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La fermentazione quale pratica culinaria diffusa

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La fermentazione è un processo antichissimo e versatile che ha svolto un ruolo chiave nella produzione di cibi e bevande in diverse culture nel corso dei secoli ed è ormai una pratica culinaria diffusa. La sua comprensione e applicazione hanno contribuito non solo alla conservazione degli alimenti, ma anche alla creazione di sapori unici e alla produzione di prodotti alimentari di alta qualità.

La fermentazione è un processo chimico naturale grazie al quale gli zuccheri presenti in un alimento vengono convertiti in alcol o acido da parte di microrganismi come batteri, lieviti o muffe; ne deriva un alimento migliorata nel sapore e nella consistenza e, soprattutto, molto più ricco a livello nutrizionale, per una maggiore biodisponibilità di macronutrienti.

Il processo può essere così descritto:

  1. Inizio del processo:
  • Materiale di partenza: La fermentazione inizia con un substrato che contiene zuccheri o carboidrati complessi. Questo materiale può essere frutta, cereali, latte, verdure o altri composti organici ricchi di zuccheri.
  • Selezione del microrganismo: A seconda del prodotto desiderato, viene selezionato un microrganismo specifico per avviare la fermentazione. Ad esempio, lieviti per la fermentazione alcolica, batteri lattici per la fermentazione lattica.
  1. Glicolisi:
  • Decomposizione degli zuccheri: Gli zuccheri presenti nel substrato vengono scomposti attraverso il processo di glicolisi; questa fase iniziale produce molecole più piccole come acidi organici, alcoli, anidride carbonica o altri composti a seconda del microrganismo coinvolto.
  1. Prodotti Intermedi:
  • Acidi organici e alcoli: Durante la glicolisi, si formano acidi organici come acido lattico, acido acetico o alcoli come etanolo. Questi composti sono spesso responsabili delle caratteristiche di gusto, aroma e conservazione del prodotto finale.
  • Gas: In alcuni casi, viene prodotto gas come risultato della fermentazione, creando bolle o favorendo la lievitazione del pane.
  1. Regolazione delle condizioni:
  • Temperatura: La temperatura è un fattore critico. Alcuni microrganismi prosperano a temperature più elevate, mentre altri preferiscono ambienti più freschi.
  • pH: Il pH del substrato influisce sulla crescita e sull’attività del microrganismo. Alcuni fermenti preferiscono condizioni più acide, mentre altri prosperano in ambienti più alcalini.
  • Ossigeno: La presenza o l’assenza di ossigeno può influenzare il tipo di fermentazione. La fermentazione anaerobica si verifica in assenza di ossigeno, mentre la fermentazione aerobica coinvolge l’ossigeno.
  1. Prodotto finale:
  • Varietà di Prodotti: A seconda del microrganismo e delle condizioni, la fermentazione può produrre una vasta gamma di prodotti come vino, birra, yogurt, sottaceti, formaggi, kimchi e molti altri.
  1. Fermentazione secondaria (opzionale):
  • Maturazione: In alcuni casi, il prodotto può essere sottoposto a un periodo di maturazione o invecchiamento dopo la fermentazione primaria per sviluppare ulteriormente le caratteristiche desiderate.

Etimologia

Il termine fermentazione deriva dal latino “fervere”, che significa “ribollire”, e si riferisce in particolare alla fermentazione alcolica che consente la trasformazione del mosto in vino.  Le prime spiegazioni scientifiche circa i processi di fermentazione risalgono al 1800, quando Louis Pasteur attribuì la fermentazione a organismi che indicò come “fermenti”, contenuti nei lieviti, ed osservò che la fermentazione degli zuccheri produceva, a seconda dei microrganismi coinvolti, alcol etilico, acido lattico, acido butirrico e così via, in base al tipo di fermenti iniziali.

In realtà la fermentazione è una pratica antichissima, in origine utilizzata per la conservazione ottimale dei cibi.

Tipi di fermentazione

La fermentazione è un processo molto simile alla respirazione cellulare: come la respirazione, essa produce energia trasformando le grosse molecole di zucchero in molecole più piccole e più facilmente utilizzabili dall’organismo ma ‒ a differenza della respirazione propriamente detta ‒ avviene in assenza di ossigeno, ossia in ambiente anaerobico. La fermentazione rappresenta uno dei più semplici meccanismi biologici per ottenere energia dagli alimenti. Molto probabilmente è anche tra i più primitivi, sorto quando l’atmosfera terrestre era ancora priva di ossigeno molecolare.

Il processo di fermentazione non è dato da una singola reazione chimica, bensì da una catena di reazioni, ognuna promossa da un singolo enzima. Esistono diversi tipi di fermentazione: alcuni vengono intrapresi da lieviti, che sono minuscoli funghi, altri da batteri (organismi unicellulari) e ognuno di questi processi dà origine a diversi prodotti finali.

La fermentazione può avvenire:

  • spontaneamente, come ad esempio nella latto-fermentazione, tramite i microorganismi già presenti naturalmente all’interno dell’alimento che danno origine alla fermentazione;
  • attraverso l’impiego di uno starter, detto anche fungo o madre, ossia una coltura di batteri che, aggiunta all’alimento, dà inizio al processo di fermentazione.

Tipi di fermentazione

La fermentazione è una trasformazione degli zuccheri che avviene nei prodotti organici, causata dal metabolismo di alcuni specifici microrganismi. I principali responsabili appartengono al regno dei batteri (Lactobacillus spp., Clostridium spp., Nitrobacter spp., Acetobacter spp., ecc…) e dei funghi (lieviti). Molti tra questi microrganismi sono caratterizzati da un metabolismo di tipo anaerobio facoltativo: questo significa che sono in grado di sopravvivere sia in presenza che in assenza di ossigeno.

In particolare si possono distinguere due fasi:

  1. fase aerobica: in presenza di ossigeno, e nell’ambiente adatto, il meccanismo con cui i microrganismi producono energia è la respirazione. Gli zuccheri vengono quindi “consumati” (ossidati) sfruttando l’ossigeno. È di gran lunga il metodo più efficiente che le cellule hanno a disposizione: in questa fase vengono infatti massimizzate sia la produzione di anidride carbonica che la produzione di energia. La grande disponibilità di energia permette alle cellule di moltiplicarsi ed aumentare quindi rapidamente di numero. In realtà è un metabolismo scarsamente frequente: le matrici alimentari generalmente non contengono sufficiente ossigeno per far respirare i microrganismi, che inoltre spesso e volentieri preferiscono fermentare quando possono.
  1. fase anaerobica: in assenza di ossigeno, l’unico meccanismo con cui i microrganismi possono produrre energia è la fermentazione. Gli zuccheri vengono consumati seguendo vie metaboliche alternative, che non richiedono l’utilizzo di ossigeno.

Diversi microrganismi hanno perfezionato ed ottimizzato nel tempo diversi tipi di fermentazione (alcolica, lattica, acetica, ecc…) che, pur producendo energia a partire sempre da zuccheri come il glucosio, si differenziano per il prodotto finale.  A seconda del tipo di microrganismi coinvolti, si possono distinguere tre principali tipi di fermentazione: 

  • Fermentazione lattica

Una delle più comuni fermentazioni anaerobiche è la fermentazione lattica, utilizzata nella produzione di yogurt, crauti, kefir, kimchi, alcuni formaggi, ma anche verdure fermentate (o meglio, verdure latto-fermentate). In questo tipo di fermentazione, i batteri lattici, come Lactobacillus e Streptococcus, convertono gli zuccheri in acido lattico, come nel caso del latte fermentato in yogurt. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la fermentazione lattica non è propria dei prodotti caseari e la maggior parte degli alimenti fermentati sono derivati da fermentazioni lattiche. I batteri che attuano questa fermentazione e che sono in grado di digerire il lattosio e compiere processi di trasformazione utili all’uomo sono detti fermenti lattici “vivi” o attivi, i quali sono anche degli importanti probiotici.

  • Fermentazione alcolica

Questo tipo di fermentazione è svolto principalmente da lieviti, tra cui Saccharomyces cerevisiae. Durante questo processo, gli zuccheri, come il glucosio e il fruttosio, vengono convertiti in alcol etilico e anidride carbonica.

È il tipo di fermentazione alla base di bevande alcoliche come birra, vino e sidro, ma anche della lievitazione del pane; infatti il processo è svolto da funghi unicellulari detti lieviti, che all’interno del mosto o del malto svolgono inizialmente una respirazione aerobica trasformando gli zuccheri, e successivamente dall’interno della massa, per mancanza di ossigeno, passano alla fermentazione e liberano alcol e anidride carbonica. In realtà sono molti i tipi di fermentazione a liberare, seppur minuscole, quantità d’alcool che dipendono dalla quantità di zuccheri presenti nel prodotto di partenza.

  • Fermentazione acetica

Non si tratta propriamente di una fermentazione, quanto di una degradazione: ad esempio riguarda il processo per cui il vino degrada in aceto se sottoposto a determinate situazioni ambientali in cui è favorita la proliferazione dei batteri. In questo caso, batteri acetici, come Acetobacter, convertono l’alcol etilico in acido acetico e acqua. Non è dunque tecnicamente una fermentazione, ma un’ossidazione

Bevande fermentate

Tra queste, le più note:

  • Birra – è una bevanda alcolica ottenuta tipicamente dalla fermentazione di mosto a base di malto d’orzo, aromatizzata e amaricata con luppolo. Tra le più diffuse e più antiche bevande alcoliche del mondo (databile al settimo millennio a.C.), viene prodotta attraverso la fermentazione alcolica (con ceppi di lievito di Saccharomyces cerevisiae o Saccharomyces carlsbergensis) di zuccheri derivanti da fonti amidacee, la più usata delle quali è il malto d’orzo, ovvero l’orzo germinato ed essiccato, chiamato spesso semplicemente malto.
  • Vino – è una bevanda alcolica, ottenuta dalla fermentazione (totale o parziale) del frutto della vite, l’uva (sia essa pigiata o meno), o del mosto; si distingue in tre tipologie principali: bianco, rosso e rosato o rosé.
  • Sakè – è una bevanda alcolica tipicamente giapponese ottenuta da un processo di fermentazione che coinvolge riso e acqua che interagiscono con microbi detti Koji‐kin (una muffa) e kobo (lievito di sake). Per fare il sake si usa solo riso altamente raffinato, che induce nella bevanda il caratteristico sapore.
  • Kombucha – è una bevanda fermentata frizzante che si ottiene facendo fermentare tè zuccherato con una particolare coltura di lieviti e batteri che vivono in simbiosi tra loro nominata SCOBY, acronimo di Symbiotic Culture of Bacteria and Yeast.
  •  Kvass – è una bevanda fermentata tipica dell’Est Europa, a basso tenore alcolico (al massimo all’1,2%), frutto della naturale fermentazione di pane nell’acqua. Nel corso di questa fermentazione possono essere aggiunti, a seconda delle ricette, diversi ingredienti: frutta, bacche, fragola, menta, linfa di betulla raccolta all’inizio della primavera. Per il kvas da tavola possono essere usati anche cereali, come grano, segale, orzo, oppure pane nero o di segale con aggiunta di zucchero o frutta, di solito mele. Il kvass è una bevanda comune in Russia sin dai tempi antichi, ed è soprattutto originariamente prodotta in casa; oggigiorno viene prodotta e commercializzata anche industrialmente con prodotti standardizzati. È ampiamente diffuso e consumato in tutti i paesi slavi dell’Europa dell’est, nonché nei Paesi Baltici, dove è chiamata gira (in Lituania) e Kali (in Estonia).
  • Kefir d’acqua o tibicos –  è una bevanda fermentata probiotica a base di acqua, grani di kefir ed un dolcificante naturale, generalmente zucchero. Contenendo diversi ceppi di lieviti e batteri — ed essendo ricca in minerali e vitamine — vanta numerosi benefici per l’organismo, oltre ad essere una bevanda dissetante e piacevole al gusto.

Il kefir d’acqua è infatti frizzante, leggermente alcolico, come il sidro di mele, e può essere aromatizzato con diverse spezie ed essenze, dalle bacche di vaniglia, alla cannella, allo zenzero, sino al succo di limone o d’uva. E’ meno conosciuta rispetto al più noto kefir di latte, col quale non ha nulla a che fare (i grani di kefir di latte e kefir d’acqua sono comunità completamente diverse).

Il kefir d’acqua deve sempre avere una percentuale di zucchero dal 3 al 10%. A seconda della quantità di zucchero aggiunto, dei tempi di fermentazione e della quantità d’aria, varierà anche il grado alcolico della bevanda finita. Generalmente il kefir presenta una gradazione alcolica che va dallo 0,2% all’1%, dunque estremamente bassa, che ne fa tecnicamente una bevanda fermentata analcolica.

Cibi fermentati

I cibi fermentati sono vari, derivati dalle fermentazioni più diverse, con proprietà, sapori e caratteristiche che dipendono dall’alimento di partenza e dai processi chimici innescati durante la trasformazione, nonché dai batteri che la mettono in atto. La cultura dei cibi fermentati nel mondo è estremamente variegata, e rappresenta in molte nazioni, specialmente in Oriente, uno dei pilastri più antichi della tradizione culinaria. Tra i principali cibi fermentati, italiani e non, si annoverano:

Verdure fermentate

Le verdure fermentate sono tra i cibi fermentati più noti e consumati in tutto il mondo, poiché facili da realizzare in casa ed in grado di apportare alti valori di vitamine e nutrienti, specialmente vitamine del gruppo A e B. Tra le verdure fermentate dai benefici importanti sono da citare:

  • Crauti – I crauti (in tedesco Sauerkraut, letteralmente “erba acida”) sono un contorno tipico della cucina mitteleuropea, ottenuto per salatura e fermentazione lattica del cavolo cappuccio crudo tagliato finemente.  I crauti sono particolarmente diffusi nelle zone centro-nordiche d’Europa, aventi clima continentale e tendenzialmente freddo; il loro consumo è esteso in Germania, in Austria, al nord-oriente della Svizzera (cantoni tedeschi), nelle regioni settentrionali d’Italia (Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Veneto), in Ungheria, in Polonia, in Slovenia, nell’entroterra Croato, in Serbia e in molti dei paesi dell’ex Unione Sovietica. I crauti si distinguono dal cavolo cappuccio crudo per il gusto salato e acidulo, mentre il profilo nutrizionale risulta parzialmente alterato, ma non necessariamente impoverito.
  • Peperoni fermentati – Fermentazione a partire dalla microflora naturale della verdura
  • Olive fermentate – Il processo di trasformazione delle olive fermentate è la risultante di complesse reazioni biochimiche, determinate dall’interazione del microbiota indigeno delle olive con le caratteristiche di composizione della salamoia di fermentazione e con l’ambiente di lavorazione. Uno degli aspetti più rilevanti nella trasformazione delle olive da tavola è il processo di deamarizzazione, che ha lo scopo principale di diminuire o rimuovere del tutto il naturale sapore amaro dell’oliva. Questo processo avviene attraverso l’idrolisi dei composti responsabili del sapore amaro del frutto, primo fra tutti il glucoside oleuropeina, dotato altresì di azione antimicrobica.

I due principali metodi di fermentazione sono quello spagnolo (o sivigliano) e quello greco: il primo, largamente diffuso anche in Italia, si basa su una deamarizzazione chimica del frutto che consiste essenzialmente nell’aggiunta di soluzioni alcaline. Il metodo greco consiste, invece, in una deamarizzazione biologica compiuta da batteri lattici, cresciuti spontaneamente nel mezzo (salamoia). Tale processo è fortemente influenzato dalla cultivar, dal microbiota indigeno, da fattori intrinseci come pH, acqua libera, concentrazione di sale della salamoia, disponibilità di nutrienti e di ossigeno, concentrazione di composti antimicrobici (es. oleuropeina e verbascoside) e da fattori estrinseci come tempo e temperatura di fermentazione. Pertanto, in caso di mancato controllo dei suddetti fattori, possono instaurarsi fenomeni di deterioramento come formazione di sacche d’aria (gaspocket), rammollimenti, rotture della cuticola e altri difetti. Tuttavia, al fine di ottenere un processo di fermentazione più controllato e prevedibile, si può ricorrere all’impiego di colture starter. Un appropriato inoculo, infatti, previene i fenomeni di spoilage da parte di microrganismi alteranti, inibisce la crescita di patogeni e garantisce un processo maggiormente controllabile e quindi un prodotto di alta qualità, standardizzato e ripetibile, e privo di difetti. I ceppi con maggiori potenzialità per l’impiego come colture starter nella fermentazione delle olive da tavola appartengono alle specie Lactobacillus plantarum e Lactobacillus pentosus, microrganismi dotati di elevata capacità acidificante ed attività oleuropeinolitica, e alla specie Enterococcus casseliflavus.

In riferimento a colture starter miste, studi sperimentali recenti hanno considerato la combinazione di L. pentosus con ceppi di Enterococchi in grado di avviare la fermentazione anche a valori di pH alcalini (circa 9) dopo il trattamento con soda; ciò potrebbe permettere di ridurre il numero dei lavaggi preliminari alla fermentazione. Quest’ultimo aspetto ha anche interessanti ricadute ambientali, consentendo una diminuzione dei reflui inquinanti contenenti soda.

  • Cetrioli fermentati – Fermentazione a partire dalla microflora naturale della verdura; la varietà vert petit de Paris, è la più utilizzata per fare i fermentati e i sottaceti più in generale
  • Cipolle fermentate[1] – Fermentazione a partire dalla microflora naturale della verdura

In generale, per preparare le verdure lattofermentate in casa non è necessario partire da una “madre”, ma si possono utilizzare i batteri o lieviti che si trovano naturalmente nella microflora delle verdure. Per questo è necessario partire da un prodotto biologico, che non sia stato trattato con sostanze che possano aver ammazzato i batteri utili ad attivare la fermentazione.

Possono essere fermentate verdure di tutti i tipi, carote, peperoni, peperoncini, cipolle e persino l’aglio. Le verdure vanno tagliate a listarelle e messe in barattoli di vetro, con gli aromi desiderati. In una pentola si prepara una salamoia con 30 grammi di sale per ogni litro d’acqua, che poi sarà portata ad ebollizione, fatta raffreddare ed usata per coprire le verdure nei barattoli. Dopo dieci giorni il processo di fermentazione delle verdure sarà completato e gli zuccheri saranno trasformati. Se si preparano verdure fermentate in casa è necessario stare attenti alla formazione di botulino: per evitarlo basterà agitare il barattolo e farlo sfiatare durante i primi giorni di fermentazione. In alcuni casi per accelerare i processi di trasformazione si possono preparare verdure fermentate con kefir o yogurt, che diano un apporto ulteriore di microrganismi. Ricordiamo che non essendo sottovuoto, le verdure fermentate non presentano rischi. Preparare verdure fermentate in barattolo fai da te è estremamente facile.

Prodotti caseari fermentati

I prodotti caseari sono tra i più diffusi e noti cibi fermentati, essendo la fermentazione un processo che scinde le molecole di lattosio e rende i prodotti finali molto più digeribili, ma comunque tra gli alimenti fermentati contenenti più microrganismi vivi e vitali per il nostro microbiota. Tra questi ci sono:

  • Latte fermentato – Il latte fermentato è un latticino ottenuto dalla fermentazione del latte a opera di microrganismi. In alcuni paesi asiatici è d’uso consumare anche del semplice latte fermentato: in Nepal comunemente si lascia fermentare il latte per 24 ore, senza aggiunta di alcuna componente, lasciando che i microrganismi già presenti al suo interno svolgano il loro lavoro.
  • Kefir o chefir – è un prodotto fermentato tipico dei paesi del Caucaso, e tuttora molto popolare nell’ex Unione Sovietica; viene ottenuto a partire da una base di acqua (per il kefir d’acqua) o latte (di pecora, capra o vacca) cui si aggiungono i grani di kefir (un’associazione di batteri e di lieviti residenti in strutture costituite da un polisaccaride, il kefiran, prodotto dai batteri stessi). Viene impiegato come bevanda ed ha un gusto fresco, o utilizzato in diverse preparazioni, ed ha una funzione importante per la flora batterica. Si tratta di una fermentazione prevalentemente lattica, ma in parte anche alcolica (presenza di lieviti che trasformano lo zucchero in alcool e in anidride carbonica).
  • Yogurt – Lo yogurt è forse il più noto prodotto fermentato; si ottiene dalla fermentazione del latte grazie all’azione di due batteri, il Lactobacillus bulgaricus e lo Streptococcus thermophilus che agiscono sui livelli di acidità del latte e ne provocano la coagulazione.  Il latte più comunemente utilizzato per preparare lo yogurt è il latte vaccino (di vacca). Viene anche utilizzato il latte di bufala, giumenta, capra, pecora, cammella e yak; ogni tipo di latte produce risultati sostanzialmente diversi. Il latte utilizzato può essere omogeneizzato o meno, pastorizzato o crudo.

Appartenente al II gruppo fondamentale degli alimenti, lo yogurt spicca per un apporto calorico medio-basso, per il contenuto di proteine ad alto valore biologico e per la presenza non trascurabile di vitamina B2, vitamina A e minerali, quali calcio e fosforo.

  • Formaggio – Esempio classico è costituito dal gorgonzola, un formaggio prodotto in in Lombardia e Piemonte (nelle province di Bergamo, Brescia, Biella, Como, Cremona, Cuneo, Lecco, Lodi, Milano, Monza-Brianza, Novara, Pavia, Varese, Verbania-Cusio-Ossola, Vercelli e alcuni comuni dell’Alessandrino). Il formaggio gorgonzola DOP, per essere definito come tale, deve rispettare il disciplinare di produzione; lo stesso prevede che per la sua produzione si utilizzi unicamente latte vaccino pastorizzato. Si tratta di un formaggio erborinato, grasso, di colore bianco paglierino, le cui screziature bluastre sono dovute al processo di erborinatura, cioè alla formazione di muffe dovute all’aggiunta di spore di penicillium al latte (per lo più colture selezionate a livello industriale). La crosta non è edibile. Ne esistono due tipi principali, sebbene da disciplinare chiamati allo stesso modo, essenzialmente diversi:
    • dolce, che si presenta cremoso a pasta molle con sapore particolare e caratteristico leggermente piccante;
    • piccante, con intensità gustativa alta, piccantezza rilevante e la pasta semidura, più consistente e friabile e simile agli erborinati di origine francese.
    • Clabber – Il Clabber è un tipo di latte acido prodotto da latte non pastorizzato tipico del sud degli Stati Uniti, che viene lasciato fermentare autonomamente a specifiche temperature e livelli di umidità, e mangiato con zucchero di canna e cannella, oppure melassa.
    • Crème Fraîche – La crème fraîche è una crema della cucina tradizionale francese. É un prodotto caseario pastorizzato e stagionato che viene ottenuto dalla scrematura del latte vaccino: la classica crème fraîche, che tradotta in italiano significa letteralmente crema fresca, è la panna.

Pesce fermentato e prodotti carnei fermentati

I prodotti di pesce si prestano molto bene alla fermentazione, che spesso veniva eseguita per facilitare la conservazione del prodotto. È il caso del Surströmming svedese, l’aringa del Baltico fermentata in una salamoia molto leggera che viene normalmente mangiata all’interno di sandwich accompagnati da burro e verdure. Il sale è un elemento chiave nella produzione di pesce fermentato. Tra i più noti prodotti di pesce fermentato troviamo:

  • Surströmming – (lett. “aringa acida”) è un piatto tipico della cucina svedese, preparato per fermentazione dell’aringa del Baltico. Il prodotto viene normalmente venduto in barattoli, che spesso si gonfiano e deformano durante lo stoccaggio, per via della fermentazione ininterrotta. Quando la latta viene aperta, l’odore che sprigiona è talmente forte e nauseante che questo piatto viene solitamente consumato all’aperto.  Le aringhe vengono pescate in primavera, quando stanno per riprodursi. Il pesce viene lasciato fermentare in barili per uno o due mesi, poi viene inscatolato con una salamoia molto leggera, per non interrompere i processi fermentativi. Entro un anno i gas prodotti dalla fermentazione iniziano a deformare la latta.
  • Hakàrl – letteralmente “squalo” in islandese, noto anche come kæstur hákarl  “squalo fermentato” oppure “squalo putrefatto”, è un cibo tipico della cucina islandese
  • Salse di Pesce fermentate – Come il Garum degli antichi romani, lasciato fermentare al sole, da cui si isolava la colatura
  • Funazushi – significa sushi di Carassio; è un sushi tipico della zona del lago Biwa nella parte centrale dell’isola di Honshū. Esso tuttora è preparato solo dalla famiglia Kitamura dal 1619: il pesce utilizzato per il funazushi è il funa (carassio) ed è essenzialmente pesce decomposto per 8 anni.
  • Nam Pla – La salsa di pesce thailandese è prodotta principalmente da pesci fermentati e salati. La scelta dei pesci è cruciale, e spesso vengono utilizzati piccoli pesci, come l’acciuga, che hanno una carne particolarmente aromatica. La salsa di pesce è usata come condimento o ingrediente in molti piatti thailandesi, da zuppe e insalate a piatti fritti. La sua qualità salata e umami aggiunge profondità e complessità a piatti altrimenti semplici.
  • Gravlax – o salmone alla svedese (o norvegese) è il classico salmone marinato, che viene servito come antipasto, accompagnato dal pane di segale e dalla gravlaxas, una salsa a base di senape, che viene generalmente utilizzata proprio per accompagnare questa preparazione. Il termine gravlax (gravad lax in svedese o anche gravad lask in norvegese) indica la specifica marinatura, a base di sale, zucchero e aromi, utilizzata per preparare solitamente il classico salmone nordico.

Prodotti fermentati della soia

I fermentati a base di soia sono molto comuni nella cucina asiatica, specialmente in quella Giapponese dove la soia è uno degli ingredienti chiave, utilizzata in moltissime preparazioni. Tra i più importanti prodotti fermentati alla soia vanno ricordati:

  • Tempeh, è chiamato anche “carne di soia” e spesso si sostituisce al tofu o al seitan. È originario del Sud-Est asiatico e viene preparato ammorbidendo i semi di soia che vengono poi fermentati con aceto ed un fungo, il Rhizopus Oligosporus. È ricco di vitamine e molto digeribile ma dal gusto intenso e particolare, viene utilizzato in molte ricette da solo, o per insaporire altri elementi come il riso;
  • Natto, è un prodotto molto tradizionale prodotto dalla fermentazione dei fagioli di soia, consumato in abbinamento a salsa di soia e riso, le verdure, il sushi, e spesso viene anche mangiato a colazione. Ha un sapore molto intenso e complesso, ed è ricco di proteine e vitamine;
  • Miso, è uno dei condimenti più famosi in Giappone, una crema di salsa di soia fermentata dal fungo koji. Ha l’aspetto di una pasta dal colore leggermente scuro, ed il sapore dipende dalla preparazione. Viene usato un pò dappertutto, ma in particolare per insaporire le zuppe;
  • Tamari, è una salsa di soia giapponese, fermentata e salata, utilizzata come condimento per piatti di verdure, riso, dalle importanti proprietà digestive e antiossidanti. È una varietà meno salata di Shoyu, e non contiene frumento: è adatta quindi anche ai celiaci.

Cibi fermentati giapponesi

La tradizione di cibi fermentati in Giappone è molto importante, tanto che molti dei cibi fermentati più conosciuti e amati hanno proprio origine, o hanno visto la loro diffusione e produzione più estesa, proprio in Giappone, dove la conoscenza storica, l’innovazione e la ricerca scientifica in campo di fermentazione hanno permesso di raggiungere livelli di qualità elevati. Oltre ai classici prodotti derivati dalla soia quali miso, tempeh, prodotti di pesce fermentato, ed il sakè, che ha dietro una grande storia di ricerca e produzione per raggiungere un sapore specifico, è comune trovare nei mercati giapponesi bento box con verdure fermentate di qualunque tipo, in particolare daikon e takuan.

Tra gli altri prodotti fermentati giapponesi troviamo anche le umeboshi, le piccole prugne salate e costosissime dalle molteplici proprietà benefiche e l’amasake, un dolcificante ottenuto dalla fermentazione del riso tramite il koji.

Cibi fermentati coreani

I cibi fermentati coreani stanno diventando sempre più diffusi per la grande varietà di sapori e gli ingredienti sani impiegati, ed è proprio dalla Corea che proviene uno dei più famosi cibi fermentati al mondo, il Kimchi. Il Kimchi è la variante coreana dei crauti, un piatto di verdure fermentate con spezie, specialmente peperoncino, a base di cavolo napa, ravanelli coreani e differenti tipi di radici coreane. Viene impiegato in diversi piatti oppure come contorno, e per accompagnare il riso.

Un altro prodotto fermentato coreano è la doenjang, una pasta di fagioli di soia fermentati che costituisce uno degli elementi cardine della cucina coreana, una salsa tradizionale contenente vitamina C, B, flavonoidi e lisina. Viene consumata con le verdure o come intingolo, stemperata con olio di sesamo, aglio e pasta di peperoncino.

Cibi fermentati per vegani

La maggior parte dei cibi fermentati asiatici sono estremamente adatti ai vegani: tutti i fermentati a base di soia, tempeh, miso, ma anche kefir d’acqua, umeboshi ed il pane realizzato con pasta madre. Anche il kombucha non contiene derivati animali, ed è molto adatto per i vegani. I vegani beneficiano immensamente dei prodotti fermentati, dato che spesso la dieta vegana sfocia in carenze di vitamina B12, che come ben sappiamo, è apportata in gran quantità dai fermentati.

Benefici degli alimenti fermentati

La fermentazione degli alimenti e quindi la processazione di questi da parte di lieviti o batteri, a differenza di quanto si potrebbe pensare, dà origine a cibi con numerosi benefici per l’organismo, ed in particolar modo per il nostro intestino.

  • rafforzamento delle difese immunitarie: l’alto contenuto di probiotici degli alimenti fermentati aiuta a ripopolare la flora batterica intestinale (microbiota) e quindi rafforzare il sistema immunitario, riducendo i rischi di infezioni. Non solo, il contenuto di ferro, zinco e vitamina C contribuisce a migliorare le difese dell’organismo;
  • miglioramento della salute dell’apparato digerente: i probiotici promuovono il benessere dell’intestino e riducono gli effetti legati a problemi quali sindrome del colon irritabile, diarrea, stipsi, meteorismo e gonfiore; nel nostro intestino vi è infatti una presenza preponderante di batteri che svolgono un’azione metabolica molto simile a quella che i batteri attuano nei cibi durante i processi di fermentazione. Quando il cibo si ferma più a lungo nello stomaco viene attaccato da questi batteri, e sostanze come i carboidrati e amidi vanno incontro alla fermentazione intestinale che produce acido acetico, anidride carbonica e alcool etilico, che spesso possono causare gonfiori addominali.
  • maggiore disponibilità di macronutrienti, come riboflavina, folato, vitamina B12, vitamina C, vitamina K;
  • alta digeribilità: la fermentazione scinde i nutrienti degli alimenti che di conseguenza sono più facilmente digeribili. Ad esempio, l’aglio nero è molto più delicato rispetto al normale aglio bianco; un pane lievitato per 48 ore è più digeribile di un pane lievitato per 6 ore, poiché in questa differenza di tempo i batteri avranno reso le molecole, come ad esempio il glucosio, molto più semplici. Lo stesso processo avviene nella fermentazione dello yogurt, in cui le molecole di lattosio, uno zucchero, o più precisamente, un disaccaride, vengono “digerite” dai batteri che colonizzano il latte e che lo fermentano, scindendo il lattosio nei suoi componenti base (glucosio e galattosio) che sono utilizzati a livello energetico e che a loro volta danno acido lattico, e le proteine del latte come la caseina in molecole più semplici, dunque più facilmente digeribili. È infatti comune che soggetti intolleranti al lattosio possano consumare prodotti come yogurt o formaggi molto stagionati.

I cibi fermentati vengono considerati da taluni in un certo senso come alimenti “predigeriti”, per cui sono più facilmente assimilabili dal nostro organismo.

I cibi fermentati sono uno dei prodotti culinari più antichi ed apprezzati, tra i più grandi classici della cucina Occidentale ed in particolare di quella Orientale, dove alimenti fermentati di diversa natura sono alla base delle varie cucine nazionali, come nel caso del koji che incarna la millenaria tradizione culinaria asiatica, o il kimchi, il piatto nazionale coreano e lo stinky tofu, snack della cultura cinese.

[1] ndr: la cipolla fermentata potrebbe essere utilizzata in futuro come aroma naturale in diverse alternative plant-based per imitare odore e sapore della carne senza l’utilizzo di additivi artificiali. Uno studio recente pubblicato sulla rivista Journal of Agricultural and Food Chemistry ha dimostrato che cipolle e porri, quando fermentati con funghi – Polyporus umbellatus -, sono in grado di produrre sostanze chimiche naturali simili agli aromi gustosi della carne

Redazione amaperbene.it

AMAxBenE è l’acronimo di AliMentAzione per il BenEssere

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