pepe.
  • Fritta è sempre buona, come del resto maggior parte degli alimenti.

Tuttavia, l’utilizzo gastronomico più frequente per la palamita è la gustosissima preparazione sott’olio (senza nulla o con aromi): Non va assolutamente congelata.

  • la sardina (Sardina pilchardus)

La sardina, nome scientifico Sardina pilchardus, è una specie ittica di mare tra le più caratteristiche dei nostri mari; il suo nome deriva dalla parola “Sardegna”, perché in questa area in passato era abbondantissima. Diffusa nell’Oceano Atlantico Orientale, tra l’Islanda e il Senegal, e nel Mar Mediterraneo, in particolare nella zona occidentale e nel Mar Adriatico.

La sardina è un pesce azzurro appartenente alla famiglia dei Clupeidi, la medesima dell’aringa. Presenta un corpo di piccole dimensioni, con corpo affusolato e leggermente compresso lateralmente. Il suo muso è prominente ed acuto. La bocca, munita di piccoli denti, è rivolta verso l’alto. Il colore del dorso è azzurro verdastro, mentre sui fianchi e sul ventre è argenteo. La sardina viene spesso confusa con l’alice, che presenta però un corpo più slanciato e affusolato.

La sardina è una specie gregaria, che vive in banchi numerosi e di notevoli dimensioni. In fase di riproduzione tende a formare banchi più numerosi che si avvicinano alla costa e restano in prossimità della superficie. La sardina si nutre esclusivamente di plancton, e questa caratteristica la rende una delle specie più sicure in termini di accumulo di metalli pesanti.

Le sardine pescate in primavera sono sicuramente le più apprezzate, ma la specie è comunque reperibile quasi tutto l’anno (pesca della sardina).

Valori nutrizionali: è caratterizzato da contenuto di grassi medio-elevato, soggetto a variabilità stagionale. Ottima fonte di proteine ad elevato valore biologico ed acidi grassi polinsaturi omega-3, vitamina D, vitamine del gruppo B, fosforo e selenio. Il contenuto di sodio nel prodotto fresco non trasformato è basso.

100 grammi di sardina fresca apportano 129 Calorie

  • la serra (Pomatomus saltatrix)

La serra (Pomatomus saltatrix) è un pesce marino appartenente alla famiglia dei Pomatomidae, che si trova nell’Oceano Atlantico e nel Mar Mediterraneo.

La serra assomiglia ad una spigola ed è piuttosto aggressivo; ha un corpo allungato e fusiforme, di colore grigio-verde con pinne scure e una macchia di colore argento sul ventre; il viso ha dei riflessi color oro. La dentatura è piuttosto acuminata, caratteristica fisica che lo rende un valido predatore (caccia altri pesci ed è particolarmente goloso di cefali). Il peso può variare da uno a cinque chilogrammi ma i pesce serra più grossi arrivano anche a superare i dieci chili. La sua lunghezza spesso va oltre il metro.

Il pesce serra vive nelle acque costiere, sia in zone rocciose che sabbiose, fino a una profondità di circa 60 metri; si nutre principalmente di pesci più piccoli, ma può cibarsi anche di crostacei e molluschi. La riproduzione in primavera e in estate; le uova vengono deposte in acqua aperta, dove vengono fecondate dal maschio.

Il pesce serra è sostanzialmente un gregario, vive in branchi e lo si può trovare in tutti i mari italiani ma il suo habitat naturale è quello che bagna la Campania, ma anche il Lazio e la Calabria. I pesce serra si trovano quasi sempre in alto mare ma in primavera e in autunno si avvicinano alle coste, ecco perché sono questi i periodi migliori per catturarli, sia di giorno che di notte. Se ne trovano moltissimi anche nei pressi delle isole.  Spesso si ribella alla cattura tranciando le reti dei pescatori. Si riproduce in estate.

Il pesce serra viene considerato sano, dietetico e nutriente. Un etto di pesce serra contiene circa 124 calorie. Le proteine sono 20,04 grammi, i grassi 4,24 grammi. Contiene 60 mg di sodio, 7 mg di calcio, 0,48 mg di ferro e 0,402 mg di vitamina B6. E’ ricco di fosforo (227 mg per un etto) e potassio (372 mg). Contiene anche retinolo, vitamina A e B12 e poi gli omega 3 che aiutano a tenere bassi i livelli di colesterolo.

In cucina il pesce serra viene spesso utilizzato come valido sostituto della più pregiata spigola: in realtà il sapore del pesce serra è più deciso e la consistenza delle carni è più asciutta. Ma ha il pregio di essere decisamente più economico. In Italia si impiega relativamente poco in cucina, a differenza della Turchia e della Grecia dove è apprezzatissimo.

Il pesce serra ha un grande valore commerciale, sia per il consumo fresco che per la lavorazione industriale. Viene spesso utilizzata per preparare piatti tipici della cucina mediterranea.

Attualmente la serra non è considerata in pericolo di estinzione, ma la sua popolazione è stata ridotta in alcune zone a causa della pesca eccessiva e dell’inquinamento delle acque costiere.

  • il pesce sciabola o spatola (Lepidopus caudatus)

Il pesce spatola è conosciuto anche come pesce bandiera e sciabola anche se il suo nome scientifico è lepidopus caudatus. E’ un pesce di acqua salata che si trova quasi dappertutto ma è particolarmente diffuso nel Mediterraneo, soprattutto nei fondali fangosi a 40-620 metri di profondità, tra Campania, Calabria e Sicilia. I pescatori la catturano quasi sempre come specie accessoria durante i periodi di cattura del nasello, soprattutto con palangari di profondità ma anche con reti a strascico e tremagli. È molto comune soprattutto nel Mar Ionio, nello Stretto di Messina e nel Golfo di Napoli. Sullo stretto, in particolare, esiste la figura dello “spadularu”, pescatore di spatole, antica arte tramandata di padre in figlio: il pesce spatola è un pesce povero, anzi poverissimo, un tempo risorsa importante per i pescatori siciliani. Oggi, invece, spesso viene addirittura ributtato a mare. Viene considerato un pesce magro, ricco di proteine (16,6 su 100 g).

Il corpo del pesce spatola è lungo e sottile e possiede una mascella prominente provvista di denti aguzzi e forti che danno alla spatola la tipica espressione arcigna. Le sue dimensioni sono comprese tra i 50 e i 150 cm di lunghezza. Le sue pinne sono gialle e può raggiungere anche gli 8 kg. di peso e viene pescato mediante pesca a strascico soprattutto nel periodo estivo. Le sue carni, bianche con sfumature rosate, facilmente separabili sia dalla lisca che dalla pelle, sono particolarmente magre e digeribili, dal sapore delicato e facilmente separabili dalla lisca, pertanto queste caratteristiche rendono questo pesce particolarmente indicato per i bambini, solitamente restii a mangiare pesce. Il pesce spatola è tra i protagonisti assoluti della cucina siciliana e calabrese, ma nel resto d’Italia non è così conosciuta; si presta ad innumerevoli ricette come la sciabola alla salentina, la sciabola con olive taggiasche, impanata, ecc.. Da non trascurare la parmigiana di Napoli n cui i filetti, tagliati corti, vengono infarinati e fritti e poi conditi con pomodoro e melanzane.

Il pesce spatola ha un contenuto energetico che si aggira intorno alle 100 kcal per 100 grammi di prodotto.

  • lo sgombro (Scomber scombrus)

Lo sgombro (nome scientifico (Sgomber Sgombris, conosciuto anche come maccarello e lacerto) è un pesce appartenente alla famiglia degli Scombridi, diffuso nel Mediterraneo, Mar Nero, Atlantico, Mare del Nord e Mar Baltico.

Il corpo, di forma allungata ed affusolata, può arrivare ad una lunghezza di 50 cm (anche se in media è intorno ai 30 cm) e presenta una livrea di colore blu-verde elettrico sul dorso, caratterizzata dalla distintiva trama marmorizzata. La bocca è appuntita e dotata di piccoli denti molto appuntiti. Le pinne sono di colore grigio, con le 3 dorsali ben distanziate fra loro e due pinne ventrali, una anale ed una caudale.

Lo sgombro è un pesce gregario e forma grandissimi banchi. Questi, durante l’inverno, sono soliti stazionare negli strati d’acqua più profondi, per risalire durante i mesi più caldi durante il periodo della frega (in questo periodo diventa un pesce pelagico), quando gli sgombri si iniziano ad attivare (durante i mesi più freddi sono pesci piuttosto inattivi).

Particolarmente apprezzato in cucina e comune in tantissime ricette diverse, come tutto il pesce azzurro presenta un alimento ottimo dal punto di vista nutrizionale. In aggiunta, viene utilizzato anche per la produzione di mangimi per allevamenti ittici. Si tratta dunque di un pesce ampiamente pescato e di grandissima importanza commerciale.

Spesso, capita di confondere sgombro e lanzardo (Sgomber Colias). Si tratta in effetti di due specie piuttosto simili, ma che presentano alcune differenze che ne permettono una distinzione piuttosto comoda. La differenza più marcata fra i due pesci è rappresentata dalla presenza nel lanzardo di macchie grigie sui fianchi, che creano una trama unica non riscontrabile nello sgombro comune.

In aggiunta, gli occhi del lanzardo sono più grandi rispetto allo sgombro, mentre le striature dorsali sono meno evidenti. Inoltre, il lanzardo (chiamato anche sgombro cavalla) è meno apprezzato dal punto di vista gastronomico, sebbene si tratti comunque di un pesce azzurro dagli ottimi valori nutrizionali. Infatti, questi pesci non amano le acque poco profonde e sono soliti stazionare in fondali alti. Inoltre, amano anche l’acqua pulita: dunque, non si troveranno dentro la foce di un fiume come i pesci serra, bensì molto più a largo. Perfette le scogliere alte e, in generale, le coste rocciose.

  • lo spratto o papalina (Sprattus sprattus)

Lo spratto o papalina (Sprattus sprattus) è un pesce osseo della famiglia Clupeidae. Si tratta di una specie settentrionale, presente nell’oceano Atlantico orientale tra la Norvegia settentrionale e lo stretto di Gibilterra, nel mar Baltico (dove è sostituito dalla sottospecie S. sprattus balticus), nel mar Egeo, nel mar Nero, nel mar Adriatico settentrionale e nel golfo del Leone. Nel resto del mar Mediterraneo è rarissimo. È una specie pelagica e se ne sta quasi sempre al largo ma può avvicinarsi occasionalmente a riva e, essendo eurialino, penetrare nelle lagune. È anche conosciuta col nome di saraghina, renga, sardellina. sarda, serretta sardèla, rengheta, sardela, argentina, parazzola, sarachina, sarachella, sarda fimminedda, sarda frisca, varvajolu, gianchettu.

Molto simile alla sardina, si distingue per le pinne ventrali inserite alla stessa altezza della pinna dorsale (nella sardina sono inserite più caudalmente), per la robusta cresta di squame dure sul ventre, per le squame che sono più piccole e meno caduche e per la colorazione, che è blu vivo sul dorso e bianco argento sul ventre, senza le caratteristiche macchie sul fianco. Non supera 15 cm di lunghezza.

Vive in fitti banchi. In Mediterraneo scende in profondità nei mesi più caldi. Si nutre sostanzialmente di plancton.

Viene pescata come la sardina ma le sue carni tenere, molto oleose e deperibili, sono meno apprezzate. In Romagna e nelle Marche, dove viene consumata preferibilmente alla griglia, ma è ottima anche fritta e in tortiera. Gli spratti sono anche un cibo tipico dell’Estonia, paese dal quale vengono esportati previa affumicatura. Sono considerati un antipasto piuttosto popolare e diffuso.

Il valore nutritivo dello spratto è ottimo: solo 95 calorie per 100 grammi, poco colesterolo, ed una notevole quantità di iodio e di omega 3.

  • il suro (o sugarello) (Trachurus trachurus)

Il Suro (Trachurus trachurus), detto anche Sugarello, Sugherello o Sauro, è un pesce d’acqua salata della famiglia dei Carangidi. Diffuso nell’Oceano Atlantico, nel mar Mediterraneo e nel mare del Nord, vive prevalentemente in acque costiere, dove si aggrega in colonie di grandi dimensioni, ad una profondità che può raggiungere i cinquecento metri. Predatore vorace e spietato, si nutre di piccoli pesci e di crostacei; dai predatori, gli esemplari più giovani si difendono riparandosi sotto il “cappello” delle meduse più grandi, al cui veleno sono immuni. La riproduzione può avvenire in qualsiasi momento dell’anno, ma il momento più propizio è senza dubbio l’estate.

La lunghezza di questo pesce si aggira di solito intorno ai 30-40 cm. Di colore verde-argento o blu-argento, ha una linea laterale molto marcata ed una macchia nera vicino all’opercolo. L’occhio è grande, la mandibola prominente; le pinne dorsali sono di colore grigio, mentre quelle pettorali e quelle ventrali sono di colore verdastro.

Il Suro ha pochissimi grassi: solo 2 grammi per un etto di prodotto. Per questo motivo, il Suro è ideale in tutti i tipi di dieta e per qualsiasi esigenza di carattere nutrizionale. Ricchissimo di proteine ed acidi grassi omega 3, questo pesce è un vero toccasana per proteggere l’organismo da patologie cardiovascolari, colesterolo e trigliceridi. Molto elevato, inoltre, è il suo contenuto di fosforo: ben 224 mg per 100 gr di prodotto. L’apporto calorico, invece, ammonta a 97 kcal per 100 gr.


Ricette di cucina

La freschezza è il suo requisito più importante: l’odore deve essere gradevole, le carni rigide ed i colori ancora sgargianti. Sembra che gli esemplari più grandi abbiano carni più gustose rispetto a quelli di piccole dimensioni. Va spinato con molta attenzione.

Il Suro si presta a molte squisite preparazioni, dal semplice “bollito” alla cottura in forno, al vapore o alla griglia. E’ un ingrediente base di diverse ricette della cucina siciliana: la città di Catania, per esempio, è famosa per i caratteristici “sauri con l’agliata”, ricetta tipica nella quale il suro viene fritto e poi immerso in una salsa marinata preparata con aglio e aceto. Alcune ricette prevedono la preparazione di un condimento a base di pomodori e cipollata, da versare sui pesci impanati e fritti; altre suggeriscono di preparare il suro “al cartoccio”, insaporendolo con vari tipi di spezie profumate, come chiodi di garofano, pepe, zenzero, ginepro e noce moscata.

[1] Di pesce che risale le correnti all’epoca della riproduzione (contrapposto a catadromo).

[2] Organismo che sopporta variazioni di salsedine, talvolta molto accentuate, nell’ambiente acquatico in cui vive.

Redazione amaperbene.it

AMAxBenE è l’acronimo di AliMentAzione per il BenEssere

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