Latte e derivati

Formaggi Italiani (e soprattutto CAMPANI)

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  • Asiago D.O.P. d’Allevo – L’Asiago d’Allevo presenta una pasta semigrassa; semidura per la tipologia Mezzano; dura, a lunga stagionatura per la tipologia d’Allevo. Le forme provenienti dalle zone di montagna possono fregiarsi della dicitura “Prodotto della Montagna”.

jFormaggio tipico dell’altopiano di Asiago (Vicenza) da latte di vacca che si “alleva”, ovvero si stagiona. Le due tipologie, Mezzano e d’Allevo, hanno diversità sensoriali interessanti, questo anche per le varianti dell’Allevo che sono il Vecchio e lo Stravecchio. L’Asiago di malga ha caratteristiche organolettiche e sensoriali di alto pregio. Quello stravecchio è Presidio Slow Food.

 

  • Asiago D.O.P. Pressato – Formaggio di breve e media stagionatura, a pasta semidura.

Antico prodotto dell’altopiano di Asiago da latte vaccino. Porta il sinonimo di Pressato per il fatto caratteristico di essere sminuzzato, dopo l’estrazione della pasta, e pressato. Formaggio da tavola molto piacevole e apprezzato.

 

  • Bitto D.O.P. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura, in funzione della stagionatura.

È il formaggio principe degli alpeggi per i luoghi dove viene lavorato e per l’antica tecnologia. Sulle montagne della Valtellina, in provincia di Sondrio, le vacche, accompagnate da poche capre, si spostano sugli alti pascoli. Il latte misto che ne scaturisce viene sapientemente lavorato, tanto da permettere al formaggio di essere consumato fino a 10 anni.

 

  • Bra D.O.P. duro – Formaggio semigrasso, a pasta dura, di media o lunga stagionatura.

Prodotto nelle valli e nelle montagne di Cuneo, con latte di vacca, pecora e capra. Prende il nome dalla città di Bra, dove in passato veniva commercializzato. E’ marchiato “Prodotto della Montagna” se realizzato e stagionato oltre 900 metri, nelle zone previste dall’apposito Albo. Può essere “di Alpeggio” se prodotto con latte crudo in pascoli iscritti in un elenco dedicato.

 

  • Bra D.O.P. tenero – Formaggio grasso, a pasta semidura, di breve o media stagionatura.

Prodotto nelle valli e nelle montagne di Cuneo, con latte di vacca, pecora e capra. Così come il Bra D.O.P. Duro, può essere fatto in alpeggio. Il suo aroma di media intensità lo rende un formaggio adatto a tutti, molto apprezzato e molto utilizzato nella regione confinante, la Liguria.

 

  • Caciocavallo Silano D.O.P. – Formaggio grasso, di breve o media o lunga stagionatura, a pasta filata dura.

Prodotto tipico del sud italiano nelle regioni Basilicata, Calabria, Molise e Puglia. Prende il nome dall’altopiano della Sila. Realizzato con latte di vacche prevalentemente alimentate allo stato brado. La stagionatura avviene per un minimo di 30 giorni in cantine. Il clima della Sila è una componente importante per la stagionatura che concede a questo formaggio aromi intensi e una piacevole piccantezza.

 

  • Canestrato Pugliese D.O.P. – Formaggio grasso, a media o lunga stagionatura, pasta dura.

Prodotto nelle provincie di Foggia e Bari, in una zona altimetrica variabile fra i 250 e i 700 metri, dove il clima mediterraneo crea ottimali condizioni di allevamento. È fatto con latte di pecora da greggi che tradizionalmente scendono dall’Abruzzo a svernare. Tipica forma con la superficie solcata dalle striature lasciate dai canestri, è un formaggio da tavola e si abbina piacevolmente alle verdure e alla frutta.

 

  • Casatella Trevigiana D.O.P. – Formaggio semigrasso, fresco, a pasta molle.

Prodotto nella provincia di Treviso con latte di vacca. Da consumarsi fresco, come usavano fare le massaie nelle case del Trevigiano. Antico formaggio della tradizione casalinga, oggi viene prodotto per un consumo più ampio. Apprezzato per le caratteristiche aromatiche e di particolare succulenza.

 

  • Casciotta d’Urbino D.O.P. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

È Casciotta, con la “s”, per l’errore di un impiegato ministeriale. Oggi, però, il nome distorto dà forza all’unicità di questo formaggio marchigiano prodotto nelle province di Pesaro ed Urbino. È di latte misto pecora e vacca. Si inquadra tra le paste molli. Anticamente “cacina”, si presenta come piccolo cacio dall’aspetto elegante, lucido con aromi medio bassi che favoriscono un consumo generalizzato.

 

  • Castelmagno D.O.P. – Formaggio semigrasso o grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Formaggio piemontese d’importanza storica prodotto in alcuni comuni della provincia di Cuneo con latte di vacca e un’eventuale aggiunta di latte di pecora e capra. Molto particolare per la sua tecnologia, può provenire dall’alpeggio, a quote superiori ai 1000 metri, con una menzione aggiuntiva “di Alpeggio”. La stagionatura avviene in luoghi naturali e asciutti, o in grotte. La pasta, friabile, ha odori e aromi intensi.

 

  • Fiore Sardo D.O.P. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, con pasta dura e friabile.

La zona d’origine è la Sardegna. L’origine è il latte di pecora, prevalentemente di razza sarda. Una delle particolarità è di essere realizzato dai pastori che in locali tipici usano ancora il fuoco a legna, il quale concede al formaggio una lieve affumicatura. Gli odori e gli aromi sono intensi. La pasta presenta tutta la dolcezza del latte ovino.

 

  • Fontina D.O.P. – Formaggio grasso, a media o lunga stagionatura, a pasta semidura e crosta lavata.

Formaggio che subisce molti tentativi d’imitazione. Prodotto in Valle d’Aosta, anche in alpeggio, con latte di vacca. La maturazione è di almeno 3 mesi. Nel primo mese le forme vengono trattate con acqua e sale, la stagionatura avviene in ambienti naturali. Eccellente quella d’alpeggio per le intense caratteristiche aromatiche.

 

  • Formaggella del Luinese D.O.P. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle (semidura nel disciplinare).

Prodotto nell’area alpina lombarda, nei territori montani di Varese, con solo latte di capra. Matura per almeno 20 giorni a temperatura controllata o in cantine naturali. Ottimo formaggio, è apprezzato per le sue caratteristiche di media intensità aromatica anche da chi non è amante dei caprini.

 

  • Formaggio di fossa di Sogliano D.O.P. – Formaggio grasso, di media stagionatura, a pasta semidura.

Formaggio storico degli Appennini dell’Emilia Romagna e delle Marche, dove i Malatesta nascondevano i prodotti, passibili di razzie, in fosse scavate nella roccia. È fatto con latte di vacca, pecora o misto. Prima dell’infossatura viene inserito in un sacchetto di tela. L’affinatura in fosse dona al formaggio un’alta intensità aromatica.

 

  • Formai de Mut dell’Alta Valle Brembana D.O.P. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Formaggio da latte di vacca, di “montagna”, dell’Alta Val Brembana. Si inserisce nelle produzioni alpine in un piccolo perimetro delimitato dal Parco delle Orobie Occidentali Bergamasche. Prodotto negli alpeggi ad alta quota, è un formaggio di elevata intensità aromatica, apprezzata particolarmente dagli esperti.

 

  • Gorgonzola D.O.P. – Formaggio grasso, a breve e media stagionatura, a pasta molle o semidura.

Formaggio lombardo e piemontese che si classifica nei formaggi erborinati. Molto conosciuto. Di breve e media stagionatura, a seconda delle tipologie Dolce o Piccante. Fatto con latte di vacca inoculato di Penicillium Roqueforti, tende a maturare rapidamente proprio per la presenza di queste muffe. Durante la maturazione le forme vengono forate per favorire il passaggio di aria che consente alle muffe di svilupparsi. La media aromaticità della tipologia Dolce è in antitesi con quella elevata della pasta Piccante.

 

  • Grana Padano D.O.P. – Formaggio semigrasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Il Grana Padano D.O.P. si inserisce nei formaggi a pasta grana con una produzione molto importante, così come il suo commercio all’estero. È d’origine padana e viene prodotto nelle regioni Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige, Veneto ed Emilia Romana. Il formaggio, semigrasso, da latte di vacca richiede una lunga stagionatura. Il Grana Padano Riserva almeno 20 mesi. La pasta è friabile, con intensità aromatiche medio elevate, persistenti.

 

  • Montasio D.O.P. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Prodotto in due regioni, Friuli Venezia Giulia e Veneto, con latte di vacca. Caratterizzato da quattro tipologie: Fresco, Semistagionato, Stagionato, Stravecchio. Contraddistinto come “prodotto di montagna”, presenta intensità aromatiche medio elevate in funzione del periodo di stagionatura.

 

  • Monte Veronese D.O.P. a latte intero – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

È il formaggio tipico dei Monti Lessini e del Monte Baldo, nella provincia di Verona. Molto piacevole per le sue caratteristiche di freschezza e succulenza. Viene stagionato almeno 20 giorni e si inserisce nella categoria dei formaggi a latte intero. Notevole quello prodotto in alpeggio.

 

  • Monte Veronese D.O.P. d’Allevo – Formaggio semigrasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura il Mezzano, dura lo Stagionato.

Formaggio tipico dei Monti Lessini e del Monte Baldo, nella provincia di Verona. È prodotto con latte di vacca parzialmente scremato per affioramento. L’Allevo può essere Mezzano e Vecchio, in funzione della stagionatura. Eccellente quello fatto in alpeggio, per l’aromaticità che conferiscono le erbe particolari dei pascoli, tanto da essere un Presidio Slow Food.

 

  • Mozzarella di Bufala Campana D.O.P. – Formaggio grasso, fresco, a pasta filata.

 

Prodotto principalmente in Campania, ma anche nel Lazio, in Molise e in Puglia, con latte di bufala mediterranea italiana. E’ un formaggio a pasta filata da consumare fresco o accompagnato da prodotti della terra del sud italiano. È apprezzato e consumato da coloro che amano l’aroma semplice del latte e dello yogurt. Ingrediente di molte ricette italiane, la Mozzarella di bufala campana è conosciuta in tutto il mondo.

 

  • Mozzarella di Gioia del Colle Dop – Formaggio fresco a pasta filata che viene commercializzata immersa in liquido di governo costituito da acqua, eventualmente acidulata e salata.

 

  • Murazzano D.O.P. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

In una delle più piccole zone italiane d’origine, l’Alta Langa, in provincia di Cuneo, nasce questo formaggio con latte di pecora o misto pecora-vacca. Può essere consumato dopo una decina di giorni o maturare oltre due mesi. E’ decisamente interessante la tipologia fresca. A seconda della stagionatura presenta aromaticità diverse. E’ un Presidio Slow Food.

 

  • Nostrano Valtrompia D.O.P. – Formaggio semigrasso, di lunga stagionatura, a pasta dura, granulosa.

In provincia di Brescia, in Valtrompia, viene prodotto a fondo valle nella stagione invernale e in alpeggio durante l’estate. Ha origine da latte di vacca parzialmente scremato, richiede una stagionatura di almeno 12 mesi, che si protrae anche per 24. Formaggio dalle importanti aromaticità, soprattutto quello d’alpeggio.

 

  • Ossolano D.O.P. – Formaggio semigrasso o grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Anticamente poteva essere definito il Nostrano delle valli Ossolane, ma già nel 1000 fu denominato Ossolano. Era destinato anche agli scambi commerciali, grazie alle sue caratteristiche di stagionatura. Oggi è il formaggio tipico del territorio, consumato soprattutto nella cucina locale.

 

  • Parmigiano Reggiano D.O.P. – Formaggio semigrasso, a lunga stagionatura, a pasta dura, granulosa.

Forse il formaggio italiano più conosciuto al mondo, anche per le note vicende legate agli innumerevoli tentativi d’imitazione. Viene prodotto nelle province di Modena, Reggio Emilia e Parma, parte delle province di Bologna e Mantova, con latte di vacca parzialmente scremato per affioramento. La stagionatura deve essere di almeno 12 mesi e, se si protrae per 18 mesi, viene marchiato come Extra. La pasta, tipicamente “grana”, è friabile, dall’intensità aromatica medio-elevata.

 

  • Pecorino crotonese D.O.P. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Prodotto nell’intero territorio della provincia di Crotone con latte di pecora. Proposto in tre tipologie: fresco, semiduro e stagionato. Tanto prezioso che è stata richiesta la Denominazione di Origine Protetta.

 

  • Pecorino del Monte Poro D.O.P. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura e dura, piccante.

Prodotto in Calabria, nella zona del Monte Poro, in provincia di Vibo Valentia, con latte di pecora e vacca. A pasta semidura, può maturare da 1 a 12 mesi e, in base al grado di stagionatura, offrire un’intensità aromatica abbastanza elevata e piccante.

 

  • Pecorino delle Balze Volterrane D.O.P. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Anticamente i formaggi e i salumi venivano conservati in cassoni, dove la cenere li proteggeva da infestazioni di muffe o insetti. Questo Pecorino tutt’oggi viene trattato in modo analogo, con la cenere che lo copre.

 

  • Pecorino di Filiano D.O.P. – Formaggio grasso, a lunga stagionatura, a pasta dura.

Dalla provincia di Potenza, è tipico del paese che ne contraddistingue l’origine. Prodotto con latte di pecore allo stato brado, è un formaggio che deve stagionare almeno 180 giorni in grotte di tufo o locali sotterranei. La pasta è friabile e piccante, con intensità aromatica piuttosto elevata.

 

  • Pecorino di Picinisco D.O.P. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Formaggio che nasce dal latte di pecora Comisana e Massese e da quello delle capre di razza Grigia Ciociara e Bianca Monticellana. L’alimentazione delle lattifere è del tutto naturale, grazie alle erbe dei pascoli, anche alti, del Parco nazionale d’Abruzzo. Tipicamente è il formaggio dei pastori. Classica forma cilindrica, con crosta dura e una pasta che denota piccantezza dopo una media stagionatura. In provincia di Frosinone si consuma in purezza o con pane casereccio.

 

  • Pecorino Romano D.O.P. – Formaggio a pasta grassa, dura, di media e lunga stagionatura.

Prodotto dal nome caratteristico che però non identifica la capitale d’Italia ma la storia, in particolare quella dell’esercito dei Romani. È fatto con latte di pecora nelle regioni Lazio e Sardegna, nonché nella provincia di Grosseto, in Toscana. Il periodo di stagionatura è di 5 mesi e, in alcuni casi, nel Lazio, avviene in grotte di tufo Etrusco-Romane. Possiede una medio elevata intensità aromatica. Particolarmente riconoscibile per l’elevato sapore salato.

 

  • Pecorino Sardo D.O.P. – Formaggio grasso, a breve, media e lunga stagionatura, a pasta semidura e dura.

Il Pecorino sardo è il frutto della storia della pastorizia e della caseificazione del latte di pecora in Sardegna. La stagionatura varia a seconda della tipologia, può essere Dolce o Maturo. Particolarmente utilizzato nella cucina sarda o italiana, quando è stagionato piace grattugiato sulle pietanze.

 

  • Pecorino Siciliano D.O.P.- Formaggio grasso, di breve, media e lunga stagionatura, a pasta dura.

Prodotto in tutta la Sicilia con latte di pecora di varie razze. Le tipologie sono individuate a seconda della maturazione: Tuma, Primo Sale, Secondo Sale, Stagionato. È uno dei più antichi formaggi siciliani, fonte alimentare del popolo. L’intensità aromatica è medio elevata. Interessante per le diversità determinate dalla zona d’origine in cui viene prodotto.

 

  • Pecorino Toscano D.O.P. – Formaggio grasso, di breve, media e lunga stagionatura, a pasta semidura e dura.

La produzione avviene in Toscana o in alcune zone dell’Umbria e del Lazio. Il latte di origine è quello di pecora di varie razze. È a stagionatura diversa, a seconda della tipologia Tenera o Semicotta. Sono molto variabili le proprietà organolettiche e sensoriali a causa dell’alimentazione delle lattifere in un territorio molto ampio e diverso, che si sviluppa dalle montagne degli Appennini fino al mar Tirreno.

 

  • Piacentinu Ennese D.O.P. – Formaggio grasso, di breve e media stagionatura, a pasta dura.

In Sicilia, nella provincia di Enna, questo antico formaggio viene prodotto con latte di pecora di varie razze. Addizionata con zafferano siciliano, che in cucina fu introdotto dal popolo berbero, e pepe nero in grani, la bella pasta gialla matura in 60 giorni, assumendo un’intensità aromatica del tutto particolare. E’ un Presidio Slow Food.

 

  • Piave D.O.P. – Formaggio grasso, di breve, media e lunga stagionatura, a pasta semidura e dura.

Prodotto da un solo caseificio nel Veneto, in provincia di Belluno, con latte di vacca di varie razze. Le tre tipologie, che variano a seconda della stagionatura sono: Fresco, Mezzano e Vecchio. La più stagionata viene marchiata Vecchio Selezione Oro e Vecchio Riserva. Intensità aromatica e odore medio-bassi.

 

  • Provola dei Nebrodi D.O.P. – Formaggio grasso, fresco o di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura, filata.

Formaggio che assomiglia molto al Provolone, sia per il processo produttivo, sia per la lunga stagionatura, sia per le proprietà organolettiche. La formatura a pera allungata nasce da una tecnica che si può definire “a palla”.

 

  • Provolone del Monaco D.O.P. – Formaggio grasso, a lunga stagionatura, a pasta semidura, piccante.

Come da tradizione casearia napoletana e sorrentina, questo formaggio a pasta filata viene prodotto con latte di vacca di varie razze fra le quali l’Agerolese, tipica del territorio. Si presenta a forma di melone o pera senza testina, con legatura che deve suddividere il formaggio in almeno sei spicchi. Richiede una stagionatura minima di 6 mesi. L’intensità aromatica è medio elevata. Da degustare preferibilmente in purezza.

 

  • Provolone Valpadana D.O.P. – Formaggio grasso, di breve, media e lunga stagionatura, a pasta semidura, filata.

Prodotto in alcune regioni che comprendono la Valle Padana: Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e parte della provincia di Trento. Fatto con latte di vacca, si presenta in due tipologie, Dolce e Piccante. Richiede una maturazione minima di 30 giorni e una stagionatura lunga che, per la versione Piccante, può raggiungere 16 mesi. Quest’ultima ha un’elevata intensità aromatica.

 

  • Puzzone di Moena D.O.P. – Formaggio grasso, a volte semigrasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura, a crosta lavata.

Formaggio molto conosciuto da chi frequenta la Val di Fassa e la Val di Fiemme, ma anche da chi ama formaggi dalle elevate proprietà aromatiche. Fatto con latte eccellente, viene trattato nel periodo di maturazione con lavaggi della crosta che consentono alla pasta di assumere aromi intensi, che alcuni chiamano “puzza”. E’ Presidio Slow Food.

 

  • Quartirolo Lombardo D.O.P. – Formaggio grasso o semigrasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

È prodotto in gran parte del territorio lombardo con latte di vacca. Consumato in due tipologie: Tenero, con maturazione compresa fra i 5 e i 30 giorni; Maturo oltre i 30 giorni. Formaggio da tavola con diversità importanti di tessitura della pasta, da friabile a cremosa, ma soprattutto aromatiche, da medio bassa ad alta intensità.

 

  • Ragusano D.O.P. – Formaggio grasso, di media, lunga stagionatura, a pasta dura, filata.

Prodotto in Sicilia, in provincia di Ragusa e Siracusa, con latte di vacca, è uno dei formaggi più antichi della regione. A pasta filata, ha una forma particolare, tanto da assomigliare a un mattone. Viene appeso a una pertica orizzontale per la maturazione, 3 mesi in locali interrati, umidi e ventilati. Presenta un’intensità aromatica abbastanza elevata.

 

  • Raschera D.O.P. – Formaggio semigrasso, di breve, media stagionatura, a pasta semidura.

Formaggio piemontese prodotto nella provincia di Cuneo con latte di vacca e un’aggiunta di latte di pecora o capra. Viene formato a cilindro, ma anche a parallelepipedo, con base quadrata. La maturazione è breve, 30 giorni. Eccellente formaggio d’alpeggio da degustare in purezza. Se stagionato, l’aroma è intenso e può essere piccante.

 

  • Ricotta di Bufala Campana D.O.P. – Prodotto a basso contenuto di grassi, fresco, con struttura morbida e cremosa.

Prodotto tipico della zona meridionale d’Italia, si fa in più regioni: Campania, Lazio, Puglia, Molise. Laddove è più intenso l’allevamento delle bufale mediterranee. Ottenuta dalla coagulazione caldo-acida del siero proveniente dalla lavorazione del latte, può essere consumata fresca oppure omogeneizzata. È un latticino granuloso, morbido, cremoso con aroma lattico di bassa intensità.

 

  • Ricotta Romana D.O.P. – Prodotto a basso contenuto di grassi, fresco, con struttura morbida e cremosa.

Produzione tipica del Lazio, nasce dal siero del latte di pecora di razze varie. Dalla coagulazione caldo-acida del siero si estrae un prodotto che viene conservato in celle refrigerate e subito commercializzato. Latticino fresco dalla forma tronco-conica, caratterizzato da un aroma lattico pecorino, di bassa intensità.

 

  • Robiola di Roccaverano D.O.P. – Formaggio grasso, fresco o a breve stagionatura, a pasta molle.

Prodotta nelle province di Asti e Alessandria, con solo latte di capra, o misto a pecora e vacca. Si presenta nella tipologia Fresco, con maturazione di 4-10 giorni; Affinato, se oltre 11 giorni. Sia Fresco che Affinato, denota aromi sensazionali e la pasta è morbida, umida, untuosa e adesiva. E’ un Presidio Slow Food.

 

  • Salva Cremasco D.O.P. – Formaggio grasso, di media stagionatura, a pasta molle e crosta lavata.

Formaggio tipico lombardo prodotto nelle province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lecco, Lodi, Milano e Monza-Brianza con latte di vacche alimentate secondo la tradizione Padana. Particolari aromi sono sprigionati dalla pasta friabile, anche in funzione della lavorazione in maturazione che stabilisce il lavaggio della crosta.

 

  • Silter D.O.P. (Lombardia) – Formaggio semigrasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Proviene dalla Val Camonica e dal versante est del lago di Iseo. A pasta dura, semigrasso, prodotto con il latte di vacca di razza Bruna. Un monorazza, quindi, che può arrivare solo dagli alpeggi nel periodo della monticazione.

 

  • Spressa delle Giudicarie D.O.P. – Formaggio semigrasso, a media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Dalle zone alpine delle Valli Giudicarie, del Chiese, Rendena e di Ledro, in Trentino Alto Adige, arriva questo formaggio semigrasso con latte di vacca. Può essere Giovane (3 mesi) o Stagionato (6 mesi). È, al contrario dei tanti formaggi da alpeggio, il risultato della caseificazione nei mesi in cui le vacche stanno in stalla e sono alimentate con affienati della zona. Interessanti le qualità aromatiche.

 

  • Squacquerone di Romagna D.O.P. – Formaggio grasso, fresco a pasta molle.

È il prodotto caseario tipico dell’Emilia Romagna, in particolare delle province di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini, Bologna e parte del territorio di Ferrara. Formaggio fatto con latte di vacca a pasta molle che “squacquera”. La maturazione non supera i 4 giorni. Formaggio fresco senza nervo. Il nome descrive la sua non forma, determinata dalla confezione che lo contiene. Tipicamente utilizzato con la Piadina romagnola.

 

  • Stelvio o Stilfser D.O.P. – Formaggio grasso, di media stagionatura, a pasta semidura e crosta lavata.

Formaggio che nasce da una ben radicata cultura contadina in una parte della provincia di Bolzano, con latte di vacche allevate nei masi di montagna. A media stagionatura, a pasta semidura, elastica, con belle occhiature. L’aroma medio ne determina un formaggio adatto alla maggior parte dei consumatori.

 

  • Strachitunt D.O.P. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta molle erborinata.

La provincia di Bergamo è un territorio importante per la produzione casearia italiana. Propone prodotti eccezionali come questo. Un formaggio a pasta molle erborinata a due paste, ovvero fatto con la lavorazione separata di due cagliate. Le caratteristiche sensoriali sono di tutto rispetto.

 

  • Taleggio D.O.P. – Formaggio grasso, a breve, media stagionatura, a pasta molle e crosta lavata.

La sua storia è strettamente legata alla Val Taleggio, da cui prende il nome, ma col tempo la sua produzione si è ampliata in un territorio molto vasto che comprende una gran parte della Lombardia, del Piemonte e la provincia di Treviso, nel Veneto. Prodotto vaccino, a crosta lavata, perché subisce un trattamento, durante la stagionatura, che prevede spugnature di acqua e sale. Intensità aromatiche e odori medio elevati.

 

  • Toma Piemontese D.O.P. – Formaggio semigrasso o grasso, a breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Prodotto in Piemonte, in luoghi alti, tra vallate e monti, per poi estendersi alla pianura. Fatto con latte di vacca, appartiene alla categoria delle croste lavate. La stagionatura varia dai 20 ai 45 giorni, a seconda del formato. Se d’alpeggio, deve maturare almeno 60 giorni. E’ un formaggio grasso o semigrasso, da tavola.

 

  • Valle d’Aosta Fromadzo D.O.P. – Formaggio magro o semigrasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Formaggio nato a completamento della cultura casearia della Valle d’Aosta. Infatti, diversamente dalla Fontina D.O.P., è semigrasso o a basso contenuto di grasso. Proviene da latte di vacca, eventualmente addizionato con una piccola percentuale di latte di capra. La maturazione minima è di 60 giorni e può stagionare fino a 10 mesi. Possono essere aggiunte erbe tipiche della montagna.

 

  • Valtellina Casera D.O.P. – Formaggio semigrasso, di media e lunga stagionatura, a pasta semidura e dura.

Tipico della valle che gli dà il nome, nella provincia di Sondrio, viene prodotto con latte di vacca parzialmente scremato. La tecnica casearia è tipica dei formaggi alpini. Stagiona almeno 70 giorni, dopodiché viene marchiato a fuoco. È un formaggio semigrasso a media e breve stagionatura, da tavola. Se stagionato l’intensità aromatica e l’odore sono mediamente intensi.

 

  • Vastedda della Valle del Belìce D.O.P. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle e filata.

Prodotto in parte delle province di Agrigento, Palermo e Trapani, in Sicilia, con solo latte di pecora. Interessante in quanto appartiene alla classe delle paste filate da latte ovino. Un formaggio fresco, che si consuma dopo appena 2 giorni. Ha la forma di una focaccia con superficie liscia, elastica, che si abbina al pane casereccio. Presenta bassa intensità aromatica. E’ un Presidio Slow Food.

 

  • Burrata di Andria I.G.P. – Formaggio a doppia panna, fresco, a pasta molle, filata.

Con la pasta filata normalmente impiegata per la Mozzarella di latte vaccino, si formano dei piccoli sacchetti sferici contenenti straccetti della stessa pasta dell’involucro e panna, ottenuta per centrifuga dal siero residuo della lavorazione della Mozzarella. La Burrata, quindi, è a doppia panna. Si consuma fresca.

 

  • Canestrato di Moliterno I.G.P. – Formaggio grasso, a media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Prodotto in Basilicata, nei comuni in provincia di Potenza e Matera, da latte misto di pecora e capra. È simbolo della transumanza, essendo realizzato lungo i percorsi antichi delle greggi. La stagionatura avviene nei fondaci di Moliterno. Viene trattato con olio di oliva o aceto di vino, oppure con acqua di fuliggine. Sia la tipologia Primitivo che lo Stagionato si presentano con aromi di intensità media o medio-elevata.

 

  • Mozzarella S.T.G. – Formaggio grasso, fresco a pasta filata.

Formaggio tipico della cultura casearia italiana, viene prodotto ormai in tutto il mondo con latte di vacca, pur mantenendo la sua originalità. Considerato un patrimonio storico italiano, è un formaggio fresco, impiegato anche per condire la pizza.

 

  • Storico ribelle – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura, a seconda della stagionatura.

Noto anche come Bitto storico, è un formaggio lombardo, conosciuto anche come formaggio “della Val del Bitt”; è uno dei formaggi d’Alpe più antichi che conserva la tecnologia, le modalità di stagionatura e le caratteristiche organolettiche di un tempo. Prodotto nei “calècc”, siti antichi in pietra, dove il casaro riscalda il latte e cuoce la cagliata sul fuoco a legna, è un prodotto particolarmente longevo. Può stagionare anche più di 10 anni senza perdere le sue eccellenti caratteristiche organolettiche. È un presidio Slow Food.

 

  • Acidino (Fior di capra con o senza erbette) P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Questo formaggio a coagulazione lattica da latte di capra completa uno scenario caseario, quello dell’altopiano di Asiago, prevalentemente basato sulla lavorazione del latte vaccino. La possibilità di aromatizzarlo con erbe naturali del luogo lo rende un prodotto ricercato.

 

  • Agordino di malga P.A.T. – Formaggio semigrasso o grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

I formaggi d’Alpe sono a pieno titolo il prodotto dell’alpeggio. Dall’Agordino arriva questo formaggio con latte di vacca prodotto solo in estate, quando le vacche oziano nei pascoli alti. Le erbe e le fioriture spontanee lasciano nel latte, e di conseguenza nel formaggio, aromi unici, appassionanti per il degustatore.

 

  • Agrì di Valtorta P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle, a coagulazione lattica.

Arriva dall’Alta Valle Brembana e viene fatto con latte di vacca da un solo caseificio. Per questo è tutelato da un Presidio Slow Food. Formaggio a latte intero, a coagulazione lattica, che si consuma fresco.

 

  • Ainuzzi P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura, filata.

In provincia di Agrigento è il formaggio della religiosità. Durante la processione del Corpus Domini è tradizione esporlo come decoro. E dopo le celebrazioni, viene distribuito ai poveri. Dalle forme di cervo, daino e capra, è un formaggio a pasta filata semidura con un bel colore paglierino.

 

  • Algunder bauernkase halbfett (Formaggio contadino semigrasso di Lagundo) A.T. – Formaggio semigrasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Formaggio conosciuto dal 1960 e continuamente riproposto dai casari della zona di produzione. Mantiene una morbidezza della pasta anche dopo alcuni mesi di stagionatura. Di medie-piccole dimensioni è particolarmente commercializzato in loco.

 

  • Algunder butterkase (Formaggio di Lagundo) A.T. – Formaggio a doppia panna, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Tecnologicamente simile all’Algunder bauernkase halbfett, che ha la stessa zona di produzione, ma con la sostanziale differenza che in fase produttiva al latte si aggiunge panna. Della tipologia a doppia panna, con la stagionatura assume una leggera piccantezza.

 

  • Algunder ziegenkase (Formaggio di capra di Lagundo) A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Dal latte di capra della zona, in un territorio fortemente vocato alla produzione di formaggi, questo Caprino segue le tradizionali tecnologie casearie. In fase di maturazione la crosta viene lavata con acqua e sale, assumendo il classico aspetto delle croste lavate, che concedono al formaggio intensità aromatiche.

 

  • Alpkase (Formaggio di alpeggio) A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Arriva dalla tradizione agricola altoatesina, tanto che le origini di questo formaggio si perdono nella notte dei tempi. A pasta semidura, conserva le proprietà organolettiche del latte di partenza, di vacca.

 

  • Animaletti di provola P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta semidura, filata.

Sempre riconducibile alla Calabria, viene prodotta con latte di vacca. Le forme prendono le sembianze di piccoli animali. Viene utilizzata per adornare le tavole durante le feste. La maturazione può durare al massimo 2 settimane.

 

  • Aschbacher magerkase (Formaggio Aschbach magro) A.T. – Formaggio semigrasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

La scrematura del latte in Alto Adige fa riferimento sempre alla produzione del burro. La tecnica della scrematura è solitamente per affioramento, ma si usa anche quella per centrifuga del latte. Il formaggio semigrasso che ne deriva viene piacevolmente accolto dal consumatore.

 

  • Asìno P.A.T. – Formaggio grasso di breve o media stagionatura a pasta semidura.

Formaggio molto particolare: dopo l’estrazione e la formatura, viene immerso in una soluzione di acqua, latte e panna di affioramento. Dando vita a due tipologie: classica e morbida.

 

  • Axridda P.A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta dura.

Da una pratica antica che risale a Plinio il Vecchio, continua nel segno della tradizione la ricopertura delle forme con “axridda”, argilla. Che provenga da latte di pecora o di capra, questo è un formaggio che si fa solo nel periodo gennaio-maggio. E per passare l’estate, viene appunto trattato con l’argilla.

 

  • Bagòss P.A.T. – Formaggio semigrasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Dal nome degli abitanti di Bagolino (Brescia), viene prodotto col latte di vacche razza Bruna. Stagiona anche alcuni anni. Formaggio tutelato da un Presidio Slow Food che ne preserva l’origine.

 

  • Bastardo del Grappa P.A.T. – Formaggio semigrasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Nell’immenso scenario dei pascoli alti del monte Grappa, sacro alla Patria, brucano vacche che producono un latte unico per formaggi le cui proprietà organolettiche catturano l’attenzione del degustatore. In questi scenari il Bastardo viene fatto come una volta. L’unica differenza è che non si impiega più il latte ovino e caprino.

 

  • Bebé di Sorrento P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta semi-cotta e filata.

Formaggio della penisola sorrentina prodotto per soddisfare le esigenze dei turisti che, soprattutto d’estate, cercano aromi particolari e interessanti. Forma molto piacevole e apprezzata a prima vista. Il bebè prende il nome dalla sua forma, che ricorda un neonato in fasce.  Il suo procedimento di preparazione è molto simile a quello tradizionale del caciocavallo, da cui si differenzia per i tempi di stagionatura, che per il bebè sono molto brevi, con la conseguenza che il suo sapore è molto delicato.

 

  • Beddo P.A.T. – Formaggio semigrasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Tra i piccoli formaggi piemontesi, il Beddo viene fatto in un territorio di storia, cultura e religione. Si consuma fresco o dopo breve stagionatura, quando appare una sottilissima crosta paglierina, detta “camisa”.

 

  • Belicino P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta semidura.

Con il latte di pecora e le olive Nocellara del Belice, viene fatto fin dal dopoguerra. La pasta, semicotta, semidura viene miscelata alle olive trattate e maturate in salamoia. Si consuma subito dopo la salatura.

 

  • Bernardo P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Prodotto negli alpeggi della Val Seriana, utilizzando latte di vacca e una piccola percentuale di latte di capra. Formaggio a pasta molle, si consuma dopo breve maturazione, così come si usava nelle famiglie valligiane.

 

  • Bettelmatt P.A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

La sua notorietà è data dalle caratteristiche organolettiche e dalle limitate zone di produzione: solo 7 alpeggi. Si fa a latte intero di una sola munta, a pasta cotta e semidura.

 

  • Bocconcini alla panna di bufala P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle, filata.

Nelle stesse aree in cui viene prodotta la mozzarella di bufala, cioè nelle province di Napoli, Caserta e Salerno viene fatto questo formaggio sfruttando non solo le importanti tradizioni della pasta filata, ma anche la totalità dei derivati del latte stesso, in questo caso la panna. Si tratta di ciliegine di mozzarella immerse e conservate nella panna ricavata da latte di bufala e adagiate in piccole anfore di terracotta smaltata, che ne garantiscono la conservazione. Le ciliegine sono commercializzate anche in contenitori di plastica per alimenti, che ne rendono pratico l’asporto e la conservazione.

 

  • Bonassai P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

 

Nato piuttosto recentemente (1966), la sua produzione si è allargata in tutto il territorio sardo in pochi anni. A pasta cruda, molle e dalla forma insolita, a parallelepipedo, questo formaggio da tavola incrementa il numero e la qualità dei Pecorini sardi.

 

  • Boves P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Il latte di vacca intero, miscelato, nel periodo estivo, con quello di pecora e capra permette al casaro di ottenere questo formaggio di piccole dimensioni che si consuma fresco, anzi freschissimo. Le erbe e i fiori dei pascoli si sentono tutte…

 

  • Branzi P.A.T. – Formaggio grasso a breve, media, lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Importante formaggio della Val Brembana fatto in alpeggio con latte di vacca di razza Bruna. Per tutelarlo è stato predisposto un disciplinare di produzione.

 

  • Brossa P.A.T. – Latticino grasso, fresco, a pasta molle e burrosa.

Se ci si trova in Valle d’Aosta non si può fare a meno di gustare una fetta calda di polenta con la Brossa. E’ un’esperienza unica. Questo delizioso latticino, prodotto in piccole quantità, fa riscoprire la storia delle valli alpine occidentali e dei suoi abitanti che si alimentavano con semplici risorse piene di sostanze nutrienti.

 

  • Brus da latte P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve o media stagionatura, a pasta semidura, friabile.

Adottando una tecnica antica, il latte viene lasciato coagulare per molte ore. Dopo alcuni mesi la pasta del formaggio diventa friabile, asciutta. Latticino che si inserisce in quella tipologia di formaggi un tempo prodotti dalle famiglie dei contadini.

 

  • Brus P.A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta molle.

I formaggi avanzati dal consumo famigliare venivano grattugiati o fatti a scaglie, per poi essere mescolati fra loro aggiungendo un po’ di di latte. Dalla madre dei formaggi, innestata nell’impasto, derivava una fermentazione che permetteva alla miscela di ottenere un’elevata intensità aromatica. Quella che oggi offre il Brus, molto apprezzato dal consumatore.

 

  • Bruzzo della Valle Arroscia (Brus, Brussu) A.T. – Latticino aromatizzato.

Quando gli operai agricoli si portavano il pranzo al lavoro, erano soliti mangiare il Brus, una ricotta di pecora dai forti aromi, spalmato su una fetta di pane casereccio. Oggi questo prelibato formaggio è conosciuto nel luogo di produzione, ma poco altrove. Tanto che è Presidio Slow Food.

 

  • Burrata di bufala P.A.T. (Lazio) – Formaggio grasso, fresco, a pasta filata miscelata a panna.

Prodotta con latte di bufala nel territorio della provincia di Roma in quantità limitata. È un formaggio ripieno di straccetti di pasta filata e panna. Da consumare fresco.

 

  • Burrini e Burrata di bufala P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o a breve stagionatura, a pasta filata.

Prodotto nelle province di Napoli, Caserta e Salerno, il burrino è un formaggio a pasta filata formato da una sfoglia di formaggio di bufala al cui interno viene posta una pallina di burro. Il burro si ottiene dal siero residuo della lavorazione della pasta filata, che viene centrifugato e a cui viene data una forma sferica. In seguito, durante la lavorazione della pasta filata, vengono creati dei sacchetti di pasta al cui interno sono inserite le palline di burro. A seconda della forma, il prodotto viene chiamato “burrino”, quando è allungato e ha la testina, o “burrata”, quando viene confezionato in una forma più sferoidale ed è privo di testina; anche se le caratteristiche della forma variano a seconda del produttore e risultano ininfluenti sulle caratteristiche finali del prodotto. è un formaggio molto grasso, che nasce dall’esigenza di conservare, specialmente nei tempi passati, il burro il più a lungo possibile, mantenendone il gusto inalterato fino al momento del consumo. Il burrino si taglia a fette rotonde con il burro centrale, generalmente consumato fresco, spalmato su crostini di pane caldo e abbinato a vini rossi giovani.

 

  • Burrino (manteca) A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta filata, con burro.

Dovendo conservare il burro in assenza di strumenti per la refrigerazione, si usava avvolgerlo nella pasta filata. Oggi è una specialità del sud italiano che lega il tradizionale metodo di conservazione con la classica pasta filata, fresca e morbida.

 

  • Busche P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Dal territorio del basso Bellunese, dove il Piave scorre e separa la Valbelluna, il formaggio Busche ricorda le produzioni alpine, concedendosi una “particolarità”: la pasta morbida. Era chiamato “mastea”, dal secchio che conteneva il latte.

 

  • Butirro P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle e filata.

Proveniente soprattutto dall’Altopiano Silano, viene prodotto con latte di vacca. Nasce per conservare il burro all’interno di una pera di pasta filata. Matura in 7 giorni, va consumato fresco.

 

  • Caci figurati P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura, filata.

Per le occasioni particolari, i compleanni o le feste religiose, è un formaggio che diventa oggetto di regalo. A pasta semidura, filata, deve stagionare almeno 30 giorni, e può arrivare fino a 90.

 

  • Cacio di Genazzano P.A.T. – Formaggio grasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Un Pecorino a pasta semicotta fatto in provincia di Roma, nel territorio del comune dal quale prende il nome. La “schiumatura”, operazione eseguita, per spurgare le forme dal siero, con una cannuccia di legno, è la sua esclusività. Stagiona almeno 6 mesi.

 

  • Cacio di vacca bianca (Caciotta di vacca) A.T. – Formaggio grasso di breve-media stagionatura, a pasta molle e semidura con la stagionatura.

Prodotto in tutto il territorio abruzzese con latte di vacca di razza Marchigiana. La stagionatura avviene in luoghi freschi e ventilati da 1 a 6 mesi. L’aroma è di bassa o medio bassa intensità, a seconda della stagionatura.

 

  • Cacio in forma di limone P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Dalla tecnica classica di un formaggio a pasta molle fatto con latte di pecora, arriva questo prodotto marchigiano unico per le sue caratteristiche organolettiche. Il latte combinato col limone, un’accoppiata apparentemente strana, ma dal risultato sorprendente. Si consuma anche come dessert.

 

  • Cacio Magno (semplice e alle erbe) A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Da latte di pecora, prodotto nella provincia di Rieti. Si narra che il suo nome sia stato originato da Carlo Magno che l’assaggiò e l’apprezzò presso l’Abbazia di Farfa. Il latte è coagulato con caglio di agnello e di capretto miscelati.

 

  • Cacio P.A.T. (Puglia) – Formaggio grasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Un formaggio semplice. Dalla tecnica di produzione alla storia, legata alla transumanza. Non per niente, viene fatto in Puglia solo nel periodo in cui le greggi oziano nelle pianure del Tavoliere, fra ottobre e maggio, in attesa del periodo estivo, quando si trasferiranno sulle montagne, spesso quelle abruzzesi.

 

  • Caciobarile P.A.T. – Formaggio grasso, a pasta morbida

Formaggio a pasta morbida di latte vaccino della bassa provincia di Avellino, ben occhiato dal gusto dolce ma saporito; ha un sapore intenso, caratteristico, che richiama la caramellizzazione degli zuccheri dovuta alla tostatura.

 

  • Caciocavallo (Caciocavallo Podolico della Basilicata) A.T. – Formaggio grasso, a media o lunga stagionatura, a pasta semidura e filata.

Dalla forma ovoidale con testina, questo storico formaggio a pasta filata del Sud italiano viene prodotto in Basilicata, secondo la tradizionale cultura casearia, con latte di vacca. La stagionatura è di tre mesi. Caratterizzato da intensità aromatica medio-elevata.

 

  • Caciocavallo abruzzese P.A.T. – E’ un formaggio grasso, a breve, media e lunga stagionatura, a pasta semidura, filata.

Formaggio a pasta filata che può essere consumato dopo pochi mesi o dopo due anni. Gli aromi sono di media intensità, ma raggiungono elevate intensità con la stagionatura, che dà vita a un formaggio importante.

 

  • Caciocavallo affumicato P.A.T. (Campania) – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura filata.

Il caciocavallo è un formaggio a pasta filata di antichissima origine, molto diffuso in tutto il Mezzogiorno d’Italia, con numerose variazioni locali. Il nome deriva dall’antica consuetudine di appendere il formaggio, il cacio, in coppie, legate con un cappio di rafia, a cavallo di pertiche di legno in prossimità di focolari, per favorire la formazione della pellicola esterna e la successiva stagionatura. E’ prodotto in tutta la regione Campania, tradizionalmente con latte bovino di razze bianche di ceppo podolico, e ha una tipica forma rotondeggiante-allungata con testina e legatura vegetale. La buccia è sottile, piuttosto morbida, la pasta è filata con testina e legatura vegetale. e può essere sottoposto ad affumicatura con fuoco a legna o paglia naturale. La stagionatura dura da 60 giorni a oltre 12 mesi. Il prodotto a lunga stagionatura, che viene effettuata in idonei ambienti areati o in grotte, acquista il caratteristico piccante, a volte molto accentuato. In alcune zone della provincia di Caserta (Monti del Matese), c’è chi ancora conserva la tradizione di effettuare l’ultima fase di stagionatura nella paglia, sistema che conferisce ai caciocavalli così trattati un aroma delicato e particolare. Nelle zone di produzione della mozzarella di bufala, cioè le province di Napoli, Salerno e Caserta, si produce anche il caciocavallo di bufala, secondo le tecniche di lavorazione tradizionali del caciocavallo, ma utilizzando latte di bufala. Anche il caciocavallo di bufala può essere soggetto ad affumicatura ed è caratterizzato da una stagionatura più lunga.

Molto prelibato è il caciocavallo della zona di Castelfranco in Miscano, nel Beneventano (vedi sotto).

 

  • Caciocavallo del Formicoso P.A.T. (Campania)Pasta filata.

Il Caciocavallo del Formicoso (altopiano situato nel settore centro-orientale dell’Irpinia, nei pressi di Bisaccia e Andretta) è un formaggio a pasta filata prodotto con latte proveniente da allevamenti di piccole e medie dimensioni presenti esclusivamente sul territorio di competenza, da bovine di varie razze in particolare di razza Pezzata Rossa. Nella storia il caciocavallo del Formicoso è sempre stato prodotto nel periodo primaverile-estivo quando venivano impiegati solo bovini di razza podolica, marchigiana o anche incroci delle due razze, utili non solo per la produzione di latte ma anche come animali da lavoro.

 

  • Caciocavallo del Matese P.A.T. – Pasta filata.

In un territorio dove da secoli la pastorizia ha un ruolo determinante, nascono formaggi tipici come questo, in grado di essere consumato dopo una breve stagionatura, ma anche dopo 18 mesi, con risultati di elevata intensità aromatica. Se ne differenziano tre tipologie:

  • friscu (fresco) per il formaggio fino a 20-25 giorni dalla produzione;
  • musciu (semistagionato) per il formaggio da 20 giorni fino a 90 giorni di stagionatura;
  • siccu (stagionato) per il prodotto da 7 mesi a 18 mesi di stagionatura.

La forma è ovale o tronco conica (a pera) con testina strozzata dal legaccio di raffia che serve per appendere le forme a delle pertiche per la stagionatura. Viene preparato in diverse pezzature che variano da 800g sino a 2,5 kg Alla vista si presenta: il fresco con crosta liscia e bianca sodo al tatto, il semistagionato ha una crosta liscia quasi lucida di colore giallo paglierino, il secco si presenta con crosta ruvida di colore bruno. La pasta è omogenea e compatta bianco latte nella tipologia frasca, tendente al giallo paglierino nella versione stagionata più carico all’esterno e meno carico all’interno. Possono presentarsi minuscole occhiature verso il centro. Nella versione secca potrebbe lacrimare al primo taglio. Il sapore è piacevole, dolce e delicato fresco fino a divenire piccante a stagionatura avanzata.

 

  • Caciocavallo di Agnone P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Come in altri territori del sud d’Italia, anche in Molise è tipica e tradizionale la lavorazione di questo formaggio a pasta filata. Prevede una lunga stagionatura, assicurata dallo spurgo della pasta sottoposta a una particolare cottura.

 

  • Caciocavallo di bufala semplice e affumicata P.A.T. (Lazio) – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta dura, filata.

Originario delle province romane di Frosinone e Latina, viene fatto con latte di bufala, tradizionalmente per essere conservato più a lungo della Mozzarella. La breve stagionatura e l’affumicatura ne fanno un prodotto particolare.

 

  • Caciocavallo di Castelfranco P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta dura, filata.

Il nome indica il principale territorio di produzione: Castelfranco Miscano (Benevento). La sua peculiarità va ricercata sia nell’utilizzo esclusivo di latte di bovine di razza bruna, apprezzato per la sua duttilità casearia, sia nella particolare tecnica di lavorazione, che prevede alcune varianti significative rispetto a quella standard. L’aspetto più saliente consiste nell’utilizzo della “scotta bollente”, cioè del siero che risulta dall’estrazione della ricotta come liquido di governo per la maturazione della cagliata. Inoltre, siccome sia la caldaia che i tini di legno tra una lavorazione e l’altra non vengono lavati, e quindi rimangono impregnati di siero acido, si verifica un rudimentale “siero-innesto”, che conferisce al formaggio un gusto particolare. Ha forma tendenzialmente sferica, con testina piuttosto piccola; la crosta, liscia e sottile, è di color giallo paglierino, la pasta ha colore bianco avorio appena sfumato nel giallo. La consistenza è pastosa, il sapore delicato e dolce, con aroma lieve. I caciocavalli più richiesti sono preparati nei mesi primaverili, quando il bestiame è allevato al pascolo. Con il latte delle vacche dette “podoliche”, ancora diffuse soprattutto nelle province di Avellino, Caserta e Salerno, si realizza il caciocavallo podolico. Nelle aree interne della provincia di Avellino e della provincia di Salerno, tali bovini sono allevati con l’antichissima consuetudine della transumanza, mentre nelle zone collinari e montane della provincia di Caserta, si trovano alcuni allevamenti stanziali, dove la podolica è spesso associata ad altre razze bianche appenniniche. L’aroma del caciocavallo podolico varia a seconda del tipo di allevamento e di pascolo: in estate e primavera il pascolo di montagna è ricco di essenze aromatiche, mentre se è di pianura, in autunno e in inverno conferisce al formaggio un sapore più forte e deciso. La pasta del caciocavallo podolico è di colore giallo paglierino, semidura e omogenea, al tatto il formaggio è compatto e granuloso.

 

  • Caciocavallo di Ciminà P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, di breve o media stagionatura, a pasta semidura filata.

Formaggio calabrese a pasta filata, viene lavorato in modo molto particolare grazie all’utilizzo di latte di vacca e di capra dell’Aspromonte. Unico del suo genere, in quanto la forma ha due testine.

 

  • Caciocavallo di grotta del Cervati e delle gole di Pertosa – Formaggio a pasta filata

Prodotto nel territorio dei comuni afferenti alla valle del Tanagro (in particolare Caggiano  – SA) e area del monte Cervati, monti Alburni (provincia di Salerno), è un formaggio a pasta filata, prodotto con latte proveniente da allevamenti di piccole e medie dimensioni, da bovine in prevalenza di razza bruna o podolica, stagionato tradizionalmente in grotta; forma rotonda o ovale con testina pronunciata, colore grigio per la presenza di muffe, peso di oltre 2,5 kg, aspetto tipico con presenza di insenature sulla parte superficiale dipendenti dalla posizione dei legacci.

Tradizionalmente tutto il processo produttivo avveniva in grotta, in particolare nelle grotte di Pertosa, dove sono stati ritrovati utensili per la lavorazione del latte attestanti la presenza dell’attività casearia fin dall’età del bronzo. Ancora oggi alcuni moderni caseifici propongono la stagionatura in grotta calcarea.

Caciocavallo in quanto veniva normalmente praticata la monticazione (alpeggio estivo sulle pendici del monte Cervati) ed erano utilizzate grotte naturali come riparo per i pastori e per il bestiame.

 

  • Caciocavallo di Supino P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura, filata.

Tipico del comune che gli presta il nome, prodotto fin dai tempi del Regno di Sicilia. Fatto con latte vaccino, deve stagionare almeno 15 giorni, dopodiché esprime tutte le sue proprietà organolettiche.

 

  • Caciocavallo Irpino di grotta P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura, filata.

Viene prodotto nei territori in provincia di Avellino: aree montane della Valle dell’Ufita, Valle dell’Ofanto, Terminio Cervialto, Alta Irpinia. Formaggio a pasta filata, prodotto con latte proveniente da allevamenti di piccole e medie dimensioni, da bovine in prevalenza di razza bruna, stagionato tradizionalmente nelle grotte di tufo del territorio, dalle quali assume aromi particolari.

Durante il periodo primaverile–estivo i bovini vengono tenuti al pascolo. Durante questo periodo si ha la maggiore produzione, il prodotto è particolarmente pregiato grazie alle diverse essenze di erba dei pascoli delle quali si nutrono. Quando i pascoli terminano, l’alimentazione è basata soprattutto su foraggi e sfarinati di provenienza aziendale. Dall’alimentazione sono comunque esclusi gli insilati. La forma è sferoidale, la pezzatura di circa 2 Kg più comune fino a 10 Kg. La stagionatura va dai 45/60 giorni ad oltre sei mesi. La pasta è di colore giallo paglierino che tende ad accentuarsi con la stagionatura, con rare occhiature, al tatto semidura ed omogenea. Se poco stagionato ha un delicato profumo di latte, con il protrarsi della stagionatura spicca l’odore di erba-fieno. Al gusto, soprattutto con il protrarsi della stagionatura, escono fuori tutte le caratteristiche organolettiche: sentori di erba sfalciata, di fiori amari, di vaniglia e spezie e talvolta leggermente piccante. Dopo una prima asciugatura, che può avvenire in locali freschi tradizionali, non prima di 45/60 gg, viene stagionato nelle tipiche “grotte di tufo” dove si sviluppa un microclima ed una microflora favorevoli alla maturazione del caciocavallo a lunga stagionatura anche fino a due anni. Nelle “grotte naturali di tufo” o “grotte naturali di tufo e pietra” i caciocavalli, legati in coppia, vengono appesi a “cavallo” su travi di legno. L’umidità oscilla tra l’80 e il 90% mentre la temperatura quasi costante tra il periodo invernale e quello estivo, oscilla tra i 10 ed i 15 °C.

 

  • Caciocavallo P.A.T. (Molise) – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura, filata.

E’ il formaggio del Meridione italiano. Talmente antico da venire chiamato “formaggio archeologico”. La tecnica produttiva varia da territorio in territorio, tranne per la filatura, che ne denota l’originalità e la qualità organolettica.

 

  • Caciocavallo P.A.T. (Puglia) – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta dura, filata. Diventa piccante con la stagionatura.

Se si parla di paste filate a pasta dura, si pensa subito al Caciocavallo. Formaggio tipicamente meridionale, ma apprezzato dappertutto, soprattutto per la lunga stagionatura che concede una prelibata piccantezza.

 

  • Caciocavallo palermitano P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura, filata.

E’ uno dei formaggi più antichi della Sicilia. Era un formaggio per i banchetti, considerato molto nutriente. Per produrlo si utilizzano attrezzature di legno, fuoco diretto sotto la caldaia e ambienti naturali, freschi e umidi. Come una volta.

 

  • Caciocavallo Podolico Dauno (Caciocavallo Podolico del Gargano) A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura, filata.

Un formaggio importante per la sua longevità. Può stagionare fino a 6 anni e concedere aromi rilevanti che ricordano i pascoli dove le Podoliche, vacche dalla storia ultra millenaria, pascolano allo stato brado. Dal latte alla pasta filata lavorata sapientemente.

 

  • Caciocavallo Podolico dei Monti Picentini – Formaggio a pasta filata.

Viene prodotto nella zona dei Comuni di Montella, Bagnoli Irpino, Cassano Irpino, Nusco, Volturara Irpina, Acerno e Serino, tutti in provincia di Avellino. E’ un formaggio a pasta filata da latte di bovini podolici allevati esclusivamente nell’area del territorio di competenza, a stagionatura variabile (da 15gg a più di 6 mesi), di forma globosa tipica, con testina e legatura di rafia, colore giallo paglierino, che tende a scurirsi con la stagionatura. Pezzatura di circa 1-2 Kg.

 

  • Caciocavallo Podolico P.A.T. (Calabria) – Formaggio grasso, di media, lunga stagionatura, a pasta semidura o dura, filata.

Prodotto nelle province di Catanzaro e Cosenza con latte di vacca di razza Podolica. La tipica forma ovoidale con testina ne determina l’originalità, così come la pasta, compatta e dura. Con la stagionatura acquista elevata intensità aromatica e piccantezza.

 

  • Caciocavallo Podolico P.A.T. (Campania) – Formaggio grasso, di media, lunga stagionatura, a pasta semidura o dura, filata.

Ottenuto dal latte delle vacche di razza Podolica, ancora diffuse soprattutto nelle province di Avellino, Caserta e Salerno, La produzione limitata e le caratteristiche sensoriali ne fanno un formaggio apprezzato e ricercato.

 

  • Caciocavallo vaccino semplice e affumicato (Lazio) – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura, filata.

È un formaggio molto antico del sud italiano, tanto che fu citato da Ippocrate e consumato dal Cardinale Ruffo. Il tempo di stagionatura varia da 1 a 6 mesi, può avvenire in grotta anche per diversi anni.

 

  • Caciocchiato P.A.T. – Formaggio semiduro a pasta filata,

Viene prodotto nella zona del Comune di Ariano Irpino (AV). E’ un formaggio semiduro a pasta filata, di forma ovale, prodotto con latte proveniente da allevamenti di piccole e medie dimensioni, da bovine di razza mista, con stagionatura media (da 2 a 6-12 mesi) in locali aereati a temperatura controllata. colore della pasta giallo paglierino molto chiaro, variabile con la stagione di produzione; crosta sottile e liscia, giallastra quindi nocciola chiaro, tendente a scurirsi con l’avanzare della stagionatura; consistenza morbida prima e quindi più elastica dopo i sei mesi di stagionatura (a fine stagionatura il peso delle forme si aggira sui 10-11 Kg). Il nome deriva dalla tipica occhiatura uniforme, di piccole dimensioni (chicco di riso), dal sapore intenso, delicato tendente al piccante, conferito dalla particolare fermentazione propionica che origina l’occhiatura.

 

  • Caciofiore aquilano P.A.T. – Formaggio grasso, a breve stagionatura, a pasta molle.

Fra i pochi formaggi italiani che utilizzano storicamente un coagulante vegetale, prende il nome proprio dal fiore del carciofo che lo caratterizza. Il latte è di pecore di varie razze. Indicato per i vegetariani.

 

  • Caciofiore P.A.T. (Lazio) – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

È un formaggio che risale dall’antica Roma, prodotto con latte di pecora. La peculiarità è l’uso di coagulante vegetale estratto dal fiore del cardo selvatico. Quindi un formaggio consigliato per vegetariani e animalisti. Stagiona per 30-60 giorni.

 

  • Cacioricotta caprino del Cilento P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura, dura.

Ha una caratteristica molto interessante: il recupero delle sieroproteine, ottenuto con il forte riscaldamento del latte di capra. Può essere consumato fresco o stagionato 2-3 mesi.

 

  • Cacioricotta caprino orsanese (Cas Rcott) A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

In un territorio collinare dove le capre pascolano, libere di alimentarsi con le erbe spontanee, il Cacioricotta viene fatto da piccole aziende che, seguendo una secolare tradizione, non hanno dimenticato che questo formaggio è stato il pane per le loro antiche famiglie. Di alto valore energetico, tanto da venire considerato un pasto completo. La sua forma è cilindrica e il colore tendente al giallo paglierino, più intenso quanto maggiore è il periodo di stagionatura così come, naturalmente, diventa più intenso il sapore. Fondamentale per la sua originalità è la materia prima: esclusivamente latte fresco di capra. Altrettanto importante è la procedura di lavorazione: il latte viene, infatti, riscaldato fino all’ebollizione e lasciato poi raffreddare in modo naturale fino a 37 gradi circa. A questa temperatura si aggiunge caglio di capretto. La cagliata viene rotta energicamente e successivamente raccolta e compattata nelle fuscelle, i tipici cestini di vimini, per la fuoriuscita del siero. La particolare combinazione di temperature e caglio determina la coagulazione delle proteine del latte, cioè il cacio, e del siero, la ricotta. Il prodotto che si ottiene, viene consumato fresco o stagionato. La stagionatura lo rende particolarmente duro, compatto e scaglioso.

 

  • Cacioricotta di bufala (Pontina) A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Produzione tipica del Lazio, in particolare della provincia di Frosinone. Menzionato in archivi storici comunali. Nonostante le sue piccolissime dimensioni, ha breve, media o lunga stagionatura.

 

  • Cacioricotta P.A.T. (Basilicata) – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura.

Prodotto con latte di pecora e di capra. Può essere consumato dopo 2-3 giorni, ma la maturazione può protrarsi per 4 mesi, assumendo interessanti aromaticità.

 

  • Cacioricotta P.A.T. (Calabria) – Formaggio grasso, fresco o di media stagionatura, a pasta semidura.

Classico formaggio delle province di Reggio Calabria e Cosenza con latte di capra di diverse razze. Può maturare qualche giorno, ma anche uno o più mesi. Composto dalle proteine del latte e del siero (sieroproteine). Presenta bassa intensità aromatica se giovane, media intensità e piccantezza se di breve stagionatura.

 

  • Cacioricotta P.A.T. (Molise) – Formaggio grasso, fresco o di lunga stagionatura, a pasta dura.

È il formaggio dei pastori che, durante il pascolo delle greggi, non hanno un luogo fisso dove produrre il formaggio. Non potendo fare la ricotta, che è molto deperibile, sfruttano le caratteristiche proteiche del latte per ottenere una resa maggiore con la Cacioricotta.

 

  • Cacioricotta P.A.T. (Puglia) – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta dura.

Formaggio della transumanza che oggi si produce e consuma in tutta la Puglia. Tra le caratteristiche spiccano l’alto contenuto di proteine, caseine e sieroproteine, che ne fanno un formaggio molto energetico, anche grazie al latte ovino di partenza.

 

  • Caciotta (Caciotta al tartufo) A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Umbria, terra di tartufi e di altri prodotti della natura, compresa la lavorazione del latte per ottenere formaggi come questo, a pasta molle, con il tartufo. Una produzione che si inserisce tra le migliori Caciotte nazionali per la tecnica e per il latte prodotto nella regione. Un piccolo formaggio dalla commercializzazione allargata.

 

  • Caciotta caprina P.A.T. (Friuli-Venezia Giulia) – Formaggio grasso, di breve e media stagionatura, a pasta semidura.

Prodotto con latte di capra, era una risorsa importante per le famiglie contadine. È fra i migliori Caprini italiani.

 

  • Caciotta degli Elimi P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Il nome deriva dall’antico popolo degli Elimi. Arriva dalle pecore di razza Valle del Belice, ed è un formaggio a pasta semicotta, dura. Posto in contenitori di giunco, matura almeno 30 giorni in cella, 3 mesi in ambienti naturali.

 

  • Caciotta dei Monti della Laga P.A.T. – Formaggio grasso, a pasta molle, di breve stagionatura.

Formaggio storico della provincia di Rieti, in un territorio vocato all’allevamento delle pecore e delle capre. La tradizione vuole che la lavorazione sia fatta su tavoli di legno. Il periodo di stagionatura è breve: un mese.

 

  • Caciotta della Lunigiana (Formaggio bovino della Lunigiana) A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle o semidura.

Nel territorio di produzione di questo formaggio, vent’anni fa gli allevamenti erano parte integrante dell’economia locale. Oggi, purtroppo, sono decimati, lasciando il compito di produrre questa Caciotta a soli due caseifici.

 

  • Caciotta della Sabina P.A.T. – Formaggio grasso, a pasta molle, di media stagionatura.

Negli anni Settanta è entrato a far parte della storia dei formaggi da latte di pecora. A pasta molle, può essere aromatizzato con erba cipollina, rucola, basilico e finocchio selvatico.

 

  • Caciotta di Asiago P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Nelle malghe dell’altopiano di Asiago si va per i classici formaggi di media o lunga stagionatura. In alternativa, si trova questo a pasta molle. La Caciotta di Asiago viene prodotta tutto l’anno dai caseifici locali, che impiegano latte delle vacche allevate sul posto.

 

  • Caciotta di Brugnato P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Formaggio prodotto in Val di Vara, dove le vacche sono allevate nel segno della tradizione. Le sue caratteristiche sono di media intensità aromatica e per questo è apprezzato e ampiamente consumato.

 

  • Caciotta di capra dei Monti Lattari P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

I Monti Lattari costituiscono la dorsale della Penisola Sorrentina, divisa tra la Provincia di Napoli e quella di Salerno. Furono definiti già dagli antichi romani: Montes Lactarii, cioè ricchi di latte, per via delle numerose capre di razza detta “napoletana”, produttrici di un ottimo latte, allevate in questa zona. Ancora oggi le capre napoletane, seppure in via di estinzione, pascolano in stato semibrado per i monti Lattari cibandosi di cereali, producendo un latte pregiatissimo, con il quale si confeziona la caciotta ‘e zi’ Maria, o caciotta di capra dei Monti Lattari, un formaggio prodotto da generazioni nel piccolo comune di Pimonte. E’ una caciotta fresca o brevemente stagionata, non eccessivamente profumata, caratterizzata da un sapore delicatissimo e tendenzialmente dolce, ideale come ripieno per la pasta fresca e come accompagnamento a salumi o verdure. Prodotta in varie pezzature, dai 400 g. fino al kilo, in forme che ricordano un tronco di cono o un doppio tronco di cono, oltre che per il suo gusto tipico, fresco e naturale, è apprezzata per la sua particolare leggerezza e il suo basso contenuto calorico; è, dunque, un formaggio che riesce a coniugare il gusto dei sapori antichi con le moderne tendenze della scienza dell’alimentazione che consiglia il consumo di cibi a basso contenuto di calorie e grassi.

 

  • Caciotta di mucca P.A.T. (Lazio) – Formaggio grasso, fresco, di breve e media stagionatura, a pasta molle o dura.

La sua storia è annotata negli archivi storici della Centrale del latte di Rieti. La tecnica produttiva è stata però tramandata solo verbalmente. Fatto con latte di vacca. Può essere consumato come “primo sale”, oppure stagionato sei mesi.

 

  • Caciotta di pecora P.A.T. (Toscana) – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Dal latte di pecore alimentate al pascolo, arriva questo tipico formaggio a pasta cruda, molle, ma con aromi interessanti. Purtroppo anche in questo caso la produzione è limitata a pochissime aziende, che lo commercializzano solo localmente. Si consiglia di consumarlo con salumi locali.

 

  • Caciotta di vacca ciociara (semplice e aromatizzata) A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve e media stagionatura, a pasta molle o semidura, filata.

Formaggio tipico della provincia di Frosinone, zona di Ferentino, fatto con latte di vacca e aromatizzato con erbe. Può essere affumicato.

 

  • Caciotta dolce (Vacchino dolce) A.T. – Forma cilindrica a facce piane, con scalzo convesso. Il peso è di 1,7-2 kg.

Dalle vacche allevate a Cutigliano, nel Pistoiese, viene munto un latte che, per l’alimentazione allo stato brado delle lattifere, presenza importanti caratteristiche organolettiche, poi “travasate” in questo formaggio. Dolce, come dice il nome, con pasta cruda, di consistenza molle e dalle basse aromaticità.

 

  • Caciotta genuina ai bronzi P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta dura.

Formaggio conosciuto e commercializzato da oltre 25 anni nella provincia di Frosinone. Considerato una variante del Pecorino ai bronzi perché fatto non solo con latte di pecora, ma anche con latte di vacca. La breve stagionatura avviene in madie di legno e poi nei “bronzi”, recipienti di legno dai quali prende il nome.

 

  • Caciotta genuina romana P.A.T. – Formaggio grasso, di breve e media stagionatura, a pasta semidura.

Prodotta da latte di pecora in transumanza. Matura per 40-50 giorni. Impiegato per farcire il “girello di vitello con la rucola”.

 

  • Caciotta mista della Tuscia P.A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta dura.

Formaggio legato alle antichissime tradizioni della transumanza in Tuscia. Ottenuto da latte di vacca e di pecora. Stagionata in celle per un breve periodo.

 

  • Caciotta mista ovi-vaccina del Lazio P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle o semidura.

Un tempo era considerata un alimento energetico dei pastori. Si può consumare fresca nella tipologia “primo sale”, oppure brevemente stagionata dopo 20 giorni. La maturazione determina un cambiamento della pasta, che da molle diventa semidura.

 

  • Caciotta misto pecora P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Dagli Appennini alla pianura veneta. L’unica azienda veneta che produce questo formaggio si rifornisce del latte ovino in alcune zone della Pianura Padana a cavallo tra le province di Rovigo, Venezia e Ferrara. Il formaggio, a pasta molle, è fatto con latte di vacca e di pecora in proporzioni variabili, a seconda del periodo dell’anno.

 

  • Caciotta P.A.T. (Marche) – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Formaggio che si porta dietro secoli di storia. Nato, come molti formaggi, come cibo povero. Fatto con latte di vacca eventualmente addizionato con latte di pecore e capra, a seconda delle disponibilità. Fulgido esempio della tradizione casearia marchigiana, tipicamente naturale, che fa uso anche di coadiuvanti come le foglie di noce, che l’avvolgono e gli caratterizzano le proprietà organolettiche.

 

  • Caciotta stagionata (Mucchino, Vacchino) A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

La stessa azienda che produce la Caciotta dolce, propone questo formaggio fatto per una lunga stagionatura, ma sempre da vacche alimentate con erbe e affienati locali. A pasta dura, si consiglia di consumarlo con pane casereccio.

 

  • Caciotta vaccina al caglio vegetale P.A.T. (Marche) – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Una volta, quando i pastori non si potevano permettere o non conoscevano il caglio, usavano raccogliere i fiori di alcune piante dalle proprietà coagulanti. Da queste tradizioni torna a noi un formaggio che si inserisce tra i top per animalisti e vegetariani.

 

  • Caciotta vaccina frentana (Formaggio di vacca, Casce d’vacc) – Formaggio grasso, a breve media stagionatura, a pasta semidura.

Prodotta in Abruzzo, nelle zone collinari della provincia di Chieti, con latte di vacca di razze varie, originariamente Podoliche. E’ grasso e, a seconda della stagionatura, si caratterizza per un’intensità aromatica medio bassa.

 

  • Caciottina canestrata di Sorrento P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Prodotta per esigenze territoriali (i casari del posto hanno imparato a tradurre la tradizione in necessità) la caciottina è un formaggio la cui antica origine è ascrivibile alla zona di Sorrento e di tutta la penisola. E’ un formaggio fresco a pasta tenera, ottenuto da latte bovino che si produce in piccole forme cilindriche, da 20 a 50 grammi, che si consuma molto piacevolmente nei periodi caldi. Il procedimento della sua lavorazione prevede che al latte bovino locale riscaldato venga aggiunto il caglio; il formaggio viene messo in forma in dei piccoli cesti di vimini, i canestri da cui deriva il suo nome, lasciato ad asciugare e, in seguito, avvolto in carta pergamenata. E’ un formaggio dal sapore fresco e delicato, che sa molto di latte, ed è l’accompagnamento ideale per pomodori e verdure sott’olio e alla brace.

 

  • Caciottina di bufala di Amaseno (semplice e aromatizzata) A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Il nome identifica il territorio di produzione, è fatta con latte di bufala e la sua origine è registrata dall’Istituto Nazionale di Sociologia Rurale. In stagionatura viene spalmato di olio di oliva e aceto e posto in vasi di vetro per almeno sessanta giorni.

 

  • Caciottina di bufala Pontina P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta dura.

Ha una lunga tradizione. Fatta con latte di bufala di razza Mediterranea. La stagionatura è di almeno 30 giorni. La ristorazione locale propone questo formaggio sia in purezza, sia come ingrediente di ricette tipiche.

 

  • Caciotto di Cirella di Platì P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di media stagionatura, a pasta filata.

Storico prodotto di Cirella di Platì, territorio in cui viene prodotto con latte di vacca. Formaggio a pasta filata dalla forma a pera senza testina che si consuma fresco o dopo 4 mesi, assumendo intensità aromatica media e sensazione di piccantezza.

 

  • Cadolet di capra P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Formaggio dalla forma particolare, parallelepipeda. Fatto con latte di capra in Val Camonica nel periodo di lattazione, quando le lattifere si alimentano con erbe spontanee. A pasta molle di breve stagionatura.

 

  • Canestrato P.A.T. (Calabria) – Formaggio grasso, a breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura, dura.

Formaggio crotonese e reggino fatto con latte singolo o misto vacca, capra e pecora. Si caratterizza per il consumo diversificato: Tuma se fresco e senza sale, Primo sale subito dopo la salatura. Stagiona almeno 4 mesi, assumendo aromaticità elevata e piccantezza.

 

  • Canestrato P.A.T. (Sicilia) – Formaggio grasso, fresco, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Fin dal 1400 era citato come alimento di pregio e come bene di scambio commerciale. La sua pasta a latte misto viene lavorata per essere consumata anche subito, senza salatura, oppure come “primosale”, oppure dopo media o lunga stagionatura. Può presentarsi speziato con pepe in grani o peperoncino.

 

  • Canestrato P.A.T. (Trentino) – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Il “formaggio di Rovereto” nasce attorno alla metà del secolo scorso per volontà di un casaro locale. Ora questo formaggio, che assomiglia ai “canestrati” del sud, viene gradito anche per la sua variante tipologica che consiste nell’integrazione della pasta con pepe nero spezzato.

 

  • Canestrato vacchino P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

A latte di vacca, viene coagulato con caglio di agnello o di capretto e le forme, una volte poste nei giunchi, vengono immerse nella scotta bollente. Ne deriva un formaggio a pasta cruda, dura, untuosa che può stagionare a lungo.

 

  • Caprino a coagulazione lattica P.A.T. (Lombardia) – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Dall’antica usanza famigliare, quando il latte veniva lasciato accanto a una fonte di calore ad acidificare, questo formaggio a coagulazione lattica si inserisce con forza nelle tipicità lombarde. Si consuma fresco.

 

  • Caprino a coagulazione presamica P.A.T. (Lombardia) – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Il latte di capra si presta alla caseificazione. In particolare per fare formaggi a pasta molle. La Lombardia ha una forte tradizione in questo senso. Un’espressione è questo Caprino, tipico delle terre in cui storicamente la capra era la vacca dei poveri e rappresentava un vitale sostentamento.

 

  • Caprino abruzzese (Formaggi caprini abruzzesi) A.T. – Tipologia a coagulazione lattica: formaggio grasso, fresco, a pasta molle. Tipologia a coagulazione presamica: formaggio grasso di breve e media stagionatura, a pasta semidura.

Originario del Gran Sasso e dei Monti della Laga. Latte di capra e di pecora. Si produce sia a coagulazione lattica, sia presamica. In passato veniva stagionato in madie di legno. Oggi l’intensità aromatica è media, medio alta.

 

  • Caprino al lattice di fico P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Si usava una volta, sia usa ancora adesso. Coagulare il latte con il lattice del fico. Formaggio che veniva fatto dalle donne con latte di capra. E quelle marchigiane restano fedeli alle tradizioni. Usano ancora attrezzi tipici di legno che consentono una sorta di innesto della microflora batterica.

 

  • Caprino conciato del Montemaggiore P.A.T – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Le capre sono animali che si adattano a qualsiasi territorio e per questo motivo sono presenti in Italia da lunghissimo tempo. Si dice che i Sanniti utilizzassero erbe aromatiche selvatiche per conservare e aromatizzare i formaggi come questo. Il territorio interessato alla produzione è quello del Monte Maggiore, area dei comuni di Formicola, Rocchetta e Croce, Liberi, Castel di Sasso Pontelatone, Roccaromana, Pietramelara. Si tratta di un formaggio a latte crudo di capra, proveniente da piccoli allevamenti a carattere familiare, stagionato in vasi di vetro o terracotta; si presenta in superficie di colore giallo-bruno con residui di erbe aromatiche (prelibatissimo timo serpillo). La pasta è di colore giallo paglierino, piuttosto compatta a frattura a scaglie.

 

  • Caprino dell’Aspromonte P.A.T. – Formaggio grasso, di breve e media stagionatura, a pasta semidura o dura.

Nel periodo estivo-autunnale viene prodotto sull’Altopiano omonimo con latte di capra dell’Aspromonte. È un formaggio a coagulazione presamica, di breve e media stagionatura, con pasta morbida e bianca se giovane, diventa dura e di colore paglierino con la stagionatura.

 

  • Caprino della Limina P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Prodotto in Calabria, nella Comunità montana omonima, con latte di capra dell’Aspromonte. Si consuma dopo poche settimane, oppure stagionare anche un anno. Intensità aromatica media per la media stagionatura, elevata per lo stagionato, con sensazione piccante.

 

  • Caprino della Val Vigezzo P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Formaggio prodotto quando le capre pascolano, libere di alimentarsi con le erbe spontanee, ma anche durante tutto il periodo di lattazione. Così il tomino di capra viene consumato sul posto, perché la sua produzione non permette una vera e propria commercializzazione.

 

  • Caprino della Valbrevenna P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Formaggio a coagulazione lattica con latte di capra, particolarmente interessante quando prende origine dalle capre che pascolano e si alimentano con le erbe degli alpeggi. Dopo una lunga acidificazione, la cagliata viene posta nelle classiche fuscelle forate per lo spurgo. Si ottiene così un formaggio aromatico.

 

  • Caprino di malga (delle Alpi Marittime) A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Formaggio tipico e storico delle aree montane delle Alpi Marittime. È poco conosciuto al di fuori delle sue zone. Apprezzato per le caratteristiche organolettiche influenzate dalla vicinanza del mar Ligure.

 

  • Caprino lattico piemontese P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle lattica.

Il latte di capra consente questo formaggio caratterizzato dall’aggiunta, in superfice, di spezie o erbe aromatiche, ma anche di cenere. Oppure si lascia che il tempo faccia fiorire muffe autoctone.

 

  • Caprino morbido P.A.T. (Friuli-Venezia Giulia) – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle, lattica.

Formaggio di latte di capra un tempo prodotto in famiglia o nelle malghe. È aromatizzato con erbe che concedono al formaggio un aroma particolare.

 

  • Caprino P.A.T. (Basilicata) – Formaggio grasso, fresco o di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

E’ un formaggio di latte di capra che si consuma fresco o stagionato. La pasta è tipicamente bianca, ma può diventare paglierina con la maturazione, assumendo anche aromi di medio-elevata intensità.

 

  • Caprino P.A.T. (Marche) – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

La capra si alimenta con erba, rami, sterpi e altri vegetali che le vacche e le pecore disdegnano. Per questo motivo, l’uomo l’ha sempre sfruttata per ottenere un latte da lavorare crudo, subito dopo la mungitura, per fare formaggi come il Caprino marchigiano, antico come il tempo.

 

  • Caprino P.A.T. (Molise) – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Formaggio a coagulazione presamica fatto con latte crudo nel territorio di Montefalcone del Sannio, ma anche in tutto il Molise dove vi sono capre.

 

  • Caprino P.A.T. (Puglia) – Formaggio grasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Se la capra è la vacca dei poveri, è lecito pensare che il Caprino è il formaggio dei contadini e degli allevatori meno abbienti. Al contrario, questo Caprino è fonte di reddito per gli allevatori pugliesi che possiedono molte capre, grazie anche a un territorio che permette un’alimentazione sana.

 

  • Caprino P.A.T. (Trentino) – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta dura.

In passato il formaggio di capra era fatto in famiglia per il proprio sostentamento con il latte munto dalle poche capre possedute. Oggi queste piccole lattifere non sono più in gran numero, ma dal latte raccolto pochi caseifici producono questo formaggio dalla pasta bianca e dura che si consuma gradevolmente a tavola.

 

  • Caprino presamico (di latte vaccino) di Supino P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Formaggio considerato ipocalorico perché caratterizzato da una leggera salatura. Nasce da una lunga tradizione casearia, quando, nel 1940, a Supino si iniziò a produrre formaggio.

 

  • Caprino presamico piemontese P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle o semidura.

Il “tumin ‘d Crava”, cosi chiamato in dialetto, è un formaggio da latte di capra coagulato con caglio di vitello o, raramente, con caglio di capretto. La sua pasta bianca, perché le capre non assimilano i caroteni al contrario delle vacche, è morbida.

 

  • Caprino stagionato (Caprino invecchiato, Vecjo di cjavre) A.T. – Formaggio grasso, a media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Veniva fatto solo con latte caprino avanzato dal consumo domestico. È caratterizzato da breve stagionatura, che può protrarsi fino a 8 mesi.

 

  • Caprino vaccino P.A.T. (Lombardia) – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle lattica.

Pur mantenendo il nome del più conosciuto formaggio da latte di capra, questa pasta molle, a coagulazione lattica, conserva le caratteristiche dei formaggi di una volta, quando in famiglia veniva fatto semplicemente attendendo per più di 24 ore che il latte coagulasse.

 

  • Caprino valsesiano (Crava) A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle o semidura.

Se si pensa ai Caprini piemontesi, viene lecito assimilarli alle piccole tome a coagulazione lattica. Questo formaggio, invece, si differenzia per la coagulazione presamica, effettuata però a bassissime temperature. Procedimento che lo fa diventare intensamente aromatico.

 

  • Casàda P.A.T. – Formaggio a doppia panna, fresco, a pasta molle.

Fatto nelle case dei contadini, da cui prende il nome, è un formaggio che, per la freschezza e per la presenza di panna montata, viene servito come dessert. Stesso dicasi per la sua Ricotta.

 

  • Casato del Garda P.A.T. – Formaggio semigrasso o grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Il Casat, nome dialettale gardesano, è un formaggio prodotto con l’unico scopo di conservarlo in vasi con olio extravergine di oliva del Garda. I pezzetti che il casaro provvede a tagliare dalla pasta appena estratta dalla caldaia, vengono asciugati all’aria e poi messi in conservazione. Una rarità.

 

  • Casatta di Coterno Golgi P.A.T. – Formaggio semigrasso di breve stagionatura, a pasta semidura.

In alpeggio, quando il latte scarseggiava e non ci si poteva permettere di fare le forme grandi d’Alpe, si produceva questo formaggio che è una via di mezza tra il classico di malga e la caciotta. Si consuma dopo 30 giorni.

 

  • Cascio Pecorino lievito (Pecorino fresco a latte crudo) A.T. –Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Tipici delle Marche, i Caci vengono fatti normalmente con latte di pecora. Questo si contraddistingue per l’uso di latte crudo e per l’impiego di attrezzi manuali e di caldaie in rame stagnato. Si consuma dopo 30 giorni di stagionatura.

 

  • Casècc P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Prodotto con latte misto di vacca e di pecora in proporzioni variabili e munto solo nel momento di lattazione delle pecore, che pascolano nelle colline marchigiane. Formaggio che stagiona a lungo. Interessante utilizzarlo per il ripieno dei cappelletti.

 

  • Casel bellunese P.A.T. – Formaggio semigrasso o grasso di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Nel fondovalle dove gli allevatori consegnavano il latte alle latterie (casel, in dialetto) veniva fatto questo formaggio. Si consuma dopo due mesi, oppure stagionato anche oltre un anno, quando assume aromi preziosi.

 

  • Casieddo (Casieddu) P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o a breve stagionatura, a pasta molle o semidura.

Da una zona decisamente vocata alla trasformazione casearia, il comune di Moliterno, arriva questo formaggio aromatizzato con un’erba, la Calamintha Nepeta Sav, che ne influenza l’aromaticità. Il Fresco viene avvolto in foglie di felce.

 

  • Casizolu (Tittighedda, Figu) A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Forma a pera con testina, a pasta filata, si può consumare dopo 3 mesi, ma anche dopo una lunga stagionatura. Grazie alla quale diventa fortemente aromatico e piccante. E’ un formaggio Presidio Slow Food.

 

  • Casizolu di pecora (Pirittas) A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura, filata.

Il latte crudo delle pecore sarde viene lavorato a pasta cruda e, dopo l’acidificazione, la stessa viene filata. A mano vengono composte delle forme a pera con testina, che permettono al formaggio di essere appeso. Si mangia dopo 7 giorni.

 

  • Caso conzato P.A.T. – Formaggio grasso, di lunga stagionatura, a pasta semidura.

Il caso conzato o conciato romano, è un prelibato formaggio dal gusto intenso prodotto da secoli nel Casertano, da antiche aziende della zona di Pontelatone-Castel di Sasso e delle vicine Colline Caiatine. Il suo nome è la deformazione dialettale di “cacio conciato”, cioè sottoposto a cure molto laboriose: si produce utilizzando, in proporzioni variabili, latte pecorino, caprino o vaccino, riscaldato a 30–35 gradi, a cui viene aggiunto caglio naturale di capretto. Dopo circa 30 minuti la cagliata viene rotta in granuli delle dimensioni di una nocciola, lasciata depositare, privata del siero, posta nelle fuscelle, i cestini di vimini o plastica per alimenti, e pressata a mano. Le forme così ottenute, di pezzatura medio-piccola (200–400 grammi) vengono salate a mano e lasciate asciugare nel “casale” un’apposita struttura di legno protetta da una zanzariera. In seguito vengono lavate con l’acqua di cottura della pasta fatta in casa (pettole), asciugate e “conciate”, ossia “trattate”, con un’emulsione di olio d’oliva, aceto di vino menta e timo selvatici. Le forme, infine, si lasciano stagionare in orci di terracotta o di vetro per sei-dodici mesi, durante i quali vengono girate almeno una volta al mese, ripulite dalle muffe che si formano in superficie e trattate di nuovo con l’emulsione di olio, aceto e erbe; i trattamenti conferiscono al formaggio le sue peculiari caratteristiche: la consistenza particolare, il profumo penetrante e persistente, il sapore intenso e aromatico.

 

  • Caso di Elva (Toma de Elva, Casale di Elva o Toumo de caso) A.T. – Formaggio semigrasso o grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura, a volte erborinata.

Formaggio prodotto in modo molto particolare. Si utilizza il latte che rimane dall’allattamento dei vitelli e la lavorazione viene ripetuta minimo cinque volte. Il risultato? Aromi unici, con una pasta friabile utilizzata in cucina per Ravioles e gnocchi.

 

  • Caso maturo del Matese P.A.T. Formaggio di pecora a pasta compatta, friabile

Viene prodotto nella zona del Comune di San Gregorio Matese (CE). Si tratta di un formaggio di pecora a pasta compatta, friabile, priva di occhiature, di colore giallo paglierino carico. La forma è cilindrica con facce piane e scalzo leggermente convesso. Il diametro delle forme va dai 10 ai 15 cm. Il peso in relazione alle dimensioni delle forme varia dai 500 g. a 1,5 kg. Alla vista si presenta con crosta consistente, color nocciola carico, rugosa e umida, caratterizzata dal non perfetto simmetrismo dovuto alla sovrapposizione delle forme durante la maturazione. Il sapore è deciso e caratteristico dei prodotti stravecchi, al palato è delicato tendenzialmente piccante.

 

  • Caso Vallicelli P.A.T. – Formaggio prodotto con latte intero ovicaprino

Viene prodotto da piccoli caseifici aziendali dell’area del Cervati (Vallo di Diano e Cilento) – provincia di Salerno. Si tratta di un formaggio prodotto con latte intero ovicaprino di animali allevati nell’area di produzione. Forma cilindrica a facce piane, colore grigio per la presenza di muffe, peso di oltre 1 kg, aspetto tipico del canestrato locale. Prodotto e stagionato tradizionalmente nelle grotte del Cervati.

 

  • Casolèt P.A.T. (Lombardia) – Formaggio semigrasso di breve stagionatura, a pasta semidura.

Dal territorio di produzione dove spiccano le vette dell’Adamello, al confine con il Trentino Alto Adige, arriva questo formaggio dalla base triangolare, retaggio di una tradizione antica. Consumato dopo 30 giorni di stagionatura è apprezzato anche per la poca salatura della pasta.

 

  • Casolet P.A.T. (Trentino – Alto Adige) – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle o semidura.

Dalla casa del contadino al moderno caseificio, questo formaggio di strada ne ha fatta e oggi è molto conosciuto e apprezzato. Le vacche sono alimentate a foraggio verde in estate nelle malghe, oppure con affienati scalciati nei prati della Val di Sole. Ottimo con un bicchiere di vino bianco. E’ Presidio Slow Food.

 

  • Casoperuto e Marzolino P.A.T. – Formaggi grassi, di lunga stagionatura, a pasta molle il Marzolino, semidura il Casoperuto.

Sono due formaggi simili per tecnica di produzione, originari della provincia di Caserta. Impiegano latte di capra e di pecora. Il Casoperuto stagiona in terracotta, cosparso di pimpinella, il Marzolino viene ricoperto di timo e stagiona in cantine scavate nel sottosuolo tufaceo.

Più in particolare, il casoperuto è un antico formaggio ovicaprino della provincia di Caserta, tipico della zona confinante con il Molise e il Basso Lazio, compresa tra Sessa Aurunca e San Pietro, un’area caratterizzata da un’antichissima tradizione pastorale. Casoperuto significa “cacio perso”: se ben stagionato, emana infatti un penetrante odore di muffa e appare un po’ raggrinzito. Il particolare tipo di lavorazione, basata sull’uso di caglio vegetale ottenuto dai fiori di Cardo mariano (Cynaria cardunculus), la concia con la pimpinella, il timo selvatico, e la stagionatura in vasi di terracotta, conferiscono a questo formaggio un sapore penetrante, forte e insolito, antico come le sue origini. Viene fatto con latte crudo filtrato di capra e di pecora, coagulato con caglio ottenuto dai fiori di cardo raccolti in estate sui pascoli montani. La cagliata viene rotta finemente, lasciata depositare sul fondo della caldaia e posta in fuscelle di vimini o, oggi, anche di plastica, del diametro di 10-12 centimetri. Dopo alcune ore, le forme vengono salate e lasciate asciugare su tavole di legno, affinché espellano il siero; una volta asciutte, vengono lavate con l’acqua di cottura della pasta fatta in casa (le “pettole”), asciugate e trattate in superficie con aceto di vino bianco e olio d’oliva e, infine, cosparse di pimpinella essiccata e poste in vasi di terracotta chiusi ermeticamente. Il casoperuto ha un aspetto rustico, ancestrale: in superficie è giallo paglierino intenso, completamente ricoperto di pimpinella; la pasta è bianca, tendente al giallo paglierino, di consistenza tenera e omogenea, emana un aroma penetrante e caratteristico; il sapore, intenso e aromatico, regala un equilibrio sensoriale non comune. Le forme pesano dai 250 ai 400 grammi.

 

Affine al casoperuto è il ricercatissimo marzolino o marzellina di Teano, un prelibato formaggio morbido di media stagionatura prodotto nelle frazioni collinari del Comune di Teano. Durante il mese di marzo, il latte crudo di capra e di pecora appena munti vengono miscelati, filtrati e coagulati con caglio vegetale ottenuto dai fiori di cardo; la cagliata, rotta finemente, viene trasferita in piccole fuscelle strette e lunghe; dopo una leggera salatura, le piccole forme oblunghe, di circa 150 grammi, vengono lasciate riposare su tavole di legno e cosparse di timo selvatico essiccato. Secondo un’antica tradizione la stagionatura, che dura circa sei mesi, avviene in cantine scavate nel sottosuolo tufaceo, in apposite nicchie ricavate, a una ben precisa profondità, lungo le pareti delle scale di accesso. La fragranza del “primo latte” caprino, l’aroma del timo selvatico, il particolare ambiente di stagionatura, conferiscono all’ormai rarissimo marzolino caratteristiche del tutto peculiari. La superficie, cosparsa di erbe aromatiche, è di un lieve colore giallo tendente al paglierino, la pasta è candida, tenera e spalmabile. L’aroma, lieve ma deciso, il gusto delicato, leggermente piccante, aromatico e caratteristico, ne fanno un’autentica prelibatezza. Purtroppo, a causa della progressiva scomparsa degli allevamenti caprini che, seppur a carattere familiare, erano fino a qualche tempo fa molto diffusi in zona, il marzolino è in serio pericolo di estinzione.

 

  • Casoretta P.A.T. – Formaggio semigrasso a breve stagionatura, a pasta semidura.

Nella Val d’Intelvi si usava in passato, ma anche oggi, scremare il latte per fare il burro. Dal latte che rimaneva dalla scrematura e da quello di una munta intera, arriva questo formaggio che in luogo di produzione si consuma con la polenta.

 

  • Casu axedu (Fruhe, Frughe, Fura merca, Fiscidu, Viscidu, Ischidu, Bischidu, Vischidàle, Prèta, Piòta, Casàdu, Cagiadda, Cassu agèru, Casu e Fitta, Latte cazàdu, Latti callòu) A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve, media e lunga stagionatura, a pasta molle.

Formaggio dalla tecnica casearia tutta sua: la coagulazione avviene in tempi molto lunghi, così come la conservazione sotto salamoia. La particolare stagionatura lo fa trasformare da dolce, morbido e per niente salato, a molto salato e piccante.

 

  • Casu fragizu (Casu becciu, Casu fattittu, Casu marzu, Hasu muhidu, formaggio marcio) A.T. –

Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta molle.

E’ uno dei formaggi più conosciuti d’Italia, ma è anche il più discusso. Tradizionalmente fatto come tutti i Pecorini, riesce ad attirare la mosca del formaggio. La deposizione delle uova e la nascita delle larve, fanno il resto.

 

  • Casu friscu (Formaggio fresco) A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta semidura.

Formaggio molto utilizzato in cucina, perché è lì che esprime il meglio delle sue caratteristiche organolettiche. Due delle soluzioni gastronomiche più praticate: cotto sulla griglia o ripieno per i ravioli.

 

  • Casu in filixi P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

In Sardegna un formaggio più fresco di questo non esiste. La cagliata, da latte di capra o misto pecora, appena rassodata viene posta dentro contenitori in perastro contenenti foglie di felce. Una volta che il formaggio ha spurgato su un telo appeso, lo si può mangiare.

 

  • Casu re’ pecora del Matese P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a breve o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura, a volte cremosa nel semistagionato.

Formaggio di pecora a pasta morbida con struttura compatta e rarissime occhiature, viene proposto nelle tipologie Fresco (fino a 7 giorni dalla produzione), Semistagionato (formaggio prodotto da 7 giorni fino a 90 giorni di stagionatura) e Stagionato (formaggio prodotto da 90 giorni di stagionatura in poi), che in dialetto diventano “Frisco”, “Musciu” e “Siccu”. Il fresco si riconosce per sapore dolce con pasta bianca e morbida. Il semistagionato con pasta quasi cremosa di colore leggermente paglierino e sapore dolce sui generis. Il secco con pasta compatta di colore giallo paglierino, sapore deciso e tendenzialmente piccante. La forma è cilindrica con facce piane e scalzo leggermente convesso. Il diametro delle forme va dai 10 ai 15 cm. Il peso in relazione alle dimensioni delle forme varia dai 500 g. a 1,5 kg. Alla vista si presenta: il fresco con crosta bianca segnata dalle forme canestrate, il semistagionato ha una crosta quasi liscia di colore giallo paglierino, il secco si presenta con crosta ruvida di colore bruno.

Le sensazioni aromatiche che sprigiona sono decisamente interessanti, così come la piccantezza derivante dalla stagionatura.

Il latte destinato alla produzione proviene dalla doppia mungitura (sera e mattina) delle pecore allevate nell’area di produzione. Esse vengono alimentate con pascolo di montagna ed integrazione di cereali e foraggi del posto. La salatura delle forme  viene fatta a secco con sale medio per sfregatura sulla superfice dopo circa due ore dalla formatura. Dopo 7 giorni viene rimosso dalle forme e messo ad asciugare su tavolati di legno di faggio o graticciati dove periodicamente e all’occorrenza, durante la stagionatura, viene unto con olio d’oliva.

 

  • Casuforte di Statigliano (Cacioforte, Casoforte) A.T. – Formaggio grasso a pasta semidura, a lunga stagionatura.

Il Casuforte o Cacioforte è un formaggio caprino stagionato confezionato a Statigliano, una piccola frazione di Roccaromana, comune della provincia di Caserta, Oggi, per via dell’abbandono dell’allevamento delle capre, ne viene prodotta solo una quantità molto esigua ad opera di un’unica famiglia contadina del luogo che ne rispetta la lavorazione tradizionale, totalmente manuale. Il latte di capra appena munto viene cagliato a temperatura ambiente con caglio artigianale di capretto; dopo circa tre ore la cagliata viene separata manualmente dal siero e sistemate in fuscelle di vimini dove rimane ad asciugare un paio di giorni. In seguito le forme, rimosse dalle fuscelle, vengono lasciate riposare ancora qualche giorno in locali chiusi a temperatura ambiente. A questo punto, comincia la lunga fase di stagionatura che dura, generalmente, da sei a dodici mesi, ma può anche durare di più per donare al formaggio un sapore ancora più intenso. Durante questo periodo, le forme, poste in vasi di terracotta, o di vetro, formano una muffa di superficie che deve essere pazientemente rimossa. Le forme, piccole e cilindriche di circa 200 grammi ognuna, presentano una crosta di colore bianco-avorio che racchiude una pasta dal forte aroma caprino, lievemente piccante morbida e solubile, nonostante la lunga stagionatura. La produzione del cacioforte, oggi quasi scomparsa, è testimoniata sin dall’epoca pre-romana ed è citata da numerosi testi di gastronomia e di viaggi.

 

  • Cesio P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Nell’abitato di Cesiomaggiore fin dagli anni Settanta viene prodotto questo formaggio a latte vaccino gradevole per il consumatore, che apprezza la sua bassa aromaticità. In un territorio molto ricco di specialità casearie, il Cesio rappresenta la tipicità bellunese.

 

  • Cevrin di Coazze P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

E’ tutelato da un Presidio Slow Food che ha lo scopo di salvaguardare l’allevamento della capra e la produzione del suo latte. Nasce in un territorio del Torinese dove storicamente era l’unico formaggio prodotto.

 

  • Ciambella di Morolo P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta filata affumicata.

La prima Ciambella è stata prodotta a Morolo nel 1933 con latte di vacca. È un formaggio a pasta filata che si consuma fresco, subito dopo l’affumicatura con legno di faggio e pioppo.

 

  • Civrin della Val Chiusella P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Dalla piccola forma cilindrica con scalzo arrotondato e dal bel colore paglierino, questo formaggio a latte vaccino è tra gli ultimi arrivati nella lista dei P.A.T. italiani. Merito di una storia che lo vede protagonista della produzione casearia in Val Chiusella.

 

  • Cofanetto P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura, filata.

Formaggio a pasta cotta, dura e filata che prende il nome del Monte Cofano (Trapani). Proviene da latte vaccino e latte ovino. Con una sapiente lavorazione, il casaro sfrutta il calore indotto della scotta per iniziare l’acidificazione della pasta e procedere poi con la filatura.

 

  • Comelico P.A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Dagli alpeggi della Val Comelico il latte giunge all’unica latteria presente nel paese, la quale dà vita a questo formaggio. Viene proposto in tutte le stagioni grazie al fatto che le lattifere si alimentano del fieno sfalciato in estate nei prati valligiani. Denuncia interessanti aromi proprio per l’alimentazione verde delle vacche.

 

  • Conciato di San Vittore P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta dura.

Prodotto già all’epoca dei Sanniti, racchiude in sé gli aromi delle spezie e delle erbe tipiche dei pascoli e dei monti del basso Lazio. Nei primi giorni di stagionatura le forme vengono aromatizzate con 15 erbe.

 

  • Contrin P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Nelle Dolomiti il Contrin è per tutti il rifugio a sud ovest della Marmolada, la montagna più alta. Questo formaggio a pasta semidura porta il suo nome. A Livinallongo c’è un’unica latteria che lo produce.

 

  • Cosacavaddu ibleo P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura, filata.

E’ una versione del Ragusano D.O.P., per il quale esiste un disciplinare di produzione. Formaggio di latte di vacca a pasta filata dalla classica forma siciliana, parallelepipeda.

 

  • Crescenza P.A.T. (Lombardia) – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

I formaggi a pasta molle sono un marchio distintivo della Lombardia, dove se ne produce in grande quantità. La Crescenza è forse il più conosciuto, in quanto molto richiesto. Le origini sono di Lodi e provincia.

 

  • Cuincir P.A.T. – Composizione di latticino ricotta, di breve stagionatura.

È uno dei più antichi prodotti delle malghe friulane. Nasce col siero di latte di vacca e viene stagionato per 45-60 giorni. Fortemente aromatico.

 

  • Dolcesardo Arborea P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Dal latte di vacca, attorno agli anni ‘30 nacque ad Arborea questo formaggio. A pasta molle, viene consumato dopo 15 giorni di maturazione in cella.

 

  • Dolomiti P.A.T. (Trentino – Alto Adige) – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle o semidura.

Per produrlo è necessario il latte di vacca termizzato, come da antica ricetta stabilita dall’Istituto agrario di San Michele all’Adige circa 10 anni fa. E’ un formaggio di difficile reperibilità, si fa in particolare in Val di Fiemme.

 

  • Dolomiti P.A.T. (Veneto) – Formaggio semigrasso di media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Si chiamava Monte delle Dolomiti. Viene prodotto in Val Zoldana e in Val Fiorentina in quantità molto limitata. Ha pagato la chiusura, in un recente passato, delle Latterie Turnarie, cuore della caseificazione locale, quando le vacche venivano allevate in piccole stalle paesane e i pascoli potevano accogliere molti capi. Oggi i pascoli si sono ridotti e non consentono un elevato commercio di latte.

 

  • Ericino P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Alle pendici del monte Erice, questo formaggio anticamente era considerato uno sviluppatore della virilità maschile, ma veniva anche utilizzato come bene da sacrificare alla dea Venere Ericina. Da latte di pecora misto a poco latte di vacca.

 

  • Fagagna P.A.T. – Formaggio grasso, a pasta semidura o dura, a breve o lunga stagionatura.

Nasce nel 1865 in provincia di Udine presso la Latteria sociale di Fagagna. Fresco, mezzano e vecchio, porta il nome marchiato sullo scalzo.

 

  • Falagone P.A.T. – Dolce tipico cotto al forno.

E’ una specialità a base di ricotta prodotta da siero di pecora e di capra, tipica della parte nord-occidentale della Basilicata. Non è quindi un formaggio, ma rientra nella lista dei P.A.T. regionali essendo realizzata con altri prodotti come uova, menta e zucchero.

 

  • Farci-Provola P.A.T. – Formaggio fresco o di breve stagionatura, a pasta filata.

Formaggio che racchiude una farcitura di insaccati, capocollo o soppressata. Alla pasta filata viene data la forma allungata con unica strozzatura. Si consuma fresco o dopo breve stagionatura. Gli insaccati impiegati sono tipici del territorio di produzione.

 

  • Fatulì P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Dal latte della capra Bionda dell’Adamello nasce un formaggio che, fatto solo in alpeggio, ha caratteristiche uniche, sia per le dimensioni da piccola pezzatura, sia per le caratteristiche organolettiche.

 

  • Felciata P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Adagiato sulle foglie di felce, questo formaggio cosentino viene prodotto con latte di capra e una piccola parte di latte di pecora. Consumato appena fatto, anche caldo. La pasta è umida, morbida, di bassa intensità aromatica.

 

  • Fior delle Dolomiti (tipo Italico, Formaggio molle da tavola, Caciotta) A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

La capra ha la capacità di adattarsi a qualsiasi ambiente, clima e territorio. In Valbelluna da anni si allevano per ricavare il latte da trasformare in formaggio. Il Fior delle Dolomiti è a pasta molle e si consuma dopo una breve stagionatura. La bassa intensità aromatica lo rende piacevole.

 

  • Fior di ricotta di Ponte Persica P.A.T. – Latticino magro, fresco, a pasta molle

Territorio interessato alla produzione è rappresentato dai Comuni di Castellammare di Stabia, Pompei (NA), Scafati (SA). Ha una forma tronco piramidale o tronco conica, a secondo delle “fuscella” utilizzate (contenitori in materiale plastico per alimenti), di peso fino a 500 grammi; colore bianco latte fino all’avorio più o meno chiaro, consistenza morbida, cremosa pastosa e vellutata. Il sapore è dolce di latte fresco appena munto e profumo di panna fresca. Il valore energetico di 100 grammi di Fior di ricotta oscilla tra le 230 e le 250 Kcal, 22-23 % di proteine, meno dell’1% di lattosio, 16 -18% di grasso e 0,4-0,7 % di sale. Il prodotto ha come peculiarità la presenza di un amalgama di ricotta e formaggio fresco, che potrebbe essere confuso con la ricotta normale o ricotte simili. Ma quello che lo rende unico è la consistenza ed il sapore che sono ottenuti grazie alla tecnologia che è basata sull’acidificazione del latte bovino fresco con latte acido (innesto) naturale. Il risultato è un prodotto molto cremoso e con fiocchi piccolissimi. Il particolare procedimento causa la precipitazione di tutte le proteine del latte, le caseine, le lattoglobuline e le lattoalbumine il che conferisce una tessitura sottilissima e fondente in bocca che facilita la digeribilità. Veniva e viene utilizzato soprattutto per l’alimentazione dei bambini, tanto è vero che molti pediatri della zona lo consigliano alle mamme per svezzare i piccoli. Viene utilizzato nella pasticceria napoletana per produrre dolci dal sapore delicato o in gastronomia per condire la pasta.

Il “fior di ricotta” viene confezionato generalmente con tutta la fuscella in carta pergamena bianca con un foglio in carta pergamena tondo che fa anche da coperchio sulla sommità del contenitore, riportante tutte le indicazioni di legge. La shelf life del prodotto è di cinque giorni.

 

  • Fiordilatte P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle, filata.

Il fiordilatte è un formaggio fresco a pasta filata che vanta in Campania antiche tradizioni; quello più famoso è di Agerola, cittadina nota già ai tempi di Galeno per la produzione di “latte molto salutare”. Per produrre il fiordilatte si è sempre utilizzato latte vaccino di altissima qualità, proveniente da una o più mungiture consecutive, che viene consegnato crudo al caseificio entro 24 ore dalla prima mungitura. La lavorazione è quella comunemente utilizzata per la mozzarella vaccina, dalla quale si discosta per forma e consistenza della pasta. La forma è variabile, tondeggiante anche con testina, nodino, treccia e parallelepipedo, a seconda dell’area di provenienza. Si presenta privo di crosta, di color bianco-latte con sfumature paglierine, ha una pelle tenera e una superficie liscia, lucente e omogenea, la sua consistenza è morbida e rilascia al taglio un liquido lattiginoso, omogeneo e caratteristico; il suo sapore è molto fresco, di latte delicatamente acidulo ed è impiegato anche per guarnire la pizza.

 

  • Fiorone della Valsassina P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o a breve stagionatura, a pasta molle o semidura.

In Valsassina Leonardo studiò lo sfondo della Gioconda. Ma è anche la valle delle grotte, famose per le loro condizioni di temperatura e umidità che permettono ai formaggi importanti stagionature. Ecco un eccellente esempio.

 

  • Fiurì (Fiurit) P.A.T. – Latticino magro, fresco, a pasta molle, cremosa.

La prima ricotta affiorata viene chiamata “fiore”. Anche nelle province di Brescia e Bergamo, dove nasce questo latticino dal termine dialettale che si presenta come crema e si porta dietro una cosa curiosa: dopo l’estrazione dalla caldaia, viene frustato con rametti di abete.

 

  • Fodòm P.A.T. – Formaggio semigrasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Nei mesi estivi le vacche amano pascolare nelle vicinanze di Livinallongo del Col di Lana, cuore delle Dolomiti, teatro della Grande Guerra. Il Fodom (nome che deriva dall’idioma ladino corrispondente a una delle frazioni del comune) nasce qui, dalle abili mani dei casari che dal 1934 fanno formaggi tipici di un territorio impervio dalle alte vette.

 

  • Fontal P.A.T. (Lombardia) – Formaggio grasso di breve media stagionatura, a pasta semidura.

Il Fontal è il connubio del processo produttivo della conosciuta Fontina con l’altrettanto apprezzato Emmental. Nasce da esigenze commerciali, per soddisfare il consumatore che chiedeva un prodotto dalle caratteristiche interessanti capace di accontentare tutti.

 

  • Fontal P.A.T. (Trentino – Alto Adige) – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Nella metà del secolo scorso, in Trentino fu messa a punto la tecnica casearia per produrre un formaggio che coniugasse le caratteristiche della Fontina con quelle dell’Emmental. Nacque così il Fontal, che ebbe presto notevole successo, tanto da essere prodotto a livello industriale anche in Lombradia. È considerato un’alternativa al Nostrano.

 

  • Formadi Frant P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Primordiale formaggio da “riciclo”. Veniva prodotto recuperando formaggi Latteria non consumati o difettati. Oggi è un formaggio di pregio. Ha un’intensità aromatica elevata e una sensazione di piccantezza.

 

  • Formaggella della Val Brembana P.A.T. – Formaggio semigrasso o grasso di breve stagionatura, a pasta semidura.

La Val Brembana è un territorio ricco di allevamenti e di pastorizia. Dove nascono molti formaggi interessanti come questo, di secolare tradizione. Apprezzato per le sue caratteristiche soprattutto nel periodo estivo.

 

  • Formaggella della Val Camonica P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Tra le tante proposte di Formaggella lombarda, questo piccolo formaggio si inserisce d’autorità per le caratteristiche esemplari dei formaggi d’Alpe in un territorio compreso fra le cime dell’Adamello e quelle dello Stelvio.

 

  • Formaggella della Val Sabbia P.A.T. – Formaggio grasso di breve stagionatura, a pasta molle.

Nella valle che gli dà il nome, questo formaggio a latte di vacca crudo e a pasta cruda viene inoculato con muffa bianca che ne determina il curioso aspetto esterno. Dalla crosta edibile, la Formaggella si apprezza soprattutto per la morbidezza della pasta.

 

  • Formaggella della Val Scalve P.A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Molto considerato negli ambienti nobili di un tempo, questo formaggio è stato “salvato” dalla golosità di una gentil donna che ne richiese ai frati un’eccessiva produzione. Pare fosse ricercato per le caratteristiche terapeutiche.

 

  • Formaggella della Val Seriana P.A.T. – Formaggio semigrasso, di breve, media stagionatura, a pasta semidura.

Una volta si pagava l’affitto dei terreni agricoli con questo formaggio a pasta semidura di piccole dimensioni, diventato noto per le deroghe ottenute per la produzione a latte crudo.

 

  • Formaggella della Val Trompia P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Il formaggio da latte di vacca, a pasta cruda e molle, che porta il nome della vallata dove nasce, viene consumato spesso nella zona di produzione, ma negli ultimi anni la caseificazione è aumentata per soddisfare l’esigenza commerciale.

 

  • Formaggella di Menconico P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Anche la provincia di Pavia ha la sua formaggella, prodotta con latte di vacca a pasta cruda. Di piccole dimensioni, la piacevolezza della pasta molle si “sposa” alla grande con i vini locali.

 

  • Formaggella di Tremosine P.A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta molle.

Il clima, l’altitudine dell’altopiano da cui prende il nome, e l’influenza del Lago di Garda, su cui si affaccia il paese, determinano le proprietà organolettiche di questa Formaggella. Originale la croce incisa su una faccia.

 

  • Formaggetta della Val Graveglia (di Bonassola, di Vàise, dell’Alta Valle Scrivia, dell’Alta Valla Stura, della Val di Vara) A.T. – Formaggio grasso, fresco o a breve stagionatura, a pasta molle.

Un tempo era il formaggio delle famiglie che sfruttavano il latte delle poche pecore in loro possesso. Oggi si fa con latte di vacca e si consuma fresco o a breve stagionatura. Spesso non viene neppure salato. La crosta è trattata con olio per evitare difetti superficiali.

 

  • Formaggetta delle valli Arroscia e Argentina P.A.T. – Formaggio grasso o semigrasso, fresco o a breve stagionatura, a pasta molle.

Ha una particolarità: il latte di vacca viene parzialmente scremato e miscelato con quello di pecora. Il tutto finisce in piccoli contenitori dai quali esce un solo formaggio. A coagulazione lattica, la cagliata impiega anche 24 ore per poi essere ribaltata dentro fuscelle apposite. Si può fare anche con latte vaccino e caprino.

 

  • Formaggetta fresca (Furmaìn) A.T. – Formaggio grasso, fresco o di media stagionatura, a pasta semidura.

Nasce nella provincia di Reggio Emilia, prodotto in famiglia o nei piccoli caseifici e poi dato in dotazione al lavoratore agricolo che lo consumava in campagna. Ora viene fatto anche dai caseifici che producono Parmigiano Reggiano

 

  • Formaggetta savonese (di Stella, della valle Stura) A.T. –Formaggio grasso, fresco o a breve stagionatura, a pasta molle.

Per fare questo formaggio non sono necessarie dosi particolari di latte vaccino e ovino. Si usa il latte disponibile e senza proporzioni predefinite. Si consuma dopo un mese di stagionatura, ma anche prima, visto che le paste molli liguri sono apprezzabili anche a pochi giorni dalla salatura.

 

  • Formaggi caprini della Maremma (Caprini freschi o aromatizzati) A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle, lattica.

Le capre un tempo erano il sostentamento delle famiglie maremmane. Producevano un latte proteico e molto equilibrato, indicato per i bambini appena nati. Oggi un solo caseificio del territorio lavora il latte di capra, producendo formaggi a coagulazione lattica da consumare freschi, magari aromatizzati con erbe e spezie locali.

 

  • Formaggi di latte di capra dell’Isola di Capraia P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o mediamente stagionato, a pasta molle, lattica o dura, in funzione della stagionatura.

Se è vero che l’isola di Capraia prende il nome delle capre già all’epoca Romana, è anche vero che i formaggi ricavati dal latte munto acquisiscono aromi decisamente particolari per l’influenza ambientale del mar Tirreno. Li produce una sola azienda locale.

 

  • Formaggi e ricotta di stazzo P.A.T. – Formaggio grasso, a breve, media stagionatura, a pasta molle o semidura.

Tipico del territorio montano abruzzese. Fatto con latte di pecora e capra, oppure latte di vacca. Storicamente veniva utilizzato coagulante estratto dal fico, ora si adopera caglio di vitello. Prodotto nei mesi in cui le lattifere al pascolo assumono un’alimentazione verde.

 

  • Formaggio a crosta rossa P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle e crosta lavata.

La superfice rossa è tipica dei formaggi a crosta lavata, ovvero quella crosta che viene trattata con acque e sale durante la maturazione. Processo che accentua la proteolisi, la maturazione delle proteine, e concede al formaggio una cremificazione del sottocrosta e un’accentuata aromaticità. Formaggio influenzato tecnologicamente dalla caseificazione francese.

 

  • Formaggio caprino del Cilento P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a breve, media o lunga stagionatura, a pasta molle, semidura o dura.

Dalla capra si munge un latte del tutto particolare, anche per l’alimentazione, che nel caso di questo formaggio è naturale.  Il formaggio caprino prodotto nel Cilento, in provincia di Salerno, è chiamato in dialetto “casu” ed è una produzione molto antica. A pasta molle o semidura, il Caprino del Cilento si presenta a forma cilindrica, con pasta bianca che tende al paglierino con la stagionatura. A seconda del caglio utilizzato, le sensazioni aromatiche possono essere delicate o elevate, dolce se prodotto con caglio di vitello, più intenso e leggermente piccante se si utilizza il caglio di capretto. Il suo procedimento tradizionale è molto antico: il latte viene filtrato e riscaldato a circa 36-37 gradi, In seguito si aggiunge il caglio, di vitello o di capretto, che si coagula in 20-25 minuti, per poi essere rotto in grumi della grandezza di un chicco di riso e si lascia riposare per circa un quarto d’ora. In seguito si trasferisce nelle fuscelle, le piccole ceste di vimini, si lascia spurgare per circa 30 minuti e si immerge nel siero della ricotta. Dopo 5-8 ore si effettua la salatura che deve avvenire a secco e durare due giorni: la produzione viene completata con l’immersione nel siero e l’asciugatura in graticci. Anche la fase della stagionatura incide sul sapore del caprino che risulta più sapido quanto più tempo viene lasciato stagionare.

 

  • Formaggio caprino dell’Alto Mugello P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle o semidura.

In un territorio dove le colline concedono pascoli e prati per lo sfalcio dell’erba, le capre possono alimentarsi allo stato brado. Con il loro latte i caseifici locali producono Caprini freschi, ma anche stagionati, semplici o aromatizzati.

 

  • Formaggio caprino delle Apuane P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle o semidura.

Nelle montagne e nei dirupi, le capre pascolano e si alimentano con erbe spontanee che sono fortemente influenzate dal clima e dalla vicinanza del Mar Tirreno. Purtroppo sono pochi gli allevatori che producono questo formaggio, decisamente interessante per la sua storica tecnologica e per le proprietà organolettiche assunte dal latte.

 

  • Formaggio d’Alpe grasso P.A.T. – Formaggio grasso, a media o lunga stagionatura, a pasta dura.

In tutto l’arco alpino i formaggi sono sinonimo di alpeggio. Quando le vacche si alimentano con le erbe spontanee dei pascoli alti delle montagne lombarde, nasce questo formaggio di latte crudo e intero.

 

  • Formaggio d’Alpe misto P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Nei pascoli dove la monticazione usa portare ancora, oltre che le vacche, anche le capre, si produce questo formaggio dove il latte delle due specie viene miscelato in proporzioni casuali. Di solito quello caprino non supera il 20% del latte lavorato.

 

  • Formaggio d’Alpe semigrasso P.A.T. – Formaggio semigrasso, di breve, media stagionatura, a pasta dura.

Nasce sugli alpeggi delle montagne lombarde, come il formaggio d’Alpe grasso. Solo che in questo caso il latte è parzialmente scemato per affioramento e la panna viene utilizzata per fare il burro.

 

  • Formaggio del fieno P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Utilizzare il fieno per affinare un formaggio è cosa conosciuta, ma che il fieno venga sfalciato ed essiccato in alpeggio è cosa ben diversa. Particolarità che caratterizza questo formaggio fatto col latte crudo di vacca.

 

  • Formaggio di capra “Padduni” P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Quando si discute sulla scoperta del formaggio, col tempo si va ad alcuni millenni prima di Cristo. Questo formaggio di capra si avvicina a quell’epoca. Basti pensare che Omero lo cita in una ricetta.

 

  • Formaggio di capra a pasta molle P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle. Può essere aromatizzato.

Il latte di capra è noto per la sua ottimale composizione di proteine e grassi. I formaggi che ne derivano sono solitamente da consumare freschi o a breve stagionatura, ma possono anche maturare a lungo. Questo formaggio, che si consuma solo dopo 25 giorni di stagionatura, conferma la qualità casearia del latte caprino, soprattutto perché è di montagna.

 

  • Formaggio di capra P.A.T. (Lazio) – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle o semidura.

Prodotto in provincia di Roma, Latina e Frosinone con latte di capra. Si presenta nelle tipologie fresco e stagionato e può essere aromatizzato con peperoncino nella fase di estrazione dalla caldaia.

 

  • Formaggio di capra siciliana P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve, media, o lunga stagionatura.

E’ l’espressione dell’antica tecnica di lavorazione del latte di capra siciliana. La tecnologia, le attrezzature tipiche e le proprietà organolettiche, caratterizzano un formaggio dagli aromi intensi, favoriti dall’alimentazione verde delle lattifere.

 

  • Formaggio di colostro ovino P.A.T. – Latticino grasso, fresco, a pasta semidura.

Se si parte dal presupposto che il formaggio ha origine dal latte o dalla panna, questa specialità casearia è da considerarsi un latticino. Ma ha una particolarità che lo rende unico in Italia: il colostro, che la pecora produce per 4-5 giorni dopo il parto. In quei giorni, viene munta e dal latte nasce questa prelibatezza.

 

  • Formaggio di malga di Trioria (delle Alpi Marittime) A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

A latte di vacca anche parzialmente scremato, come molti altri delle Alpi. Infatti, la tradizione e le esigenze locali impongono la scrematura per affioramento allo scopo di ottenere il burro dalla panna ricavata. Le caratteristiche organolettiche sono assicurate dall’alimentazione delle vacche in alpeggio.

 

  • Formaggio di malga P.A.T. (Friuli – Venezia Giulia) – Formaggio semigrasso, di breve o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Formaggio prodotto direttamente nei pascoli delle Alpi Carniche, a quote superiori ai 1500 metri. Si usa latte di vacca, a volte miscelato con quello di capra o di pecora.

 

  • Formaggio di pecora o capra a pasta pressata P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta dura.

L’ambiente valdostano è esclusivamente montuoso e le caratteristiche morfologiche ne fanno un territorio difficile. Le vacche sono allevate in fondovalle e d’estate negli alpeggi, mentre le pecore e le capre si adattano all’ambiente tanto bello quanto ostico. Dal latte ovino e caprino si ottiene questo formaggio a pasta cotta che vuole smentire chi pensa che la vacca sia l’unica produttrice della regione.

 

  • Formaggio di Pietracatella P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Dalle grotte tufacee di Pietracatella, esce stagionato questo formaggio che si definisce a latte misto in quanto, a seconda della disponibilità, per la sua produzione viene impiegato latte di vacca o di capra o di pecora.

 

  • Formaggio di S. Stefano di Quisquina P.A.T. – Formaggio grasso, di lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Il territorio dove si produce questo formaggio è ricco di pascoli e soprattutto di acqua di sorgente. Le pecore possono alimentarsi allo stato brado e permettere quindi al latte di assumere aromaticità particolari.

 

  • Formaggio di Santo Stefano d’Aveto (San Ste’) A.T. – Formaggio grasso, a breve-media stagionatura, a pasta semidura.

Utilizzato come merce di scambio quando le Latterie Turnarie lo producevano. Ha una curiosità produttiva: la frantumazione della pasta già posta nelle fascere. Consiglio: arrostitelo su lastre roventi di ardesia e mangiatelo a fette.

 

  • Formaggio duro di latte di pecora, capra e vacca P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Il territorio interessato alla produzione è rappresentato dalle aree montane del Matese Beneventano, comune di Cusano Mutri ed aree limitrofe. Si tratta di un formaggio a pasta dura, prodotto con latte proveniente da allevamenti di piccole e medie dimensioni, da bovine in prevalenza di razza bruna o pezzata rossa italiana, capre e pecore di razze locali, con stagionatura media (da 2 a 6 – 12 mesi), che avviene in locali aereati di tipo tradizionale, in area montana. Colore della pasta giallo paglierino molto chiaro, variabile con la stagione di produzione; crosta color giallastra quindi nocciola chiaro, tendente a scurirsi con l’avanzare della stagionatura; consistenza elastica prima e quindi granulosa con cristalli proteici evidenti, e frattura a scaglie. Anche la stagionatura avviene in montagna, a quote non inferiori ai 1.000 mt. Si può consumare dopo media stagionatura, ma anche dopo un anno.

La caseificazione avviene utilizzando latte vaccino non scremato, di pecora e capra, in quantità variabili; una proporzione tipica del periodo primaverile, prevede circa il 70% di latte vaccino, 20% di pecora ed il restante 10% di capra. La proporzione però sembra risentire della contrazione che l’allevamento di capra ha subito nell’area di produzione.

 

  • Formaggio e caciotta di pecora sott’olio P.A.T. (Lazio) – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Formaggio di latte di pecora che nasce per essere conservato a lungo sott’olio. Tagliato a spicchi per la conservazione. In fase di estrazione dalla caldaia c’è chi lo aromizza con pepe.

 

  • Formaggio farcito e misto P.A.T. (Umbria) – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Può essere fatto con latte vaccino o ovino in tutta l’Umbria. La tecnica di produzione prevede la lavorazione del latte pastorizzato a coagulazione presamica ed, eventualmente, la farcitura con erbe e spezie. Formaggio da pasto.

 

  • Formaggio misto di capra P.A.T. (Trentino – Alto Adige) – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Sono ormai 80 anni che nel territorio della Val di Fiemme e delle valli Giudicarie le capre vengono allevate più o meno costantemente. Oggi gli allevatori hanno ripreso le antiche tradizioni di produrre latte e, con quello vaccino mescolato a quello di capra, viene fatto questo formaggio che recupera una notorietà persa.

 

  • Formaggio misto P.A.T. (Valle d’Aosta) – Formaggio grasso di media stagionatura a pasta semidura.

La mungitura di una lattifera segue la stagionalità dell’animale. La vacca per 9 mesi l’anno, la capra e la pecora per periodi inferiori e spesso non coincidenti. Per questo il Misto della Valle d’Aosta non ha precise proporzioni nella miscelatura dei tre latti. Il vaccino, però, è sempre prevalente.

 

  • Formaggio morbido del Matese P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o a breve o media stagionatura, a pasta molle o semidura.

Aree interessate alla produzione sono quelle montane del Matese Beneventano, comune di Pietraroja ed aree limitrofe. Viene prodotto un formaggio a pasta tenera, pastosa, impiegando latte proveniente da allevamenti di piccole e medie dimensioni, da bovine in prevalenza di razza bruna o pezzata rossa italiana, con stagionatura media (da 10 giorni a 2-3 mesi), che avviene in locali aereati di tipo tradizionale. La caseificazione avviene utilizzando latte vaccino non scremato, appena munto, la mattina; viene addizionato di caglio di capretto, prodotto in azienda, e, senza riscaldare se non in caso di eccessivo abbassamento della temperatura ambientale, si attende la cagliata che avviene solitamente nel giro di 1-2 ore. La rottura della cagliata avviene senza addizionare di acqua calda e riscaldamento, fino ad una grandezza dei grumi a “chicco di riso”; quindi si lascia ricostituire la massa che si separa dal siero e si deposita sul fondo del recipiente di lavorazione. Quindi, a mano, la cagliata si separa, si lascia sgrondare dal siero residuo, e si pressa in porzioni da 1-2 >Kg nelle fuscelle, di vimini o di plastica per alimenti. si asciugano e si salano sulle due facce, quindi si pongono a stagionare in locali tradizionali, cantine o solai, con sufficiente grado di umidità.

La pasta è di colore giallo paglierino che tende ad accentuarsi con la stagionatura, con rare occhiature, al tatto morbida ed omogenea; la crosta resta elastica e lievemente più scura, con efflorescenze di colore bianco dovuto a muffe per il protrarsi della stagionatura.

 

  • Formaggio salato P.A.T. – Formaggio grasso di breve stagionatura a pasta dura.

Veniva fatto con latte di vacca dalle famiglie della Carnia. Oggi viene prodotto e affinato nelle salmueries, miscela di salamoia, latte e panna di affioramento.

 

  • Formaggio Val Seriana P.A.T. – Formaggio semigrasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Nasce dallo stesso territorio dell’omonima Formaggella, ma in questo caso abbiamo le classiche caratteristiche del formaggio d’Alpe che può stagionare a lungo. Il latte crudo parzialmente scremato è lavorato negli alpeggi dal casaro con attrezzi storici.

 

  • Formai de Livign P.A.T. –Formaggio semigrasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

In un territorio turisticamente ben noto, si produce questo formaggio dalle antiche tradizioni culturali. Viene commercializzato dopo almeno 60 giorni di stagionatura.

 

  • Formai del cit P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle, spalmabile.

Prende il nome dai contenitori nei quali viene conservato ed è prodotto recuperando formaggi Latteria e Montasio non destinati alla stagionatura. E’ il risultato di un composto di formaggi tritati e impastati con latte, sale e pepe.

 

  • Frachet P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle o semidura.

Riciclare resti di formaggi, a coagulazione lattica o presamica, e ricotta era, per le famiglie contadine, una saggezza economica dettata dal fatto che nulla andava sprecato. Con quei resti veniva preparato un composto interessante al quale erbe e spezie concedevano aromi molto particolari. Tutto questo oggi è il Frachet.

 

  • Fresa (Fresa de attenzu) A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Nel variegato panorama delle paste molli sarde, questo formaggio, da latte di vacca e, raramente, da latte di pecora, è piuttosto particolare, perché viene caseificato soprattutto in autunno, quando il latte delle vacche è povero. Come in Lombardia per gli Stracchini.

 

  • Frico P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Un tempo era il pasto povero dei contadini e dei boscaioli, oggi è uno dei piatti friulani più esclusivi, realizzato con formaggi fritti assieme a olio, burro e lardo. Si consuma sia caldo, sia freddo.

 

  • Frumagit di Curiglia P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Venne il momento in cui la capra non fu più vista come divoratrice e quindi danneggiatrice dei pascoli, permettendo all’allevatore e alla sua famiglia di vivere decorosamente. Questo formaggio a pasta molle viene prodotto con le stesse tecniche di allora.

 

  • Furmagg de ségia P.A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura a pasta semidura.

Il nome stesso fa capire che assomiglia a una sedia. Cioè al contenitore di legno con doghe dove vengono posti a strati i formaggi. Permette, con l’aggiunta di pepe nero, agli stessi di mantenersi a lungo.

 

  • Furmai nustran P.A.T. – Formaggio semigrasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Anche nei territori più a nord del Comelico e del Cadore viene fatto un formaggio considerato il Latteria delle montagne per la qualità dell’alimentazione delle vacche: il Nostran (nostrano).

 

  • Garda Tremosine P.A.T. – Formaggio semigrasso di lunga stagionatura, a pasta dura.

Il Parco Alto Garda Bresciano è ricco di pascoli sui quali vagano le vacche, in particolare quelle di razza Bruna. Questo formaggio è il risultato finale. Va consumato dopo almeno 12 mesi di stagionatura.

 

  • Gioda P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Quando il professor Gioda insegnò a un casaro la tecnica produttiva di questo formaggio, applicò per la prima volta nel Cuneese la semicottura, ovvero il riscaldamento della pasta dopo la rottura della cagliata. Formaggio ben riconoscibile dal marchio impresso su una delle facce.

 

  • Giuncata (Zuncà, Giuncà) A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Dalla “gurettu”, una specie di rete costruita con i giunchi, esce un formaggio particolarmente rigato, dalla crosta inesistente e dalla pasta molle, umida e fresca che viene consumato immediatamente dopo il raffreddamento. È un formaggio insipido, non si sala e per questo si abbina gradevolmente a confetture dolci.

 

  • Giuncata P.A.T. (Calabria) – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle, anche affumicato.

Formaggio delle province di Cosenza e Catanzaro. Latte di capra di varie razze. Si consuma fresco o conservato per una decina di giorni. La pasta è morbida, umida, dall’intensità aromatica bassa o medio-bassa.

 

  • Giuncata P.A.T. (Puglia) – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

È uno dei formaggi più antichi della Puglia. Il latte di vacca, pecora e capra, veniva munto e utilizzato misto. Nelle famiglie contadine era d’uso porre la cagliata appena estratta in cestini di giunco, dai quali ha preso il nome. Il formaggio conseguente non era mai salato e si mangiava subito.

 

  • Giuncata vaccina abruzzese (Sprisciocca) A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Il nome del formaggio racchiude le fasi più importanti della sua produzione: il giunco, dove viene posta la pasta dopo l’estrazione dalla caldaia, e il modo di comprimere la pasta, definita dagli abruzzesi spremitura. Formaggio a pasta molle di bassa aromaticità.

 

  • Giuncatella abruzzese P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Formaggio tipico delle produzioni casalinghe abruzzesi, oggi viene proposto con latte misto di pecora e capra. Consumato immediatamente dopo l’estrazione dalla caldaia. La sua piacevolezza nasce dalla freschezza.

 

  • Gran cacio di Morolo P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta filata semidura o dura.

Prodotto con latte di vacca, appartiene alla tradizione ciociara. Dalla classica forma di Caciocavallo, può stagionare fino a 18 mesi.

 

  • Granone lodigiano P.A.T. – Formaggio semigrasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Capostipite dei formaggi a pasta grana, il Granone si presenta come formaggio raro dalle caratteristiche organolettiche particolari e uniche. Proposto in varie tipologie: la Raspadura, il Lodigiano e lo Stravecchio, in base al tempo di stagionatura.

 

  • Graukase (Formaggio grigio) A.T. – Formaggio magro, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura.

Da formaggio dei poveri a prodotto d’eccellenza del territorio. Una volta per produrlo le famiglie pusteresi dovevano attendere di avere il latte già scremato, ovvero spremuto il più possibile dal grasso che dava vita al burro. Il grigiore da cui prende il nome era dato dalle muffe, provocate immettendo pezzi di fungo. E’ un Presidio Slow Food.

 

  • Greviera di Ozieri P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Quando dalla Svizzera arrivarono nel territorio di Sassari i tori di razza Bruno Alpina, venne importata anche la tecnica produttiva del Gruviera. A Orzieri si produce dal 1850 e fa parte della storia dei formaggi tradizionali della Sardegna. Il problema è che si fa quasi esclusivamente lì.

 

  • Hochpustertaler (Formaggio Alta Pusteria) A.T. – Formaggio semigrasso o grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Nel 1883 gli allevatori della zona costituirono una delle prime cooperative. Da allora, il “formaggio di Dobbiaco” viene prodotto con il latte vaccino dei masi. Sia a latte parzialmente scremato, sia intero, impiega la stessa tecnologia di produzione.

 

  • Il Fossa del Greppo (Pecorino di fossa del Greppo, formaggio pecorino di fossa del Greppo) A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta dura.

In molte zone dell’Italia gli atti di vandalismo e di ruberie da parte dei popoli conquistatori erano molto temuti. Perché mettevano a repentaglio le scorte alimentari. Così i formaggi, come altri prodotti, venivano infossati per essere nascosti. Una volta tornati in superficie, si scoprì che avevano catturato aromi del tutto particolari. Oggi nelle fosse del Greppo accade ancora questo miracolo della natura.

 

  • Il grande vecchio di Montefollonico P.A.T. – Formaggio grasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Il nome indica chiaramente che si tratta di un prodotto da invecchiare, da stagionare a lungo. Difatti, sono almeno 10 i mesi che intercorrono tra la sua produzione e il consumo. A latte di pecora, a pasta dura.

 

  • Imbriago P.A.T. – Formaggio semigrasso o grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Durante la Grande Guerra venne scoperto che nascondendo il formaggio nelle vinacce ne usciva un prodotto diverso da tutti gli altri. Da allora questo affinamento ha continuato a dare risultati d’eccellenza, tanto da diventare produzione tradizionale veneta.

 

  • Incanestrato di Castel del Monte P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, di media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Tipico della zona Aquilana del Gran Sasso, viene fatto con latte di pecora al pascolo, soprattutto nei mesi di maggio e giugno, quando l’erba è fresca e le fioriture sono abbondanti. Formaggio di media-elevata aromaticità, può essere consumato già dopo 25-30 giorni.

 

  • Inticina (Formaggio Inticina) A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Formaggio fatto prevalentemente in alta Pusteria e denominato con il nome ladino di San Candido. Usa tecnologie casearie tramandate da casaro in casaro.

 

  • Italico (Bel Paese) A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Quando un formaggio mantiene salde le radici della tipicità è quasi scontato che trova il consenso del consumatore. Come questo Italico, più conosciuto come Bel Paese. Dal Lodigiano e dal Pavese, ha scavalcato la zona di origine per essere commercializzato e consumato in tutt’Italia.

 

  • Juncata P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

La provincia di Avellino, nota per la produzione di formaggi e pasta filata e del caciovallo, è la zona di derivazione di un prodotto antichissimo e molto particolare: la Juncata o Giuncata. Menzionata già dal poeta ellenistico Teocrito, è il prodotto del latte vaccino fresco della mungitura serale o mattutina, che, filtrato, riscaldato e addizionato di caglio, viene raccolto durante la prima fase della coagulazione. Dopo la raccolta si lascia asciugare in appositi contenitori e in seguito, si trasferisce in cestini di giunchi vegetali dai quali prende il nome, e si lascia riposare per qualche ora. Prodotta e commercializzata nello stesso giorno, è uno dei freschi per eccellenza: va consumata freschissima per apprezzarne la particolare consistenza tenera, simile a quella di un budino, e il sapore dolce e delicato.

 

  • Lattecrudo di Tremosine P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Originario dell’altopiano che gli dà il nome, è un formaggio diventato specialità del territorio. A latte crudo, viene consumato dopo breve stagionatura e apprezzato per le diversità determinate dal singolo pascolo, alimento delle lattifere.

 

  • Latteria di Sappada P.A.T. – Formaggio semigrasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Dal territorio dove sorge il fiume Piave, proprio in alto alpeggio, il Latteria si distingue dagli altri formaggi bellunesi per la sua tecnica produttiva particolare. Formaggio a pasta semigrassa e semidura. Stupendo con polenta e funghi.

 

  • Latteria P.A.T. (Friuli-Venezia Giulia) – Formaggio semigrasso a breve stagionatura a pasta semidura.

Legato alle comunità montane, è il tipico formaggio delle Latterie Turnarie di una volta: un semigrasso che può essere consumato dopo un mese. E’ Presidio Slow Food.

 

  • Latteria P.A.T. (Lombardia) – Formaggio grasso, a breve o media stagionatura, a pasta semidura.

In molte zone delle Alpi nel 1800 nacquero le Latterie Turnarie, piccoli caseifici dove gli allevatori del posto conferivano il latte e a turno facevano il formaggio. Il Latteria è il prodotto per antonomasia di quelle esperienze. Grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura, capace di accontentare un po’ tutti.

 

  • Maccagno P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Ieri come oggi, il Maccagno viene fatto con il latte di una sola munta e alla temperatura naturale di mungitura. E’ un formaggio Presidio Slow Food e ha iniziato l’iter per ottenere la denominazione di origine protetta fruendo di un disciplinare di produzione.

 

  • Magnoca P.A.T. – Formaggio magro, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Il 75-90% del latte di vacca utilizzato per questo formaggio viene scremato per affioramento. Di conseguenza, è magro. Uno dei pochi delle Alpi.

 

  • Magro di Latteria P.A.T. – Formaggio semigrasso o grasso di breve stagionatura, a pasta semidura.

Anche a Morbegno le Latterie Turnarie hanno fatto la storia del formaggio. Questo prodotto nasce proprio nelle latterie per essere prima consumato in loco e poi commercializzato altrove.

 

  • Magro di Piatta P.A.T. – Formaggio magro di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Nella Valdidentro, dove il clima dice grazie all’abbondanza di acqua che fuoriesce dal terreno anche ad alte temperature, il latte ha delle peculiarità organolettiche capaci di determinare le caratteristiche del formaggio prodotto. Magro, per la totale scrematura del latte.

 

  • Magro P.A.T. (Lombardia) – Formaggio semigrasso, di breve stagionatura, a pasta molle o semidura.

Nell’epoca in cui il burro era un prodotto necessario all’alimentazione delle popolazioni montane, i formaggi venivano fatti scremando il latte della munta serale per utilizzarlo insieme a quello della munta mattutina. Nel Triangolo Lariano l’usanza è viva tutt’oggi. Possiamo quindi apprezzare questo formaggio semigrasso da consumare dopo breve stagionatura.

 

  • Maiorchino di Novara di Sicilia P.A.T. – Formaggio grasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Formaggio a pasta dura che primeggia per le decise proprietà organolettiche. Le origini risalgono alla nascita del Gioco del ruzzolo, ovvero il formaggio viene fatto ruzzolare per le vie del paese su una distanza di due e più chilometri.

  • Maiorchino P.A.T. – Formaggio grasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Dai pascoli dei Monti Peloritani, dove le pecore si alimentano allo stato brado, il latte viene conferito a piccoli produttori che lo lavorano con le regole dettate dalla tradizione. Formaggio a pasta cotta, dura, dagli aromi intensi, con una piccantezza decisa al massimo della stagionatura.

 

  • Malga bellunese P.A.T. – Formaggio semigrasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Già nel XV secolo nel Bellunese l’allevatore portava le vacche nelle malghe. Allora non c’erano ancora turisti ed escursionisti, il consumo sul posto era limitato e quindi le forme andavano a valle per la stagionatura. Oggi la gran parte dei prodotti di malga viene commercializzata subito dopo la produzione.

 

  • Malga dell’altopiano dei sette comuni P.A.T. – Formaggio semigrasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Gli alpeggi immensi, dove d’estate pascolano liberamente le vacche, sono il presupposto di questo formaggio di lunga stagionatura che ha un solo difetto: viene prodotto in quantità limitata.

 

  • Manteca del Cilento P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta filata l’involucro esterno. Internamente la manteca è grassa, morbida e cremosa.

La manteca del Cilento, prodotta per l’appunto nella zona del Cilento, in provincia di Salerno, è un formaggio a pasta filata molto simile al burrino, e come quest’ultimo, nasce dall’esigenza di conservare il burro più a lungo possibile dalla primavera-estate, periodo in cui veniva prodotto, fino all’autunno quando i pastori transumavano a valle. Il nome “manteca” deriva dalla parola spagnola che significa, appunto “burro” e le origini della sua produzione sono antichissime. Il burro utilizzato per la produzione della manteca, si ottiene dal siero residuo della lavorazione della cagliata che, una volta riscaldato a 75-80 gradi comincia a produrre dei fiocchi che affiorano in superficie, chiamati “prima ricotta”; tali fiocchi vengono man mano raccolti e messi in un recipiente a riposare per circa mezz’ora. La massa, posta per a sgrondare per un giorno intero in un telo di cotone viene di nuovo trasferita in un recipiente di legno dove si lavora a mano, per separare il grasso che affiora a poco a poco dal resto del siero. Il grasso viene rassodato con l’aggiunta di acqua fredda, gli si dà una forma sferica o allungata e lo si lascia raffreddare in acqua fredda dove viene ulteriormente lavorato per allontanare l’acqua residua. Infine, si riveste con uno strato di pasta filata e le forme ottenute vengono messe in salamoia per circa 12 ore. Il prodotto ottenuto è, dunque costituito da una crosta dura, di colore giallo paglierino, che racchiude un cuore di pasta cremosa bianca.

 

  • Manteca P.A.T. (Basilicata) – Formaggio grasso, fresco o a breve stagionatura, a pasta filata con burro.

Racchiude una particolare tecnologia storicamente utilizzata per conservare il burro ottenuto da panna di centrifuga del siero. Il tutto diventa poi la farcitura di un fiaschetto di pasta filata da latte di vacca. Formaggio e burro da consumare insieme.

 

  • Manteca P.A.T. (Campania) – Latticino magro, a pasta molle, fresco.

Nella provincia di Avellino e in particolare nelle zone interne tradizionalmente legate alla transumanza, viene confezionato un formaggio di antichissima produzione molto simile alla ricotta: la manteca. Ottenuta dalla lavorazione del latte bovino utilizzato per la lavorazione di formaggi a pasta filata, come per esempio il caciocavallo o la scamorza, la manteca si prepara riscaldando il latte bovino a 40 gradi. Il latte, poi, si fa coagulare con caglio di agnello e dopo circa 30 minuti dall’aggiunta del caglio si rompe la cagliata a dimensione di una nocciola, si lascia depositare e si toglie il siero per la produzione della ricotta. Il siero viene poi scaldato a una temperatura di 85-90 gradi, si aggiunge siero acido e, quando si forma la ricotta, si raccoglie e si mette in un panno di cotone a scolare per un giorno e una notte. E’ questa la manteca. Il mattino seguente, la manteca viene sbriciolata manualmente, in un secchio di legno o di metallo stagnato, aggiungendo piccole quantità di acqua quando avrà l’aspetto di una purea si versa con forza abbondante acqua ottenendo, in questo modo, la separazione del grasso, il burro, dal latticello.

 

  • Manteca P.A.T. (Puglia) – Formaggio a doppia panna, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura, filata.

Una volta per mantenere il burro si usava avvolgerlo nella pasta filata, che lo isolava dall’aria. Oggi il Manteca è un formaggio molto richiesto perché conserva gli aromi naturali del latte e della panna. Molto apprezzato anche al di fuori del territorio di produzione.

 

  • Marzolino (Marzolina) A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve, media e lunga stagionatura, a pasta dura.

Storicamente prodotto nel mese di marzo, è fatto con latte di capra, pecora e vacca anche miscelati fra loro. Esistono molte varianti produttive, da cui nascono formaggio con caratteristiche sensoriali ben diverse fra loro.

 

  • Marzolino di Lucardo (Pecorino di Lucardo) A.T. – Formaggio semigrasso o grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Grazie a uno studio dell’Arsia Toscana, è stata riproposta, recentemente, la tecnica casearia per fare questo prodotto storico, scomparso da alcuni secoli. Così possiamo riassaporare un formaggio da latte di pecora dalle caratteristiche organolettiche uniche.

 

  • Mascarpone di bufala P.A.T. – Formaggio gustoso, cremoso e vellutato

Zona di produzione: Comuni di Battipaglia, Bellizzi, Eboli (SA).

Il mascarpone di bufala è un formaggio gustoso, cremoso e vellutato, e rientra in moltissime specialità pasticciere: può servire come farcitura o può essere utilizzato nella preparazione del famoso tiramisù, oppure può essere usato per condire pasta o addirittura produrre polpette da friggere. Si presenta come una delicatissima crema, morbida, densa, mantecata e omogenea con un colore che va dal bianco neve a bianco porcellanato. Il sapore è delicato, dolce e burroso con retrogusto che ricorda la panna fresca di bufala. il prodotto si conserva a temperatura di 4° C per 15- 20 giorni. Oltre tale periodo, il Mascarpone potrebbe spurgare siero e potrebbe irrancidire assumendo sapore ed odore sgradevoli e potrebbero sviluppare muffe. Formaggio dall’alto valore nutrizionale, il Mascarpone presenta una percentuale di grassi che si aggira intorno al 48-52%.

Si ottiene dalla crema o panna di latte di bufala riscaldato a 90-95°C e addizionata, previa agitazione, ad acido citrico, o succo di limone. Si aggiunge tanto acido fino a quando le proteine presenti nella panna si aggregano anche per effetto del calore ed il Mascarpone si separa dal siero. Terminato tale processo il prodotto viene fatto raffreddare su teli di cotone o altro tessuto idoneo, sistemati all’ interno di vaschette di plastica forate e lasciata spurgare dapprima a temperatura ambiente (15-30° C) per 2-3 ore, quindi in celle-frigorifere a 7-8°C per qualche ora ed infine a 4°C per 24-48 ore. A questo punto è pronto per il consumo e viene confezionato in vasetti da 500 grammi.

 

  • Mascherpa d’Alpe P.A.T. – Latticino magro, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle o semidura.

Dopo aver prodotto il Bitto D.O.P. il casaro continua il riscaldamento del siero per fare la ricotta. Questo tipico latticino è diverso. A differenza delle tradizionali ricotte che si consumano fresche, viene stagionato almeno 30 giorni.

 

  • Matusc P.A.T. – Formaggio semigrasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Formaggio che si ottiene dal latte di vacca e viene estratto dalla caldaia con il “matte”, telo da cui prende il nome.

 

  • Misto pecora fresco dei Berici P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Tanto tempo fa sui monti Berici le pecore autoctone avevano una triplice funzione: carne, lana e latte. Facevano, quindi, poco latte. Che veniva miscelato a quello di vacca per ottenere questo formaggio. Ha una pasta morbida adatta ad essere accompagnata da un buon bicchiere di vino bianco.

 

  • Moesin di Fregona P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura.

In alternativa ai più noti Montasio D.O.P. e Latteria, l’unico caseificio di Fregona, nel Cansiglio, produce questo interessante formaggio da latte di vacca che si consuma fresco o a breve stagionatura.

 

  • Mollana della Val Borbera P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Formaggio a pasta molle, così come evoca il nome. Un molle d’altri tempi, quando non si aveva urgenza di nulla e si lavorava con la dovuta calma. Infatti, viene prodotto ancora oggi con tempi molto lunghi, quasi a volersi dimenticare il latte che caglia. Anche la sua salatura è unica: effettuata al momento in cui la crosta appare.

 

  • Montagna P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Nelle vallate più estese della provincia di Trento, la Valsugana e la Val d’Adige, questo formaggio è una tradizionale, tanto da essere citato in documenti già attorno alla metà del secolo scorso. E’ a pasta cotta a latte intero e viene inoculato con lo stesso sieroinnesto usato per il Grana Padano D.O.P.

 

  • Monte Baldo (Monte Baldo primo fiore) A.T. – Formaggio semigrasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Dalla montagna le cui pendici occidentali scendono verso il Lago di Garda e dai pascoli estivi in alta quota, nasce questo formaggio legato alla monticazione. Fatto come una volta nelle malghe e nei piccoli caseifici. La lunga stagionatura preserva tutte le proprietà aromatiche dei pascoli.

 

  • Monte Re P.A.T. – Formaggio grasso, di media stagionatura, a pasta semidura.

Prende il nome dal monte che si trova sul confine tra l’Italia e la Slovenia, ora denominato Carso Triestino. Fatto con latte di capra, pecora e vacca, poi stagionato quattro mesi.

 

  • Montebore P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Sembra che i monaci dell’abbazia di S. Maria di Vendersi abbiano preparato per la prima volta nel IX secolo questo particolare formaggio che ricorda una torta nuziale. Non a caso, veniva servito nei pranzi importanti. Un tempo era fatto con latte di pecora, ora si produce in piccolissime quantità con latte misto di vacca e pecora. E solo nel territorio di origine.

 

  • Montegranero P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Nella grande varietà di offerta di formaggi piemontesi, pochi sono quelli che seguono la tecnica produttiva della cottura. Questo Montegranero è uno di quei pochi. Dopo la rottura della cagliata, viene cotto fino a 48 gradi.

 

  • Montemagro P.A.T. – Formaggio magro, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Formaggio dal contenuto di grasso piuttosto basso, in quanto viene scremato per oltre il 35%. Produzione scarsa. Lo si trova solo nei caseifici che lo producono. Anche la sua tecnica produttiva non è del tutto chiara.

 

  • Monteson P.A.T. – Formaggio semigrasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Così chiamato in ricordo della transumanza, “monteson” in dialetto trentino. Gli allevatori quando dovevano sfalciare il fieno nei prati alti della montagna, si portavano dietro le vacche e le capre e col loro latte si facevano questo formaggio semigrasso a pasta semicotta.

 

  • Morlacco P.A.T. – Formaggio magro di breve stagionatura, a pasta molle.

Formaggio antico, da quando stagionava ricoperto dalle argille di Possagno o sotto il letame. Oggi matura nelle malghe del Monte Grappa, dove viene anche venduto direttamente. È uno dei pochi formaggi magri a pasta molle con aromaticità intense.

 

  • Mortrett (Murtret) A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Dalle antiche usanze di conservazione del formaggio, anche quello già aperto o difettoso, arriva il metodo usato per il Mortrett, che sfrutta una miscela di formaggi di vario tipo e ricotta. Mescolanza che viene condita con tanto sale e peperoncino.

 

  • Motelì P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Viene prodotto con una tecnica simile a quella del Cacioricotta, per consentire il recupero delle sieroproteine nella pasta del formaggio che, altrimenti, rimarrebbero nel siero per poi affiorare come ricotta.

 

  • Mozzarella di Brugnato P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle e filata.

Ogni luogo italiano ha la sua mozzarella. Quella di Brugnato segue la tecnologia delle paste filate fresche e trova consensi. Si presenta con la classica forma ovoidale. Si trova spesso tra i piatti locali liguri. Si consiglia di consumarla con l’olio extra vergine delle olive rivierasche.

 

  • Mozzarella di vacca P.A.T. (Molise) – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle, filata.

Variante della classica Mozzarella. Ogni territorio italiano ha tradizioni diverse che determinano tecnologie produttive diverse anche per un formaggio come questo che solo apparentemente è sempre uguale.

 

  • Mozzarella nella mortella P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta filata.

La mozzarella “co’ a mortedda”, è un formaggio a pasta filata ottenuto dalla trasformazione del latte di vacca, la cui zona di produzione tradizionale è individuabile in pochi comuni del basso Cilento nel Salernitano. La denominazione nasce dall’usanza di confezionare le mozzarelle, di forma allungata e più o meno piatta, la cosiddetta “mozzarella stracciata”, alternandole a fronde di mirto appena raccolte successivamente legate alle estremità coi rami sottili e flessibili delle ginestre. Generalmente queste confezioni dette ” mazzi” contengono 6-10 mozzarelle. Anticamente la mozzarella veniva prodotta vicino alle zone dove gli animali venivano fatti pascolare e si presentava dunque l’esigenza di conservarla in involucri che la proteggessero durante il trasporto fino ai paesi dove veniva venduta. Si è scelto di utilizzare il mirto, o mortella, perché oltre a essere pianta sempreverde, è facilmente reperibile come essenza spontanea nelle zone di pascolo del Cilento, e perché conferisce al prodotto un aroma molto particolare. Una particolarità nella lavorazione consiste nel far maturare la cagliata, dopo la rottura, in assenza, o quasi, di siero il che conferisce al prodotto una consistenza compatta e asciutta con una pellicola esterna particolarmente doppia. Questo formaggio è particolarissimo e va consumato dopo essere stato scartato dal mirto; conserva l’impronta delle foglie e dei rami sulla forma e, soprattutto, il suo aroma.

 

  • Mozzarella o Fior di latte P.A.T. (Puglia) – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle, filata.

Tutti sanno cos’è la Mozzarella. Ma pochi sanno che in Puglia veniva prodotta già nel Medioevo. E’ diventata una specialità, chiamata anche Fior di latte. Emblema di un territorio dove l’allevamento è fiorente e le tradizioni si rispettano.

 

  • Mozzarella P.A.T. (Basilicata) – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle e filata.

Formaggio che viene prodotto ormai in tutto il mondo, ma in Basilicata, come in altre regioni italiane, conserva tecniche legate alla tradizione, che richiedono tempi decisamente lunghi. Si consuma fresca.

 

  • Mozzarella P.A.T. (Sicilia) – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle, filata.

Come in Campania, anche in Sicilia la bufala ha trovato l’habitat ideale per essere allevata e offrire un’eccellente latte da caseificazione. La Mozzarella prodotta in Sicilia, con metodi antichi e diversi da quelli di altre zone d’Italia, permette al consumatore di degustare un prodotto dagli aromi particolarmente lattici.

 

  • Mozzarella silana P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle e filata.

Tradizionalmente prodotta sul versante ionico dell’Altopiano della Sila con latte di vacca. Formaggio fresco a pasta filata, di bassa intensità aromatica. Consumato in grande quantità sia in luogo di produzione, sia altrove.

 

  • Murianengo (Moncenigo) A.T. – Formaggio semigrasso o grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura, erborinata.

La tecnica delle due paste, ovvero l’unione delle due cagliate, quella serale e quella mattutina, ha origini antiche ed è ben rappresentata da questo formaggio conosciuto e apprezzato fin dal 1400. Le due paste, unite e poi lasciate in pressa per dare forma al formaggio, permettono all’aria di infiltrarsi tra gli alveoli, facendo proliferare le muffe autoctone. Stiamo quindi parlando di un formaggio erborinato.

 

  • Murtarat P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve, media o lunga stagionatura.

Formaggio eccezionale anche per il semplice motivo che può essere consumato subito, con intensità aromatiche basse e freschezza apprezzabile, oppure stagionato anche 2 anni, con intensità aromatiche elevate e piccantezza. Durante la stagionatura, alla pasta vengono aggiunti aglio tritato, pepe o altri aromi come rosmarino, peperoncino e fieno.

 

  • Musulupu dell’Aspromonte P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Etimologia che deriva dalla “musulupara,” il contenitore di legno di gelso nel quale la pasta, estratta dalla caldaia, viene posta. Latte di pecora e capra munto tra marzo e settembre. Formaggio a pasta molle, morbida, di colore bianco.

 

  • Nevegal P.A.T. – Formaggio grasso di breve stagionatura, a pasta semidura.

Nel territorio montano a sud della città di Belluno, il clima è deciso: forti nevicate d’inverno e caldo d’estate. Così il Nevegal dà un formaggio da tavola particolare che si produce quasi esclusivamente con latte di vacca Bruna.

  • Nisso P.A.T. –Formaggio grasso, fresco, di breve, media o lunga conservazione, a pasta molle.

I nostri avi avevano la bella abitudine di conservare tutti gli alimenti, anche i più deperibili. Per fare tanto, s’ingegnavano. Posto in vasi chiamati “amole”, il formaggio da latte vaccino, ovino o misto si conservava e maturava, tanto da concedere aromi elevati e piccantezza. Che apprezziamo anche oggi.

 

  • Nostrano (Nostrano “del casel”, Nostrano di malga, Nostrano di Primiero) A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

E’ il formaggio più tradizionale della provincia di Trento. Pur prodotto in ambientazioni diverse, in fondo valle come in montagna, mantiene la stessa tecnica casearia e solo localmente si differenzia minimamente. Il latte di vacca può variare, a seconda delle razze impiegate.

 

  • Nostrano d’Alpe P.A.T. – Formaggio semigrasso o grasso di breve, media o lunga stagionatura.

Dagli alpeggi del Cuneese arriva questo formaggio dalla storia secolare. Si produce sia con latte parzialmente scremato, sia con latte intero. Se ben stagionato è consigliabile consumarlo in purezza.

 

  • Nostrano grasso P.A.T. (Lombardia) – Formaggio grasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Formaggio tipico dell’arco alpino lombardo. Nasce per essere conservato per lunghi periodi. Il latte di vacca intero viene lavorato dalle sapienti mani del casaro.

 

  • Nostrano semigrasso P.A.T. (Lombardia) – Formaggio semigrasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Il latte della munta serale viene scremato per affioramento e unito a quello della munta mattutina. Ne deriva il tipico formaggio d’Alpe, fatto solo negli alpeggi della catena montana lombarda. Ogni pascolo, per le caratteristiche delle erbe spontanee, determina nel formaggio caratteristiche organolettiche diverse.

 

  • Nostrano veronese P.A.T. – Formaggio semigrasso di media o lunga stagionatura, a pasta dura.

In tutta la provincia di Verona, ma soprattutto sulle montagne, il Nostrano rappresenta la storia della caseificazione locale. Dal grasso prelevato per affioramento naturale si faceva e si fa ancora il burro che, come il formaggio, cambia aromaticità in funzione dell’alimentazione delle vacche.

 

  • O’ peluso P.A.T. –  Formaggio grasso, di breve stagionatura

0’ Peluso è un formaggio ottenuto alla fine della lavorazione della caciotta con l’impiego di latte ovino, caprino o misto. Ha forma rotondeggiante o leggermente oblunga ed un colore bianco avorio a seconda del latte utilizzato. Privo di crosta esterna e in pezzature da 200 grammi, viene confezionato in larghe foglie di fico o vite oppure in carta pergamena. si mangia subito o massimo il giorno dopo.

 

  • Ortler (Formaggio Ortler) A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Con l’eccellente latte della Val Venosta viene prodotto questo formaggio, che qualcuno definisce a pasta molle, dalle eccellenti particolarità organolettiche. Prende il nome dalla più alta montagna del sud Tirolo.

 

  • Padraccio P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Arriva dal territorio del Parco Nazionale del Pollino. Prodotto con latte di capra e pecora. È un formaggio fresco con pasta morbida, elastica e bianca, di bassa intensità aromatica.

 

  • Paglierina P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Se anche oggi si potesse maturare questo formaggio sotto la paglia fresca, profumata, il suo nome sarebbe azzeccato. Ma non è più così. Il nome, però, rimane. Formaggio a pasta molle dalle sensazioni aromatiche intense. Si inserisce nei prodotti tipici del Piemonte.

 

  • Pallone di Gravina P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta dura, filata.

Forma sferica, proprio come un pallone. Formaggio a pasta cruda, dura e filata: ricalca il percorso dei formaggi importanti che devono stagionare a lungo. Formato a mano e salato a lungo, rimane per molti mesi in grotte di tufo, che concedono alla pasta del formaggio aromi memorabili.

 

  • Panerone (Pannerone) A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura.

Formaggio unico nel suo genere, così come è unica la prerogativa sensoriale: deve essere amaro. Tipico di Lodi, è riconoscibile anche per la classica goccia, lacrima, ben visibile nell’occhiatura. Purtroppo è una rarità, tutelata da un Presidio Slow Food.

 

  • Pastorella del Cerreto di Sorano P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Purtroppo, in Italia ci sono parecchi formaggi prodotti in piccolissime quantità. Questo è uno di quelli, oggi proposto da un solo caseificio. A latte ovino misto a vaccino, ha la particolarità della crosta trattata con polpa di pomodoro fresco, che la preserva da muffe infestanti.

 

  • Pecorino (Viterbese, Ciociaro) A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Storicamente definito Pecorino ciociaro. Arriva da pecore allevate allo stato brado su pascoli alti fino a 2000 metri. Deve stagionare almeno 45 giorni, ma si mantiene molto di più.

 

  • Pecorino a crosta fiorita (Pecorino buccia di rospo) A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

La natura spesso ci mette lo zampino nel decretare le caratteristiche organolettiche di un prodotto. Come in questo formaggio, che matura in ambienti che permettono alle muffe buone di svilupparsi. La tecnica di produzione adotta l’inoculo di Penicillium candidum che, crescendo sulla crosta del formaggio, ne influenza gli aromi.

 

  • Pecorino a latte crudo abbucciato P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura.

Si può consumare anche fresco, ma la differenza la fa dopo una breve stagionatura, quando si forma la crosta, da qui il nome Abbucciato. Veniva citato già nel XI secolo dai monaci camaldolesi.

 

  • Pecorino a latte crudo della montagna pistoiese (Pecorino di Pistoia) A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Sulle montagne pistolesi le pecore sono allevate prevalentemente allo stato brado, permettendo loro di alimentarsi con le erbe spontanee. Il latte crudo viene lavorato con tecniche molto vecchie, tramandate fino ad oggi. Che danno vita a questo formaggio, reperibile solo localmente. Tanto che è un Presidio Slow Food.

 

  • Pecorino a latte crudo della provincia di Siena P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Tecnica di produzione secolare, tramandata dai pastori. Oggi è un formaggio prodotto in quantità limitata. A latte crudo e pasta cruda, mantiene le caratteristiche organolettiche del latte di lattifere alimentate con foraggi freschi ed erbe spontanee delle colline senesi.

 

  • Pecorino ai bronzi P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Antico formaggio della provincia di Frosinone fatto con latte di pecora e caratterizzato dalla stagionatura che lo vede stazionare per 30 giorni in madie di legno e poi nei “bronzi”, contenitori tipici di legno.

 

  • Pecorino alle erbe aromatiche (Pecorino fresco verde) A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

L’antica abitudine di “nascondere” il formaggio in erbe o spezie è diventata oggi una vera e propria affinatura, che concede al prodotto aromi del tutto particolari. Questo è uno dei pochi formaggi a latte di pecora che viene fatto così: con rosmarino, salvia, menta e basilico essiccati.

 

  • Pecorino bagnolese P.A.T. – Formaggio grasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Prodotto con il latte delle greggi che pascolano anche a quote superiori ai 1000 metri. La lavorazione prevede tecniche antiche e la bravura manuale del casaro, che spesso è il pastore stesso. Può stagionare per alcuni anni. La pecora bagnolese o malvizza è una particolare tipo di ovino che viene allevato in provincia di Avellino e precisamente nel territorio del comune di Bagnoli Irpino. Dal latte della pecora bagnolese, nutrita esclusivamente con pascoli naturali in piccoli allevamenti lontani dai grandi insediamenti urbani si ricava il “casu ‘re pecora” il cosiddetto “pecorino bagnolese”, un formaggio a pasta grassa e dura, di colore paglierino e di gusto piccante con una crosta dura e compatta, gialla tendente al marrone. Il procedimento per la produzione del pecorino è legato a tecniche tradizionali: il latte di pecora bagnolese viene riscaldato a circa 37-40 gradi e coagulato con caglio di agnello prodotto artigianalmente. Dopo circa 30 minuti dall’aggiunta del caglio si rompe la cagliata in pezzi della dimensione di una nocciola e si toglie il siero per la produzione della ricotta; contemporaneamente la cagliata viene passata nei cesti di vimini, le “fuscelle”, salata e lasciata stagionare. Il pecorino, a seconda della durata della stagionatura può essere mangiato dopo qualche giorno, preparandolo a fettine o arrostito, dopo 2-3 mesi come pietanza da tavolo, con frutta o miele o dopo 5-6 mesi, quando sarà molto piccante, utilizzandolo come formaggio da grattugia.

 

  • Pecorino d’Abruzzo P.A.T. – Formaggio grasso, a breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Prodotto in tutte le province dell’Abruzzo, è storicamente il formaggio più commercializzato e consumato in regione. La sua tecnologia semplice viene tramandata da generazioni, tanto da permettere al prodotto di maturare brevemente o raggiungere stagionature importanti.

 

  • Pecorino dei Berici P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media stagionatura, a pasta semidura o dura.

Mentre un tempo si utilizzava un coagulante vegetale estratto dal Gallium verum L., ora si usa il caglio. E’ un tipico Pecorino a pasta cruda prodotto dai pochissimi allevamenti stanziali del territorio.

 

  • Pecorino dei Monti della Laga P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta dura

Formaggio prodotto nella provincia di Rieti con latte di pecora e un’inferiore dose di latte di capra. È presente fin dagli anni Settanta in tutti i negozi della zona che vendono prodotti tipici.

 

  • Pecorino del Casentino P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Formaggio a latte crudo di una munta, a pasta cruda, che può essere consumato dopo 30 giorni, ma può stagionare oltre 4 mesi. Le proprietà organolettiche sono determinate dall’alimentazione delle pecore che pascolano nei territori collinari e montani del Casentino.

 

  • Pecorino del Matese P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Quando il gregge si dirigeva verso i pascoli del massiccio del Matese, il formaggio che il pastore produceva, anche strada facendo, era proprio questo Pecorino addizionato con una percentuale del 25% di latte di capra. Usando semplicemente le mani, ieri come oggi.

 

  • Pecorino del Monte Marzano P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Formaggio che stagiona almeno 2 mesi e viene trattato con olio d’oliva e aceto. Si sentono le erbe aromatiche assimilate da pecore e capre sul monte Marzano. L’aspetto e il sapore del formaggio pecorino prodotto nei paesi del Monte Marzano, in provincia di Salerno si sono mantenuti invariati negli anni perché è rimasto immutato il suo procedimento di produzione, diligentemente tramandato di padre in figlio. Le forme di questo pecorino a pasta dura, di colore bianco tendente al paglierino, si presentano protette da una crosta rugosa marrone chiaro e sono ottenute dalla lavorazione del latte crudo di pecora a volte misto con latte di capre nutrite quasi esclusivamente con pascoli naturali, salvo poche integrazioni nei mesi invernali, in modo tale che le essenze variegate del pascolo forniscano al formaggio un aroma molto intenso. Da secoli i pastori del Monte Marzano filtrano il latte fresco e lo riscaldano con fuoco a legna in un tradizionale recipiente di rame, il “caccavo”; una volta che il latte raggiunge una temperatura di circa 38 gradi, vi aggiungono caglio di capretto e di agnello, precedentemente diluito in acqua e filtrato, e lo lasciano riposare circa 30 minuti. Formatasi la cagliata, la rompono in granuli della dimensione di un chicco di riso e la lasciano riposare sotto siero per qualche minuto. In seguito, sempre con procedimenti manuali, raccolgono la cagliata e la ripongono nelle fuscelle di vimini, frugandola al fine di favorire lo spurgo del siero. In una seconda fase immergono la forma all’interno della fuscella nel siero bollente per un tempo medio di 4-5 minuti con l’obiettivo di scottare il formaggio in modo da favorire il restringimento della pasta e la formazione di una crosta omogenea. Il periodo di stagionatura varia a seconda del gusto.

 

  • Pecorino del Parco di Migliarino San Rossore P.A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Con tecniche che si tramandano di generazione in generazione, questo Pecorino viene prodotto in un’ampia zona e in quantità rilevanti, a differenza di altri formaggi da latte ovino della Toscana. Da latte pastorizzato, con eventuale utilizzo di lattoinnesto per mantenere la flora batterica autoctona, è un formaggio a pasta semidura.

 

  • Pecorino del pastore P.A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Formaggio della pastorizia, prodotto nelle province di Ravenna, Rimini, Forlì-Cesena e Bologna con latte di pecora Sarda. In inverno, quando le pecore iniziano a partorire, viene fatto anche in pianura.

 

  • Pecorino del Pollino P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Prodotto con latte di pecora in provincia di Cosenza, nell’area del Parco Nazionale del Pollino, tra ottobre e luglio. Formaggio grasso, lavorato a mano, che sosta in locali freschi per 3-5 mesi, la cui intensità aromatica è medio-elevata: col tempo diventa piccante.

 

  • Pecorino dell’Appennino Reggiano P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Nella collina reggiana il latte di pecora viene utilizzato per ottenere due tipologie di questo formaggio: a pasta tenera e a pasta semidura.

 

  • Pecorino della costa Apuana (Pecorino massese) A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Quando il clima di un territorio è influenzato dal mare, come in questo caso dal mar Tirreno, la flora spontanea è particolare. Le pecore, soprattutto quelle di razza Massese, che le mangiano, concedono al loro latte proprietà organolettiche uniche. Apprezzabili in questo formaggio, che deve stagionare almeno 60 giorni.

 

  • Pecorino della Garfagnana e delle colline lucchesi (Pecorino baccellone) A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve e media stagionatura, a pasta molle o semidura.

Il latte crudo di una munta viene immediatamente lavorato e, con caglio di vitello, coagulato. Può essere consumato subito dopo la salatura, come formaggio fresco, oppure può stagionare su tavole di legno di pioppo o di castagno.

 

  • Pecorino della Locride P.A.T. – Formaggio grasso, a breve, media o lunga stagionatura.

Arriva dalla zona da cui prende il nome, la Locride. Latte di pecora o di capra. Si consuma dopo una breve stagionatura di alcuni mesi, presentando aromaticità medio-elevata o elevata.

 

  • Pecorino della Lunigiana P.A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Non sono molti, in Toscana, i formaggi da latte ovino a pasta semicotta o cotta. Questa è una delle rarità. Tecnica casearia tramandata dai pastori, a pasta semidura e di dimensioni varie.

 

  • Pecorino della Sabina (semplice e alle erbe) A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura e dura.

Nasce in un territorio da sempre dedito alla transumanza. Fatto con latte di pecora, stagiona da 3 a 6 mesi. Può essere aromatizzato con erba cipollina, finocchio selvatico, basilico e coriandolo.

 

  • Pecorino della Vallata “Stilaro Allaro” P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Prodotto in Calabria, nella provincia di Reggio Calabria, in particolare nella zona dell’Alto Ionio, con latte di pecora e capra dell’Aspromonte. Stagiona dai 4 ai 10 mesi in ambienti freschi. Tende a essere piccante e salato.

 

  • Pecorino delle colline senesi P.A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Formaggio conosciuto in tutto il territorio italiano e apprezzato per le caratteristiche organolettiche concesse dal latte ovino di origine, così come dalla stagionatura, che avviene su tavole di abete.

 

  • Pecorino di Amatrice P.A.T. – Formaggio grasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Nella zona di produzione vengono storicamente prodotti formaggi di latte di pecora. Le forme, trattate con olio di oliva e aceto, possono stagionare fino a un anno, quando assumono le caratteristiche sensoriali idonee per essere utilizzate con gli “spaghetti all’amatriciana”.

 

  • Pecorino di Atri P.A.T. – Formaggio grasso, a media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Prodotto in Abruzzo, nell’area di Atri, in provincia di Teramo, con latte di pecora, è un formaggio a pasta cotta e semidura che con la stagionatura diventa dura. Può essere conservato in vasi con olio extravergine di oliva.

 

  • Pecorino di Capracotta P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Formaggio che assume diversità organolettiche in funzione del pascolo dove le pecore vengono portate. Fatto senza strumenti, solo con le mani.

 

  • Pecorino di Carmasciano P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Nella provincia di Avellino, nella piccola località di Carmasciano, divisa tra i comuni di Rocca San Felice e Guardia Lombardi, si produce questo formaggio dalle note sensoriali decisamente interessanti; è un gustoso pecorino di antica tradizione, caratterizzato da un’accurata preparazione interamente artigianale. Il latte delle pecore tenute al pascolo in zona, nell’area delle antiche “Mefite della Valle d’Ansanto”, citate da Virgilio nell’Eneide per la presenza di esalazioni di zolfo che si suppone caratterizzino il formaggio, viene riscaldato a circa 37-40 gradi e coagulato con caglio di agnello o capretto prodotto artigianalmente. Dopo circa 30 minuti dall’aggiunta del caglio si rompe la cagliata, si toglie il siero per la produzione della ricotta e contemporaneamente la parte solida così formata si lavora con le mani fino ad ottenere una pasta compatta che si sistema nella fuscella, il piccolo cestello di vimini dove viene lasciata a riposare per circa 48 ore. Le forme vengono poi scottate nel siero caldo, sfregate con sale e, dopo 10 giorni, spennellate con olio d’oliva, vino bianco e aceto. Si ottiene, infine, un pecorino dal sapore unico che può essere più o meno stagionato, consumato a fette o grattugiato.

 

  • Pecorino di Farindola P.A.T. – Pasta semidura, dura.

Formaggio unico fra i Pecorini italiani per la sua elementare tecnologia, ma soprattutto per l’utilizzo di caglio di maiale. Altre peculiarità: la stagionatura avviene all’interno di armadi di legno chiamati “vecchie madie” e tutta la lavorazione viene affidata alle donne.

 

  • Pecorino di Ferentino P.A.T. – Formaggio grasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Formaggio tradizionale della provincia di Frosinone, ottenuto da latte di pecora con metodi antichi. La stagionatura può raggiungere anche un anno.

 

  • Pecorino di Laticauda P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

La pecora di razza Laticauda nasce da incroci casuali tra una popolazione locale, ascrivibile alla pecora Appenninica, e la pecora Berbera o Barbaresca di origine Nord-Africana, importata in Campania durante il regno Borbonico, dalla quale ha ereditato diverse caratteristiche tra cui la coda grossa, adiposa e espansa alla base, dalla cui definizione latina deriva il suo nome: lata cauda, cioè, letteralmente, “ampia coda”. L’area principale di allevamento era, originariamente, il Napoletano; in tempi successivi si spostò verso Capua e da qui nell’Arianese e nel Beneventano. Attualmente viene allevata principalmente nelle province di Avellino e Benevento anche se non mancano presenze significative in provincia di Caserta. Il pecorino che si ricava dal suo latte è noto da tempo antichissimo; alla fine del XIV secolo erano celebri nella tradizione locale dei comuni del Fortore Beneventano i pecorini di laticauda, la cui bontà era dovuta, così come ancora oggi, alle erbe spontanee dei pascoli montani tra queste soprattutto al trifoglio ladino. Si preparano con latte fresco appena munto, o proveniente dalla mungitura precedente, filtrato e posto in caldaia per essere riscaldato fino a una temperatura di 35-40 gradi, quindi si introduce il caglio di agnello di Laticauda. In seguito alla rottura della cagliata, si formano dei piccoli grumi che asportati manualmente, si depongono nelle fascere; il prodotto così ottenuto viene pressato con le dita, fino a ottenere una massa compatta. Il formaggio viene quindi messo in salamoia per essere commercializzato dopo tempi diversi a secondo della tipologia: fresco, dopo 2 giorni, semistagionato dopo 2 mesi, stagionato dopo un minimo di 4 mesi. Durante la fase di stagionatura la forma viene lavata con siero bollente e con acqua. Quando il formaggio è maturo e comincia a “sudare”, cioè emette qualche goccia di liquido, viene unto con olio extra vergine di oliva. Al termine della stagionatura, la cui durata oscilla tra i 4 e i dodici mesi, il prodotto presenta una consistenza dura, a tratti farinosa, non aderente allo strumento di taglio, con grana fine e frattura a scaglie, priva di cavità interne e imperfezioni. Il colore varia dal giallo paglierino al giallo brillante e ha un odore gradevole e intenso di latte pecorino e un sapore molto aromatico e leggermente piccante.

 

  • Pecorino di Maglie P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media e lunga stagionatura, a pasta semidura e dura.

Il pastore è anche allevatore e casaro e il suo formaggio lo produce con la massima conoscenza del latte che le sue pecore producono. Non solo, anche il caglio se lo fa in modo artigianale, completando una caseificazione del tutto autoctona. Così è questo Pecorino a breve stagionata e a lunga stagionatura.

 

  • Pecorino di malga P.A.T. (Liguria) – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta molle o dura.

In Liguria le pecore giungono dalle pianure piemontesi e bergamasche per alimentarsi con le erbe spontanee dell’alpeggio, spesso salendo anche piuttosto in alto. Il loro latte viene lavorato a mano e venduto direttamente dalle malghe, oppure portato nei mercati paesani della riviera ligure.

 

  • Pecorino di Norcia (di Norcia del pastore, stagionato in fossa/grotta, stagionato in botte umbra) A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Come alcuni millenni fa, anche oggi il Pecorino dell’Umbria viene fatto con tecniche diverse, a seconda della maturazione voluta. Formaggio con un’altra particolarità rispetto ai vari Pecorini in commercio: la stagionatura può avvenire in ambienti molto disuguali fra loro. Risultato: al consumo ha percezioni organolettiche molto diversificate.

 

  • Pecorino di Nule P.A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

In un territorio dove da sempre la pastorizia è fulcro economico e umano, nascono formaggi come questo, che, seguendo la tecnica produttiva di antica tradizione, viene caseificio a latte crudo di pecora.

 

  • Pecorino di Osilo P.A.T. – Formaggio grasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

E’ il formaggio dei pastori, che in piccoli ambienti e con pochissimo latte fanno il Pecorino a pasta cotta. La quale favorisce il sapore e la durata nel tempo. E’ un formaggio Presidio Slow Food.

 

  • Pecorino di Pienza stagionato in barriques P.A.T. – Formaggio grasso, di media stagionatura, a pasta semidura.

Il formaggio ha la capacità, quale elemento pieno di vita, di modificare le sue caratteristiche organolettiche a seconda della maturazione o della stagionatura. Se messo ad affinare in botti di legno che hanno contenuto vino, è molto facile che acquisisca odori e aromi del tutto inediti. Questo prodotto a latte di pecora ne è un tipico esempio.

 

  • Pecorino di Pietraroja P.A.T. – Formaggio grasso, a breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Quando in una piccola zona, come quella del comune di Pietraroja (BN), viene prodotto un formaggio tradizionale significa che esiste da sempre una pastorizia che dà importanza all’economia locale. In questo caso, particolare, nella fase di produzione, è la salatura: si protrae per ben 7 giorni. Le forme sono atipiche per dimensione, rispetto ai Pecorini dell’Italia meridionale, avendo un diametro di 35-40 cm.

E’ un formaggio di pecora a pasta morbida con struttura compatta e rarissime occhiature. Si differenzia dagli altri formaggi di latte di pecora per le dimensioni maggiori, in particolare per il diametro delle forme, che può raggiungere i 35 – 40 cm, con una altezza dello scalzo di 12 – 15 cm, e per l’uso della cosiddetta “acquazizza”, sorta di caglio liquido prodotto artigianalmente. Con l’avanzare della maturazione e con l’uso di diversi metodi, il sapore passa da dolce con pasta bianca e morbida ad una pasta più elastica con colore leggermente paglierino e sapore dolce ma più marcato, fino ad acquistare consistenza compatta e frattura a scaglie di colore paglierino più marcato, sapore deciso e tendenzialmente piccante. Alla vista si presenta di colore giallo paglierino deciso, lucido per l’applicazione di olio extravergine di oliva sulla crosta, con evidenti impronte delle fascere, fino al colore bruno delle forme più stagionate.

Il latte destinato alla produzione proviene dalla doppia mungitura (sera e mattina) delle pecore allevate nell’area di produzione. Esse vengono alimentate con pascolo di montagna ed integrazione di cereali e foraggi del posto.

Il latte intero viene coagulato ad una temperatura di 35° con l’aggiunta di caglio o dell’acquazizza, caglio liquido autoprodotto con un metodo che prevede l’uso di caglio di agnello o capretto intero, proveniente da animali non svezzati, legati ai due estremi. Questi vengono immersi in acqua addizionata di sale (2 Kg per 10 litri d’acqua), fatta bollire in precedenza a lungo per sciogliere interamente il sale e quindi portata a 35/36 °C, in una damigiana a collo largo da 10 litri; per garantire l’immersione del caglio (o dei cagli, se di piccola dimensione) si applicano dei cestelli al collo della damigiana. le damigiane, chiuse, vengono tenute almeno 40 – 50 giorni in cantina, al buio ed al fresco. Per la lavorazione di formaggi quali caciocavallo, provolone, scamorze e pecorino viene adoperata l’acqua che risulta alla fine del processo limpida, giallastra, oppure il caglio solido fatto rinvenire in acqua tiepida e ridotto in pasta, oppure ancora l’interno del caglio. Nel caso di uso dell’acquazizza si avrà un prodotto più delicato ed armonico, meno piccante alla stagionatura; nel caso di uso del caglio solido esausto, la stagionatura indurrà un sapore più deciso ed una maggiore presenza delle note piccanti; usando il caglio solido non sfruttato, si avrà la massima sapidità e piccantezza a parità di durata della stagionatura. La rottura della cagliata avviene dopo circa 30 minuti, è fatta manualmente o con spini rompicagliata in legno o acciaio inox fino ad ottenere grumi di dimensioni da una nocciola ad un chicco di mais. La cagliata così sosta sotto siero per circa 10 minuti quindi viene estratta manualmente e messa in fuscelle canestrate di plastica o di vimini.

La salatura viene fatta a secco con sale medio per sfregatura sulla superfice dopo circa due ore dalla formatura. Dopo 7 giorni viene rimosso dalle forme e messo ad asciugare su tavolati di legno di faggio o graticciati dove periodicamente e all’occorrenza, durante la stagionatura, viene unto con olio d’oliva.

 

  • Pecorino di Vitulano – Formaggio di pecora a pasta prima morbida poi via via più consistente

Il territorio interessato alla produzione è il Comune di Vitulano (BN). Si tratta di un formaggio di pecora a pasta prima morbida, di colore paglierino chiaro, poi via via più consistente con la stagionatura, fino a diventare friabile alla frattura, con colore paglierino più marcato, sapore deciso e tendenzialmente piccante. Alla vista si presenta di colore giallo paglierino deciso, lucido per l’applicazione di olio extravergine di oliva sulla crosta, con evidenti impronte delle fascere, fino al colore bruno delle forme più stagionate. Le dimensioni sono variabili, ma non superano di norma i 30 cm di diametro ed i 10 – 12 cm di altezza dello scalzo. La resa è intorno al 22-23%.

IIl latte destinato alla produzione proviene dalla doppia mungitura (sera e mattina) delle pecore allevate nell’area di produzione sostanzialmente riconducibile al versante nord-occidentale del Taburno. Esse vengono alimentate con pascolo di montagna ed in via marginale con l’integrazione di cereali e foraggi prevalentemente coltivati nell’area. Il latte intero, crudo, viene refrigerato in stalla a 4° C e quindi trasferito, una volta al giorno, la sera, con bidoni in acciaio inox al caseificio dove viene coagulato la mattina dopo ad una temperatura fra i 33 ed i 35°C, secondo la temperatura esterna, con l’aggiunta di caglio liquido di vitello. La rottura della cagliata, preceduta da un taglio a croce della massa, avviene dopo circa 30 minuti di rimescolatura con un mestolo di legno detto remenadora, dopo l’aggiunta del caglio, è fatta manualmente o con spini rompicagliata in legno o acciaio inox fino ad ottenere grumi di dimensioni da un chicco di riso ad un chicco di mais. La cagliata così sosta sotto siero per circa 10 minuti quindi viene estratta manualmente con un mestolo e messa in fuscelle canestrate di plastica o di vimini. La separazione del siero avviene per filtrazione dalle forme stesse con teli di cotone non colorati, previa delicata pressatura delle forme con le mani. Le forme vengono immerse nella scotta a 80-82 °C da cui precedentemente è stata estratta la ricotta, per un tempo variabile fra i 30 minuti per le forme più piccole (1-1,5 Kg) oppure fino al completo raffreddamento del siero per le forme più grandi (6-7 Kg). Quindi le forme vengono poste capovolte ed a coppia l’una sull’altra, ancora nelle forme, alternando la posizione (alto/basso) 3-4 volte per 4-5 giorni a spurgare ulteriormente siero dalla massa. Viene effettuata la “rottura dei righi”, cioè l’asportazione delle escrescenze di cagliata fuoriuscenti dalle fessure laterali delle forme. La salatura viene fatta a secco con sale medio per sfregatura della superfice massaggiando a mano le forme, liberate dalle fascere, procedendo al lavaggio e successiva asciugatura delle forme dopo 4-5 giorni. Quindi vengono poste nei locali di stagionatura su tavolati di legno di essenze non porose, con trattamento a base di olio extravergine di oliva sulle superfici 1-2 volte a settimana, periodiche ripuliture dalla muffa, in locali con aereazione naturale e ventilazione non forzata; la stagionatura dura almeno un mese, fino a sei ed oltre. Una certa quota viene venduta con pochi giorni di stagionatura, come “pimo sale”.

 

  • Pecorino foggiano P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Formaggio di piccole o grandi dimensioni, di breve o lunga stagionatura. Tipico per la piccantezza che assume con la stagionatura. Prodotto in un territorio dove l’influenza del mare si fa sentire.

 

  • Pecorino fresco di malga P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Sull’altopiano di Asiago i vecchi formaggi venivano chiamati “pegurin”. Le pecore che pascolano nei comuni di Roana e Lusiana producono un latte ricco di proprietà organolettiche che vengono travasate sul formaggio. A tavola si consuma come intermezzo fra una portata e l’altra.

 

  • Pecorino fresco o stagionato P.A.T. (Campania) – Formaggio grasso, a breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Il “casu ri pecora” è il formaggio di pecora che si produce in tutte le aree interne e pianeggianti della Campania, dove si pratica la transumanza. tradizione che si perde nei secoli, sia nella sua versione fresca che soggetto a stagionatura. Si presenta di forma cilindrica, dura e rugosa, di colore giallo dorato con una pasta bianca e compatta dotata di qualche rara occhiatura di piccolo diametro. Ha un sapore persistente tendente al piccante, se ben stagionato, e un odore intenso e pungente ricco di aromi dovuti al pascolo. In particolare il pecorino stagionato in cantina per un periodo che va da tre mesi a un anno e le cui forme vengono unte con olio e aceto, viene utilizzato grattugiato come ingrediente per moltissime specialità culinarie della Campania. Classico Pecorino che ha fatto la storia del territorio.

 

  • Pecorino in botte P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Si utilizza il classico Pecorino marchigiano brevemente stagionato, lo si avvolge in foglie di varie essenze o erbe aromatiche e lo si mette dentro botti che prima contenevano vino. Si ottiene così un formaggio dagli aromi intensi, dalla pasta friabile, decisamente interessante.

 

  • Pecorino in grotta del Viterbese P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Questo formaggio, prodotto con latte di pecora nel territorio di Cellere, nel Viterbese, ha una lunga tradizione. Viene trattato con olio di oliva e cenere e può essere rivestito con foglie di noce.

 

  • Pecorino marcetto P.A.T. (Cacio marcetto) – Formaggio grasso, a lunga maturazione, a pasta molle.

Dal latte di pecora del territorio di Castel del Monte, trova la sua caratteristica principale nella maturazione, largamente influenzata dalle larve di mosca, che determinano una pasta molto aromatica, umida, spalmabile, cremosa.

 

  • Pecorino marchigiano P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

È il formaggio della più antica tradizione marchigiana. Fatto dal latte appena munto, crudo, appartiene alla grande famiglia dei formaggi contadini, prodotti direttamente dal pastore, bravo anche a sfruttare le erbe locali per insaporirlo. Quello dei Monti Sibillini è un Presidio Slow Food.

 

  • Pecorino misto P.A.T. (Basilicata) – Formaggio grasso a media, lunga stagionatura, a pasta cruda (cotta in fuscelle dopo l’estrazione).

Prodotto in Basilicata, tra le montagne della Lucania, con latte di capra e pecora. La stagionatura può durare 2 mesi e avvenire in locali freschi o grotte. Formaggio a pasta dura di media o medio-elevata intensità aromatica.

  • Pecorino misto P.A.T. (Calabria) – Formaggio grasso, di breve, media, lunga stagionatura, a pasta semidura e dura.

Prodotto in tutta la Calabria, con latte di pecora e di capra, a volte con l’aggiunta di latte di vacca. Le lattifere sono alimentate con erbe spontanee dei prati. Formaggio a pasta dura, dalle elevate aromaticità.

 

  • Pecorino P.A.T. (Basilicata) – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Arriva dal territorio montano della Lucania, dove si lavora con latte di pecora. La stagionatura avviene in locali freschi per un periodo dai 2 ai 10 mesi. La pasta è dura, con occhiatura fine.

 

  • Pecorino P.A.T. (Puglia) – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Il più antico dei formaggi pugliesi ha origini con la transumanza dalle montagne abruzzesi al Tavoliere pugliese. Viene fatto ancora con attrezzi manuali di legno e nel periodo di lattazione delle pecore, tra febbraio e ottobre.

 

  • Pecorino primo sale P.A.T. (Calabria) – Formaggio grasso, fresco, a pasta semidura.

Formaggio con latte di capra di varie razze e di pecora. Prodotto nelle province di Catanzaro e Crotone. La pasta è semidura e si consuma fresco.

 

  • Pecorino rosso P.A.T. – Formaggio grasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Formaggio della tradizione siciliana. Crosta dura e rossa, a causa del trattamento con olio e pomodoro. Esprime tutta la sua aromaticità per la presenza del peperoncino.

 

  • Pecorino salaprese P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura.

Prodotto in Campania, è un formaggio fresco, molto apprezzato nel periodo estivo.

Si produce artigianalmente nelle province di Caserta, Salerno, Napoli e Avellino; è una varietà di pecorino detto “salaprese” poiché, a differenza delle altre varietà di pecorino viene consumato immediatamente dopo che ha “preso il sale” ovvero subito dopo la salatura, senza il consueto periodo di stagionatura. è prodotto con latte ovino di razze autoctone e ha una crosta morbida, appena colorata, ricoperta di grasso, color nocciola chiarissima. La pasta è compatta e molto morbida di colore bianco o appena paglierino e il suo sapore non è piccante, caratteristica che viene data dalla stagionatura, e sa fortemente di latte. Viene prodotta con latte di pecora locale, che viene scaldato fino a 36 gradi, dopo si aggiunge il caglio e si lascia coagulare per circa 20-30 minuti. La cagliata viene rotta a pezzi della dimensione di chicchi di riso e si lascia a riposo per qualche minuto e poi si pressa a mano per far uscire il siero. Dopo 3-4 ore le forme vengono scottate nel siero bollente e poi salate a secco per 24 ore circa. Le forme vengono poste a maturare in ambiente fresco e ventilato, e sono pronte al consumo dopo una breve asciugatura che deve avvenire a temperatura costante.

 

  • Pecorino stagionato in foglie di noce P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

L’affinamento del formaggio con prodotti vegetali freschi o essiccati è una pratica molto antica. Per questo prodotto a latte di pecora a pasta cruda e semidura, vengono utilizzate foglie di fico, che garantiscono una stagionatura molto particolare. Così facendo, le forme si modificano sia nell’aspetto, sia nelle proprietà tattili e gustative.

 

  • Picurinu (Tuma, primo sale, secondo sale, stagionato) A.T. – Formaggio grasso, fresco, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Pare che nel IX secolo a.C. Polifemo lo conservasse e lo mangiasse nella sua grotta. Dalla pasta semicotta pura, oppure miscelata con pepe nero o peperoncino, si presenta con gli aromi tipici dei pascoli siciliani, tanto da essere denominato il “picurinu sicano”, il Pecorino siciliano per eccellenza.

 

  • Piddiato P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta semidura, filata.

In passato per fare il Piddiato (impastato), si usavano i formaggi da latte di pecora che non si potevano più utilizzare. Oggi, con una tecnica analoga a quella antica, prende una forma cilindrica ribassata. E’ una sorta di focaccia a pasta filata dagli aromi tipici dei pascoli siciliani.

 

  • Pratolina (Formaggio caprino) A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Un vecchio casaro scoprì che il formaggio da latte di capra del Grossetano, una volta ricoperto di muffe bianche edibili, poteva essere apprezzato e quindi commercializzato. Resta un formaggio di nicchia.

 

  • Prescinsêua (Quagliata) A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Ai suoi tempi questo formaggio era un dono apprezzato dal Doge. Oggi si produce ancora con le antiche tecniche e si consuma immediatamente. A pasta molle, viene proposto in vaschette. Usato anche per preparare la Torta Pasqualina e per la Focaccia genovese.

 

  • Pressato a mano P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

È un antico formaggio, realizzato con latte di pecora. Columella lo descrisse nei suoi testi e oggi viene riproposto da alcuni caseifici della provincia di Roma. Si può consumare fresco, oppure dopo una maturazione di 80 giorni.

 

  • Primosale stagionato di Cuffiano P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle

Il territorio interessato alla produzione è l’area del Comune di Cuffiano (frazione di Morcone, BN). E’ un formaggio prodotto con latte intero di animali allevati nell’area di produzione, di razza bruna o pezzata rossa. La forma è a parallelepipedo, alta 8 cm, larga 12 e lunga 25 cm; la crosta, piuttosto sottile, è di colore paglierino intenso, con evidente impronta delle fuscelle, di peso 1,2 – 1,5 Kg; consistenza della pasta, color bianco panna, cremosa, con occhiatura fine e ben distribuita di dimensioni comprese fra 1 e 2-3 mm, di forma ellittica dovuta alla consistenza molle della massa. Al palato ha sapore delicato, fondente, acidulo, fresco.

Il latte destinato alla produzione proviene dalla mungitura della sera prima, conservato a 4°C, aggiunta a quello del mattino di animali di razza bruna o pezzata rossa. Il latte crudo viene riscaldato a 37-38 °C (38°-39°C in inverno) aggiungendo caglio bovino (titolo 1:18), rimescolando e quindi lasciando riposare per trenta minuti senza somministrare altro calore. Una volta avvenuta la coagulazione, la cagliata viene rotta con uno spino a chicco grande (nocciola). Si rimescola per un tempo variabile fino alla separazione del siero dalla cagliata rotta, quando il singolo grumo assume una consistenza esterna elastica e continua. Il grumo deve trattenere umidità sufficiente; la cagliata viene raccolta manualmente o con le fuscelle affiancate, di forma rettangolare – allargata verso l’apertura (tronco-piramidale) facendola debordare (circa 2,3 – 2,5 Kg di cagliata per fuscella). Non viene pressata e riposa per 45 minuti, quindi vengono separate le masse di ogni singola fuscella con un coltello; avviene lo spurgo del siero e il peso si stabilizza a 1,5 Kg circa. si copre con teli in plastica o piastre d’acciaio per altri 45 minuti. Si scoprono, si lasciano raffreddare per 8-10 ore, si tolgono dalle fuscelle e poste in salamoia al 20% per 6-7 ore. Le forme si tamponano con carta assorbente e si avvia la stagionatura su ripiani grigliati per 7 giorni a 4-8°C secondo la stagione, quindi avviene una asciugatura per 12-13 ore quindi riprende la stagionatura per 20-25 giorni in ambienti ad umidità elevata (> 80°C) ed a temperatura naturale (12-15°C) con la formazione di muffe bianco-verdastre, che vengono eliminate con lavaggi prima della vendita.

 

  • Provola affumicata di bufala P.A.T. (Campania) – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta filata, affumicato.

Arriva dal Cilento e usa latte di bufala. E’ un formaggio antico quanto la Mozzarella, poiché i metodi di produzione sono simili. Provola deriva da “provare”, ovvero effettuare quell’azione che determina il momento giusto per la filatura. Per la capacità di mantenersi più a lungo della Mozzarella, la Provola era utilizzata negli storici presepi napoletani del Settecento.   L’affumicatura è praticata in locali idonei bruciando paglia umida, per conferire il caratteristico aroma che rende il prodotto aromatico. Si conserva bene se confezionato con carta pergamena plastificata.

 

  • Provola affumicata P.A.T. (Campania) – Formaggio grasso, fresco, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

La provola affumicata è una specialità prodotta in tutta la regione Campania, e in particolare nelle aree della valle del Volturno, Penisola Sorrentina, Vallo di Diano, Irpinia, Sannio, Matese. Si tratta di un formaggio che condivide con la mozzarella l’antichità dell’origine e delle tecniche di produzione che sono, tra l’altro, molto simili. Anche la provola è ottenuta dalla trasformazione di latte crudo di vacca e l’origine del suo nome deriva, per l’appunto, dal fatto che era la “prova” cioè il campione che veniva immerso nell’acqua bollente per stabilire se la cagliata era pronta per la filatura. A differenza della mozzarella, non deve necessariamente essere consumata fresca, ma può essere conservata per un tempo maggiore; probabilmente è questo il motivo per cui anticamente godeva di maggiore fama rispetto alla mozzarella: ne è prova la sua presenza nelle rappresentazioni dei celeberrimi presepi napoletani del ‘700 a fronte della totale assenza di mozzarella e fior di latte. La provola, al termine della lavorazione, che prevede una fase di filatura più lunga rispetto a quella della mozzarella, per ottenere una pasta più consistente, viene posta in un ambiente chiuso a contatto con fumo derivante da paglia umida bruciata per alcuni minuti, cosicché acquisisce un sapore, un colore e un aroma tipico del fumo. Soprattutto nel Salernitano si produce la provola affumicata seguendo lo stesso procedimento descritto, ma utilizzando esclusivamente latte di bufale.

 

  • Provola dei Monti Sicani (Caciotta) A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

In un territorio decisamente vocato alla caseificazione, dove vacche e pecore sono allevate in modo estensivo, nasce anticamente questo formaggio a pasta filata dalla classica forma a pera con testina. Può essere consumato fresco o brevemente stagionato.

 

  • Provola delle Madonie P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura, filata.

La Provola in Sicilia si produce in diversi territori. Ovunque, però, mantiene le tradizioni locali e diventa un prodotto, come questo delle Madonie, strettamente locale.

 

  • Provola di bufala (semplice e affumicata) del Lazio P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura, filata.

Dai territori meridionali del Lazio, dove sono intensi gli allevamenti delle bufale, arriva questo formaggio intrigante. Si consuma fresco, alternativamente alla Mozzarella, della quale conserva la tradizionale pasta filata. Può presentarsi affumicato.

 

  • Provola di vacca (semplice e affumicata) A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura, filata.

Formaggio vaccino che mantiene le tradizioni delle paste filate laziali. Stagiona anche 6 mesi e diventa piccante. Può presentarsi anche affumicato.

  • Provola e Caciotta a pasta filata P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta filata.

In Trentino le paste filate sono un’alternativa molto importante ai formaggi tradizionali. Nascono mezzo secolo fa con due forme: a caciotta e a pera, come la Provola. Anche l’affumicatura segue le tradizioni. Le Ricotte si adeguano a questo trattamento: un tempo per la conservazione, ora per le proprietà aromatiche.

 

  • Provola P.A.T. (Calabria) – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura, filata.

In tutta la regione Calabria si produce questo formaggio a pasta filata con latte di vacca di razze meticce. La maturazione può avvenire in due giorni, o prolungarsi fino a due mesi. Ha forma tronco-conica e pasta semidura, di bassa o medio-bassa aromaticità.

 

  • Provola P.A.T. (Sicilia) – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta dura, filata.

E’ un prodotto intermedio tra la Mozzarella e il Caciocavallo. Storicamente fatta per essere consumata in pochi mesi, la Provola siciliana ha pasta cruda, semidura o dura, a seconda della stagionatura, ma il latte crudo di origine le concede aromi del tutto particolari.

 

  • Provola siciliana P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta semidura, filata.

La pasta filata è tipica di questo formaggio che normalmente ha una stagionatura compresa fra 1 e 3 mesi. Molto gradito dal consumatore.

 

  • Provoletta di latte vaccino (Sardo Provola, Peretta) A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura, filata.

Dal latte di vacca, al formaggio a pasta filata. Formaggio tradizionalmente prodotto in tutta la Sardegna, con coagulazione presamica e lavorazione classica.

 

  • Provolone P.A.T (Campania) – Formaggio grasso, a breve, media o lunga stagionatura, a pasta filata semidura o dura.

In Italia si contano numerosi i Provoloni, i Caciocavallo e i formaggi a pasta filata che possono stagionare anche lungamente. Ma le loro caratteristiche sono sempre diverse, come è diverso è questo formaggio che porta un nome così comune. Infatti, lo differenziano la forma, bi-tronco conica, le dimensioni e, naturalmente, le proprietà organolettiche.

Particolarmente noto è il provolone che si produce nelle aree montane del Massiccio del Matese, nei Comuni di San Gregorio Matese e Castello del Matese; Matese beneventano. In queste zone si produce un formaggio a pasta filata con latte di vacca intero di animali allevati nell’area di produzione; è un prodotto ottenuto con un procedimento analogo a quello del caciocavallo si differenzia da questo per la forma e per la stagionatura. La forma è troncoconica, a spigoli arrotondati, di dimensioni maggiori del caciocavallo; la legatura è sia a metà della forma, in senso orizzontale, sia verticale, in modo da dividerla in quattro settori verticali, spesso incisi nella crosta. Il peso si aggira tra i 2 ed i 7 Kg, ma non di rado supera i 10 Kg. Alla vista si presenta con crosta liscia e lucida, giallo paglierino carico, solida al tatto; la pasta è omogenea e compatta, con rare occhiature, tendente al giallo paglierino più pronunciato ed intenso all’esterno. Il sapore è piacevole, più delicato e solo leggermente piccante rispetto al caciocavallo di pari stagionatura.

Il ciclo di produzione è praticamente identico a quello del caciocavallo del Matese.

Il latte proviene dalla mungitura di animali alimentati con pascolo di montagna integrato da cereali e foraggi del posto. Dopo la mungitura che avviene al mattino e alla sera il latte intero viene coagulato ad una temperatura di 38° con l’aggiunta di caglio di vitello liquido e siero innesto preparato nella stessa struttura di trasformazione del latte. Dopo circa 35 minuti si procede alla rottura della cagliata con la Remenatora (Bastone di legno di faggio a forma di spatola allungata di circa 90 – 100 cm) fino ad ottenere grani di pasta della grandezza di un’oliva. Si lascia quindi riposare la pasta per 15 minuti sotto siero quindi si procede, con l’ausilio di una tela alla raccolta della pasta dalla caldaia compattandola in una tinozza di legno di ciliegio. Inizia quindi la fase di maturazione della cagliata che si lascia così riposare con l’aggiunta di siero bollente dalle 2 alle 4 ore per permettere che avvenga la fermentazione lattica. La maturazione è completata quando la pasta è nelle condizioni di essere filata e questo si verifica prelevando una piccola porzione di pasta che messa nell’acqua bollente se inizia a filare è pronta per la successiva lavorazione. La pasta viene quindi scolata dal siero e fatta sgocciolare per circa 15 minuti (il siero viene conservato per essere utilizzato alla prossima cagliata) poi ritorna nella tinozza e viene tagliata a fette, si aggiunge acqua bollente e si lavora con la Remenatora al fine di formare, con movimenti energici, un lungo cordone di pasta liscia, senza pieghe e sfilature e senza vuoti all’interno. Il cordone viene quindi porzionato secondo le esigenze di produzione i pezzi mano a mano che vengono tagliati molto velocemente sono ulteriormente lavorati a mano nell’acqua bollente per modellare la forma comprimendo la pasta fino a renderla liscia e lucida dandogli una forma cilindrica. Le forme così modellate vengono quindi immerse in acqua di raffreddamento e successivamente in salamoia. Tolte dalla salamoia le forme sono legate e sospese singolarmente per il tramite dei legacci; in questa fase la forma diventa tronco conica per gravità. La stagionatura è di almeno 45 -60 giorni e può superare i 18 mesi.

 

  • Provolone vaccino P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura e filata.

Per mantenere a lungo i formaggi a pasta filata, i casari laziali producono questo Provolone dalle interessanti caratteristiche organolettiche. Può stagionare brevemente, ma anche fino a un anno.

 

  • Pustertaler bergkase (Formaggio di montagna della Val Pusteria) A.T. – Formaggio semigrasso o grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Quando le malghe monticavano le vacche, il formaggio classico dell’alpeggio era questo.

 

  • Rasco P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura, affumicato.

Prodotto in Calabria, nelle zone montane di Catanzaro e Crotone, con latte di vacca Podolica e di altre razze. Formaggio fresco o di breve stagionatura, che può essere affumicato e consumato entro 20 giorni.

 

 

  • Raucherkase (Formaggio affumicato) A.T. – Formaggio semigrasso, fresco, a pasta molle o semidura.

Segue le tradizioni dell’affumicatura, ovvero della conservazione degli alimenti, in voga per lo speck e la pancetta, nonostante contrasti con la freschezza della sua pasta. Un formaggio che conta sull’adesività per permettere al consumatore di convincersi della sua piacevolezza.

 

  • Ravaggiolo P.A.T. (Umbria) – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Formaggio freschissimo, forse il più fresco del panorama italiano. Una sorta di cagliata fragile, umida, molle. Storicamente era uno degli alimenti essenziali delle famiglie contadine umbre che possedevano anche una sola vacca. Si presta anche per fare dolci, perché il suo contenuto di sale è basso.

 

  • Raviggiolo delle Marche P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

È uno dei formaggi italiani più delicati, grazie a una tecnologia che sfrutta il latte e mantiene alto il tenore di acqua in esso contenuta. La freschezza ne fa un formaggio apprezzato dal consumatore. In virtù della sua origine (latte di pecora) conserva gli aromi di un tempo.

 

  • Raviggiolo di latte vaccino del Mugello (Raviggiolo del Mugello, Ravaggiolo) A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Nelle terre appenniniche a ridosso del confine tra l’Emilia Romagna e la Toscana, storicamente si produce questo formaggio delicatissimo. Il latte viene semplicemente cagliato, estratto dalla caldaia in modo grossolano e salato leggermente. Si consuma subito, magari condito con olio e pepe.

 

  • Raviggiolo di pecora pistoiese (Ravaggiolo, Raveggiolo) A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Come per il Raviggiolo a latte di vacca, questo Pecorino ha come caratteristica la freschezza e la delicatezza degli aromi lattici. E’ leggermente salato.

 

  • Raviggiolo P.A.T. (Emilia Romagna) – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Formaggio storico di latte di vacca. Quello fresco è a pasta molle e veniva prodotto dalle famiglie che possedevano anche solo un vacca, in quanto la sua alta resa permetteva di non sprecare latte.

 

  • Reblec de crama P.A.T. – Formaggio a doppia crema, fresco, a pasta molle, cremosa.

Dal latte crudo e dalla panna d’affioramento si ottiene questo particolare formaggio a doppia panna apparentemente senza forma definita. Si utilizza in particolare miscelato con zucchero e altri alimenti dolci.

 

  • Reblec P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle, cremosa.

Quando i contadini mungevano le loro poche vacche facevano questo formaggio per consumarlo in casa. Della famiglia delle paste molli, il Reblec è cremoso, interessante da abbinare a vini bianchi, anche aromatici.

 

  • Renaz P.A.T. – Formaggio grasso, di lunga stagionatura, a pasta dura.

Dalla piccola frazione di Renaz, in comune di Livinallongo del Col di Lana (Belluno), arriva questo antico e prestigioso formaggio che prima di essere consumato ha bisogno di essere accudito almeno 12 mesi. Regala aromi molto interessanti.

 

  • Riavulillo P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a breve stagionatura, a pasta filata.

Il “riavulillo” in dialetto campano, è un piccolo diavolo ed è anche il nome che, è stato dato a un antico formaggio, tradizionale specialità di Vico Equense e Arola, in provincia di Napoli, per via delle sue principali caratteristiche: la piccola dimensione e il cuore piccante. Si tratta un formaggio identico al caciocavallo nella lavorazione e nella forma, che prevede una testina e la chiusura con la rafia, ma molto più piccolo. La differenza sostanziale, oltre che nella dimensione, sta nel fatto che alla fine della lavorazione, prima di dargli la forma caratteristica, vengono inserite nella pasta olive nere e peperoncino, che gli conferiscono il particolare sapore piccante. Il riavulillo può essere consumato fresco o, per esaltarne il sapore, cotto sulla brace.

 

  • Ribiola della Bettola (il Ribiol) A.T. – Formaggio semigrasso di breve stagionatura a pasta semidura.

Prodotto in provincia di Piacenza con latte di vacca. Formaggio semigrasso piuttosto unico tra i prodotti appenninici.

 

  • Ricotta affumicata P.A.T. – Latticino magro, di breve stagionatura, a pasta dura.

Nei territori, soprattutto del nord Italia, dove lo smercio della Ricotta fresca era ed è difficoltoso, si usava posizionare questo eccellente latticino sopra graticci metallici, nei pressi di un focolare o in ambienti adatti, dove il fumo della legna, che bruciava per riscaldare l’ambiente, essiccava lentamente il prodotto.

 

  • Ricotta di fuscella di Sant’Anastasia – Latticino magro, cremoso

Prodotto lattiero caseario ricavato nel Comune di Sant’Anastasia (NA) dalla coagulazione del latte intero vaccino (non del siero, come invece avviene tipicamente per le ricotte) avente forma tronco piramidale o tronco conica, con presenza della caratteristica “fuscella”, di peso fino a 2 kg; colore bianco porcellana fino a paglierino chiarissimo, secondo il tipo di latte impiegato; assenza di crosta, consistenza morbida, cremosa, colore bianco-latte; struttura più pastosa e vellutata della normale ricotta; – caratteristiche chimiche: grasso 10-20%; umidità non superiore al 70%, acido lattico inferiore o uguale a 0,3%, proteine 8-10%. – caratteristiche organolettiche: sapore più delicato della ricotta tipica, caratteristicamente fresco e delicatamente dolce, odore spiccato di latte e crema, adatto alla preparazione di dolci tradizionali.

Il latte derivato dal processo di mungitura viene convenientemente filtrato, con filtri monouso, e refrigerato. Può essere utilizzato crudo o eventualmente termizzato o pastorizzato; il tenore in grasso minimo è normalmente del 3,5%, il titolo proteico di almeno il 3,4%. In entrambi i casi il latte viene aggiunto di sale e portato ad una temperatura di 84 – 85 °C ed acidificato per aggiunta di latto innesto o naturale, proveniente da latte tenuto a 4 ° C per alcuni giorni, fino al raggiungimento di un pH pari a 4 – 4,5. Dopo 15 – 30 minuti, mantenendo la temperatura ai valori precedenti e previa osservazione della consistenza dei fiocchi affioranti, si separa la massa coagulata che viene messa in cestelli forati di forma tipicamente tronco conica, in materiale plastico per alimenti (tradizionalmente realizzati intrecciando vimini, noti come fuscelli in dialetto), e conservata sotto ghiaccio fino a 10 giorni. Non si usano acidi organici o correttori di pH di natura chimica. La resa è del 12-13%. Successivamente la cosiddetta “ricotta” viene confezionata in involucro protettivo, mantenuto e commercializzato senza liquido di governo; è ammessa la presenza di latticello. Non è previsto l’uso di conservanti di alcun tipo. La consistenza di questa cosiddetta ricotta differisce da quelle tradizionali, essendo più vellutata e pastosa, senza la presenza di croste e dal colore bianco-latte.

 

  • Ricotta di pecora grossetana P.A.T. – Latticino magro, fresco, a pasta molle.

Per fare il formaggio si sfruttano le caseine del latte. E dal siero rimasto, si sfruttano le sieroproteine per fare la ricotta. Per il lavoro degli allevatori del Grossetano, la ricotta è l’ultimo frutto della caseificazione.

 

  • Ricotta di pecora massese P.A.T. – Latticino magro, fresco, a pasta molle.

Certe usanze non muoiono mai, come quella di stendere la ricotta affiorata su rametti di faggio o di carpino intrecciati. Questo sistema viene adottato oggi per aromatizzare questo latticino amato dai consumatori.

 

  • Ricotta di pecora pistoiese P.A.T. – Latticino magro, fresco, a pasta molle.

Il siero è il residuo liquido della lavorazione del formaggio, ma al suo interno sono contenute sostanze come i sali minerali, le vitamine e, soprattutto, le sieroproteine che permetto al casaro di fare la ricotta. Come questa, dal latte di pecora.

 

  • Ricotta fresca P.A.T. – Latticino magro, fresco, a pasta molle.

Chi non conosce la Ricotta? È un latticino, non un formaggio, che, per le sue caratteristiche di freschezza e di contenuti, rappresenta un alimento completo, magro, molto digeribile e, soprattutto, amato, anche dai bambini. In Italia viene prodotta in ogni caseificio che, sfruttando le proprietà del siero, raccoglie le sieroproteine rimaste dopo la lavorazione del formaggio.

 

  • Ricotta salata P.A.T. – Latticino magro, di breve stagionatura, a pasta molle.

Per mantenere la Ricotta prodotta lontano dalle vie di comunicazione, viene storicamente utilizzato il sale. Il quale consente di conservare e stagionare questo prezioso latticino a pasta semidura e usato soprattutto in cucina.

 

  • Robiola (Ribiola, Furmai nis) A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle spalmabile.

Formaggio piuttosto aromatico prodotto in provincia di Piacenza con latte di pecora. Si trova con molta difficoltà.

 

  • Robiola bresciana P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Il formaggio da latte vaccino per eccellenza viene così chiamato perché assume la colorazione rossastra sulla superficie esterna. Definito in lombardo “strachi bianc”, per distinguerlo dal noto Gorgonzola con le striature verdi-blu.

 

  • Robiola d’Alba P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Dal latino “robeola”, che indica il colore rossiccio della crosta quando è al massimo della maturazione. Di pasta molle, morbida, leggermente granulosa, si consuma dopo appena tre giorni, ma può maturare anche un mese.

 

  • Robiola della Val Bormida P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Grazie alla sua tecnica produttiva, che lo differenzia dalle altre robiole italiane, è uno dei formaggi più antichi. Prima della formatura in fuscelle, la pasta viene lasciata spurgare su appositi setacci. E’ un piccolissimo formaggio a latte di pecora che si inserisce nel mercato dei formaggi a pasta molle, freschi della Liguria.

 

  • Robiola della Valsassina P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Arriva dalla zona nota per le grotte naturali dove viene stagionato il formaggio. La Robiola matura per almeno 30 giorni prima del consumo. Una pasta molle dagli aromi decisi e dalla forma tipica di piccolo formaggio da latte di vacca.

 

  • Robiola di Cocconato P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Nei territori collinari astigiani, dove imperano i vitigni, anche il formaggio ha la sua tradizione. Pare fossero le donne a fare questa Robiola, molto apprezzata sulle tavole dei contadini. A pasta molle, magari cremosa nel cuore del formaggio, si adatta a ogni uso in cucina.

 

  • Rosa Camuna P.A.T. – Formaggio semigrasso, di breve stagionatura, a pasta semidura.

Dall’antico popolo dei Camini, la val Camonica ha ereditato le incisioni, che ha saputo trasferire anche sul formaggio. Questa Rosa camuna dalla forma a fiore (rosa) è a latte vaccino e si presenta con un’incisione che è anche il simbolo della Regione Lombardia.

 

  • Salagnun P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, di breve, media o lunga stagionatura.

L’istinto di conservazione vale anche per i formaggi. Un tempo con quelli inutilizzati veniva confezionata una sorta di miscela casearia formata da Tome, formaggi molli e tante spezie. Oggi la tradizione si perpetua, anche se il processo produttivo prevede formaggi privi di difetti o Ricotta. Le spezie e il sale, comunque, sono sempre quelle di una volta e impiegate in dosi secondo tradizione.

 

  • Salgnun (Salignun)A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura.

Dalla miscela composta da tome fresche sminuzzate assieme a peperoncino, sale e cumino, arriva questo formaggio particolarmente aromatico. La sua forma indefinibile ne fa una particolarità tipica della provincia di Ivrea.

 

  • Salignoùn P.A.T. – Latticino magro, fresco, a pasta molle, affumicato.

Latticino fresco e spesso affumicato, proprio come da tradizione Walser. E’ una ricotta lavorata, predisposta per accompagnare alcuni alimenti, come le patate bollite, abbinata spesso a una buona birra. Fa parte della tipologia dei formaggi magri, anche se al siero viene aggiunta una piccola parte di latte o di panna.

  • Sarasso (Sarazzu) A.T. – Latticino magro, fresco, a pasta molle o dura.

Ricavata dal siero residuo della lavorazione del formaggio, nel quale rimane ben poco del grasso inglobato dalla cagliata, è una Ricotta salata e consumata non solo fresca, ma anche brevemente stagionata. Si grattugiata sulle paste locali.

 

  • Scamorza (Basilicata) – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta filata.

Tipico formaggio delle montagne e colline lucane, dove le vacche vengono allevate anche allo stato brado. È un formaggio fresco o a breve stagionatura, caratterizzato da una bassa intensità aromatica. Caratteristico quello farcito con salsiccia.

 

  • Scamorza abruzzese P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta semidura, filata.

Tipico formaggio a pasta filata da latte di vacca. Il nome non ha nulla a che vedere con il modo di dire “persona scarsamente dotata o poco preparata”. Tipico delle province di Chieti e l’Aquila, può essere affumicato e presentare un’aromaticità media.

 

  • Scamorza appassita (Cacetto di Supino) A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura, filata.

Prodotta in provincia di Frosinone, è fatta con latte di vacca. Può maturare nel liquido di governo, essere consumata fresca, ma anche “appassita”, ovvero lasciata ad asciugare all’aria per 10 giorni.

 

  • Scamorza di bufala P.A.T. (Campania) – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura, filata.

Prodotta in tre province, Napoli, Caserta e Salerno, con latte di bufala, da aziende a conduzione familiare. Il “formaggio dalla testa mozzata” si consuma fresco o dopo breve stagionatura. L’affumicatura, non sempre presente, ne determina l’aromaticità.

 

  • Scamorza di Montella – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura, filata.

La  zona di produzione interessa i comuni di Montella , Bagnoli Irpino e Nusco in provincia di Avellino. La Scamorza di Montella ha forma cilindrica, con testa evidente, avvicinandola nell’aspetto appunto ad un “bebè”. Il colore è bianco – bianco paglierino a volte anche carico. La pezzatura classica è di circa 600 grammi, ma può anche essere più piccola. Si presenta con pelle di colore tendente al paglierino più o meno intenso, in funzione del grado di stagionatura. Il sapore è dolce, l’odore deciso di latte e burro fresco. Proteine 18-19%, Grasso sul tal quale 25%, grasso sulla sostanza secca 48-49%.

Metodiche di lavorazione – Il latte viene avviato al caseificio e viene coagulato ad una temperatura di 36- 38° con l’aggiunta di caglio di vitello liquido. Una volta ottenuta la cagliata si procede alla rottura con lo spino, fino ad ottenere granuli della grandezza di un’oliva; quindi si riscalda la cagliata con siero riscaldato fino a 60°C per far sì che la temperatura della miscela raggiunga i 42-45°C, si procede con una seconda rottura ed un successivo rimescolamento. Si lascia riposare la pasta sotto siero. Inizia quindi la fase di maturazione della cagliata che dura dalle 2 alle 4 ore. La maturazione è completa quando la pasta è nelle condizioni di essere filata e questo si verifica prelevando una piccola porzione di pasta, sbriciolata, messa nell’acqua bollente e fatta girare con l’ausilio di un coltello o di un bastoncino. Quando inizia a filare bene in fili lunghissimi che non si spezzano, è pronta per la successiva lavorazione. La pasta viene scolata dal siero e fatta sgocciolare, tagliata a fette, a mano o con l’ausilio di una macchina tritapasta, immessa in una tinozza di acciaio inox in cui si aggiunge acqua bollente. Si lavora con una pala in teflon al fine di formare, con movimenti energici, una massa liscia e lucente, senza pieghe e sfilature e senza vuoti all’interno. Vengono tagliati i pezzi a mano o a macchina; dopo una breve lavorazione si modella la forma comprimendo la pasta fino a renderla liscia e lucida dandogli la forma caratteristica; le scamorze si legano con fili di rafia a due a due. Le forme così modellate vengono quindi immerse in acqua di raffreddamento e successivamente in salamoia. Tolte dalla salamoia le scamorze sono sospese con i legacci e messe in frigo.

 

  • Scamorza di pecora P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura, filata.

E’ uno dei pochissimi formaggi a pasta filata da latte ovino. Il processo produttivo assomiglia a quello della Scamorza vaccina, ma la lavorazione deve tener conto delle caratteristiche del latte d’origine. La classica forma a pera con piccola testina identifica subito un formaggio molto conosciuto e apprezzato.

 

  • Scamorza molisana P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura, filata.

Il nome non gli concede gli onori che merita. Presente sul banco dei formaggi di ogni negozio italiano, in particolare del sud. Di vacca, appartiene alla grande famiglia delle paste filate.

 

  • Scamorza P.A.T. (Campania) – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura, filata.

Prodotta in tutta la Campania, ma prevalentemente nella Penisola Sorrentina, in provincia di Caserta, è un formaggio a pasta filata fatto con latte di vacca. Chiamata anche “mozzarella passita”. Si consuma dopo 15 giorni, oppure dopo l’affumicatura. Si trova anche farcita.

Probabilmente l’etimologia della parola “scamorza” va cercata nella sua forma, che ricorda una “capa mozza”, cioè una “testa mozzata”. Si tratta di un formaggio vaccino prodotto tutto l’anno nell’intera Regione con latte di vacca la cui pasta viene semicotta e filata. Esistono parecchie variazioni sul tema della scamorza, sia per quel che concerne l’aspetto (il colore della crosta può variare dal paglierino al bruno, la forma più o meno sferoidale può avere una testina appena accennata o molto pronunciata) che per quanto riguarda il sapore (può infatti, essere affumicata o no e farcita con diversi ingredienti). La crosta è liscia, sottile e di color bianco avorio se il prodotto non è affumicato, in questo caso è color giallo tendente all’ocra, mentre la pasta è color paglierino, di consistenza morbida e di sapore spiccatamente aromatico.

 

  • Scamorza P.A.T. (Puglia) – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura, filata.

Scamorza intesa come “persona senza testa” è una cosa. Scamorza intesa come formaggio è tutt’altra cosa. La testa ce l’ha, eccome. Tanto da piacere a tutti.

 

  • Scamorza vaccina (semplice e ripiena) A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta semidura, filata.

Prodotta già ai primi dell’800, ma censita nel 1940. La tecnica casearia è antica ed è rimasta tale. Si può consumare fresca, ma anche farcita con olive nere o acciughe.

 

  • Scamorzini del Matese P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o a breve stagionatura, a pasta filata semidura.

Gli scamurzini ré Matese o caciocavallini del Matese vengono prodotti nelle aree montane del Massiccio del Matese, nei Comuni di San Gregorio Matese e Castello del Matese. Viene prodotto un formaggio a pasta filata prodotto con latte di vacca intero di animali allevati nell’area di produzione. E’ un prodotto ottenuto con un procedimento analogo a quello del caciocavallo; si differenzia da questo per la forma e per la stagionatura. La forma simile a quella del caciocavallo è molto più piccola e in alcuni casi si presenta come formato da due testine opposte strette dal legaccio che serve per appendere ad asciugare il prodotto. Il peso si aggira tra i 100 g e non supera i 150 g. Alla vista si presenta: il fresco con crosta liscia e bianca sodo al tatto, il semistagionato ha una crosta liscia quasi lucida di colore giallo paglierino. La pasta è omogenea e compatta bianco latte nella tipologia frasca, tendente al giallo paglierino nella versione stagionata più carico all’esterno e meno carico all’interno. Il sapore è piacevole, dolce e delicato fresco più pastoso e leggermente piccante semistagionato.

Il ciclo di produzione è praticamente identico a quello del caciocavallo del Matese. Il latte destinato alla produzione del caciocavallo del Matese proviene dalla mungitura di animali alimentati con pascolo di montagna integrato da cereali e foraggi del posto. Dopo la mungitura che avviene al mattino e alla sera il latte intero viene coagulato ad una temperatura di 38° con l’aggiunta di caglio di vitello liquido e siero innesto preparato nella stessa struttura di trasformazione del latte. Dopo circa 35 minuti si procede alla rottura della cagliata con la Remenatora (Bastone di legno di faggio a forma di spatola allungata di circa 90 – 100 cm) fino ad ottenere grani di pasta della grandezza di un’oliva. Si lascia quindi riposare la pasta per 15 minuti sotto siero quindi si procede, con l’ausilio di una tela alla raccolta della pasta dalla caldaia compattandola in una tinozza di legno di ciliegio. Inizia quindi la fase di maturazione della cagliata che si lascia così riposare con l’aggiunta di siero bollente dalle 2 alle 4 ore per permettere che avvenga la fermentazione lattica. La maturazione è completata quando la pasta è nelle condizioni di essere filata e questo si verifica prelevando una piccola porzione di pasta che messa nell’acqua bollente se inizia a filare è pronta per la successiva lavorazione. La pasta viene quindi scolata dal siero e fatta sgocciolare per circa 15 minuti (il siero viene conservato per essere utilizzato alla prossima cagliata) poi ritorna nella tinozza e viene tagliata a fette, si aggiunge acqua bollente e si lavora con la Remenatora al fine di formare, con movimenti energici, un lungo cordone di pasta liscia, senza pieghe e sfilature e senza vuoti all’interno. Il cordone viene quindi porzionato secondo le esigenze di produzione;  i pezzi mano a mano che vengono tagliati molto velocemente sono ulteriormente lavorati a mano nell’acqua bollente per modellare la forma comprimendo la pasta fino a renderla liscia e lucida dandogli la classica forma a due teste. Le forme così modellate vengono quindi immerse in acqua di raffreddamento e successivamente in salamoia. Tolte dalla salamoia le forme sono legate a gruppi anche di 100 scamorzini con legacci di raffia e sospesi a delle pertiche per l’asciugatura e la stagionatura.

 

  • Scamosciata P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta filata.

La scamosciata è un gustoso formaggio prodotto nell’area del Beneventano con latte di vacca. Appartiene alla tradizione delle paste filate campane. Formaggio dalla produzione limitata, è caratterizzato da una consistenza morbida, una particolare forma allungata e da un sapore molto delicato. Si ottiene dalla lavorazione del latte vaccino che, una volta filtrato e riscaldato, viene fatto coagulare grazie all’aggiunta del caglio. Successivamente la cagliata viene estratta e ridotta a strisce, per poi essere filata e lavorata con le mani per conferirgli la caratteristica forma allungata. I pezzi che si formano sono prima conservati in salamoia e poi confezionati e commercializzati.

 

  • Schiz P.A.T. – Formaggio semigrasso o grasso, fresco a pasta semidura.

Gli esuberi della pasta di formaggio che fuoriuscivano dalle fascere dopo la pressatura venivano consumati direttamente dal casaro. Da quella esperienza nasce lo Schiz. Viene fatto apposta per essere affettato e poi rosolato su una padella con pochissimo sale. Indimenticabile mangiato con polenta e funghi.

 

  • Seirass (Sairass di latte, ricotta piemontese, Saras del Fen) A.T. – Latticino magro, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle o dura.

La Ricotta è forse il latticino più conosciuto per le sue caratteristiche di leggerezza. In Piemonte è detta anche Seirass e, vista la grande produzione di formaggi, ha una funzione economica molto importante. Storicamente viene fatta anche per essere conservata a lungo, quindi può essere pressata, stagionata o salata. Il latte di partenza è vaccino, oppure ovino, mentre per il Sarass del Fen può anche essere di capra. Quest’ultimo è Presidio Slow Food.

 

  • Semicotto di capra P.A.T. – Formaggio grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Anche la capra in Sardegna ha una discreta presenza. Dal suo latte normalmente si ricavano formaggi a pasta molle, freschi, o misti con altri latti. Raramente un formaggio che può stagionare anche 18 mesi. Come questo. Prodotto sia a livello artigianale, sia industriale.

 

  • Semuda P.A.T. – Formaggio magro o semigrasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Un tempo veniva fatto con latte di vacca scremato totalmente, ora la scrematura avviene nella munta serale. E’ eclettico. Ha dimensioni variabili. Può stagionare a lungo come essere consumato dopo 30 giorni.

 

  • Seras P.A.T. – Latticino magro, fresco e di breve o media stagionatura, a pasta molle o dura.

La ricotta è da sempre il sottoprodotto della lavorazione del formaggio. Dal siero si ottiene questo latticino, importante sia dal punto di vista economico, perché permette di sfruttare fino in fondo ogni elemento del latte, sia perché rappresenta un alimento completo. In Valle d’Aosta si recupera la ricotta e la si consuma fresca, oppure dopo l’affumicatura, che le permette di conservarsi a lungo.

 

  • Sextner almkase (Formaggio di montagna di Sesto) A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Fin dalla nascita della Latteria di Sesto (1926), viene prodotto con il latte locale. Formaggio che si propone al consumatore con tutte le caratteristiche organolettiche del latte di vacca.

 

  • Slattato P.A.T. (Marche) – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Per esigenze legate alle stagioni, in particolare al periodo di gravidanza delle pecore e delle capre, questo formaggio veniva e viene fatto con latte vaccino. Si consuma fresco ed è caratterizzato da una pasta molle, a volte spalmabile. Si abbina a vini bianchi di bassa gradazione alcolica.

 

  • Sola (Sora, Soera) A.T. Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Se uno sente “sola”, pensa subito alla suola delle scarpe. E proprio a lei pensava chi ha dato il nome a questo formaggio quando si è manifestato con una forma irregolare e un colore particolare che l’associavano a una suola. Ma dentro alla crosta grigia c’è un formaggio dagli aromi decisi e invitanti.

 

  • Söla (Tuma, Sola delle Alpi Marittime) A.T. – Formaggio grasso, di media stagionatura, a pasta molle.

Dalla forma di suola di scarpa (sola), è un formaggio classico delle montagne che segnano il confine tra Piemonte e Liguria. Il suo processo produttivo segue dettami legati alla tradizione, con varie fasi effettuate con le mani.

 

  • Sot la trape P.A.T. – Formaggio semigrasso (Latteria), o grasso (Caciotta), a pasta semidura o dura di media stagionatura.

Si produce immergendo formaggi Latteria e Caciotta nelle vinacce di uve bianche o rosse del Friuli Venezia Giulia. Dopo un mese di stagionatura assume l’aroma tipico e una leggera sensazione di piccantezza.

 

  • Spress (Spresit) A.T. – Formaggio semigrasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Nella zona di produzione ci sono gli Spress Bar, dove viene servito il formaggio in questione abbinato a vini locali. Ha caratteristiche uniche per la particolarità del latte misto, vacca semiscremato e capra intero. Fattori che determinano aromi e sensazioni organolettiche molto interessanti.

 

  • Squarquaglione dei Monti Lepini P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle, aromatizzato.

Prodotto tipico della zona dei Monti Lepini (Roma), realizzato con latte di pecora. È un formaggio fresco, non salato, con la particolarità che viene farcito con noci al momento dell’estrazione dalla caldaia.

 

  • Sta’el P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Quando le capre partoriscono inizia il periodo di lattazione e il casaro sfrutta il latte per fare questo piccolo formaggio a coagulazione presamica che stagiona almeno 30 giorni. A pasta molle, classico colore bianco. Gli standard dei formaggi caprini.

 

  • Stracchino Bronzone P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Formaggio dalle tradizioni secolari. E’ stato predisposto un disciplinare che vuole preservarne la tecnica produttiva, con tanto di richiesta della D.O.P. Dalla tipica forma a parallelepipedo, con base quadrata, è a pasta molle.

 

  • Stracchino della Valsassina P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Questo “strachin quàder” ha tradizioni antichissime. È uno dei pochi formaggi a pasta molle che può essere fatto in alpeggio. Si consuma fresco, ma anche dopo breve stagionatura, quando assume aromi decisamente interessanti.

 

  • Stracchino di bufala – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Viene prodotto nel salernitano, nei Comuni di Battipaglia, Bellizzi, Eboli. E’ un formaggio molle, non eccessivamente grasso, a pasta cruda ed acidità naturale ed a rapida maturazione; nel prodotto fresco fino ad una settimana, la pasta è elastica, con qualche rara occhiatura di colore bianco porcellanato, con odore di latte e sapore dolciastro e retrogusto leggermente amaro. Nel prodotto maturo la pasta è cedevole al tatto, sapore abbastanza dolce con sentore di leggera acidità, il retrogusto amaro è un poco più spinto. Il colore si mantiene molto più chiaro rispetto al prodotto ottenuto con il latte di vacca. Le forme sono quadrate con il lato di circa 15 cm e l’altezza di 7 – 8 cm il peso va da 2 Kg ed i 2 ½ Kg.

Metodiche di lavorazione – Il latte può essere pastorizzato o termizzato e poi alla temperatura di 38°C si aggiungono i fermenti, quindi il caglio liquido di vitello. Avvenuta la coagulazione si effettua una prima rottura e poi una seconda a scacchiera con i quadratini di circa 2 cm per lato. Quando la acidità del siero ha raggiunto il valore desiderato si rompe la cagliata ulteriormente fino alla grandezza di una grossa noce. A questo punto la massa viene messa nelle fascere senza fondo appoggiate su di una stuoia in plastica o su delle griglie sempre di plastica. Nelle successive 3 ore si effettuano 2 o 3 rivoltamenti mantenendo il formaggio ad almeno 35-40 °C. Poi le forme si mettono in salamoia per due o tre ore. Matura in frigorifero ad 8 gradi, dove le forme vengono tenute per almeno sette/dieci giorni.

 

  • Stracchino di capra P.A.T. (Lazio) – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Lo Stracchino ha origine al nord dell’Italia, poi la ricetta è stata recepita anche al centro. Nel Lazio si fa col latte di capra.

 

  • Stracchino Orobico P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Si è portati a pensare che gli Stracchini siano formaggi moderni, il risultato di una caseificazione di massa. Non è così. Questo Stracchino lo dimostra. Nasce anticamente in alternativa ai classici di malga a pasta semidura o dura. Purtroppo oggi negli alpeggi è un formaggio raro, che Slow Food salvaguarda.

 

  • Stracchino tipico P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

In alpeggio, sulle montagne della provincia di Lecco, si trova questo formaggio di piccole dimensioni con la classica pasta molle che assume tutte le caratteristiche organolettiche dell’alimentazione delle vacche.

 

  • Stracchino, Crescenza P.A.T. (Toscana) – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Con la tecnica casearia impiegata in Lombardia, anche una regione dall’invidiabile tradizione casearia come la Toscana oggi può permettersi un formaggio a pasta molle, fresco, che si consuma piacevolmente a tavola. Da latte di vacche della provincia di Grosseto.

 

  • Stracciata del Matese P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta filata.

In altre zone d’Italia, la Stracciata è un formaggio a pasta filata che viene prodotto dalle rimanenze, in fase di filatura, di altri formaggi come la Mozzarella. Nel Matese, invece – nei Comuni di San Gregorio Matese, Castello del Matese (CE) – la Stracciata è un formaggio dalle dimensioni considerevoli, per essere una pasta filata fresca, tanto da raggiungere anche 1 kg di peso.

Formaggio a pasta filata prodotto con latte di vacca intero di animali allevati nell’area di produzione. è a forma di cordone di dimensioni variabili con diametro dai 4 ai 6 cm ed il peso di solito non supera 1 kg.  Alla vista si presenta con crosta bianca liscia e lucida; la pasta è omogenea e compatta color bianco latte; il nome deriva dal gesto di stracciare la pasta del casaro che dà forma al prodotto. Il sapore è piacevole, fortemente di latte dolce e delicato; viene consumato fresco di giornata. Si differenzia dalla Stracciata irpina per la maggiore consistenza (solida e strutturata, quand’anche caratterizzata da abbondante latticello) e per la formatura comunque data al prodotto.

Metodiche di lavorazione – Il latte destinato alla produzione della stracciata proviene dalla mungitura di animali alimentati con pascolo di montagna integrato da cereali e foraggi del posto. Dopo la mungitura, che avviene al mattino e alla sera, il latte intero viene coagulato, ad una temperatura di 43° con l’aggiunta di caglio di vitello liquido e siero innesto preparato nella stessa struttura di trasformazione del latte. Dopo circa 35 minuti si procede alla rottura della cagliata con la Remenatora (Bastone di legno di faggio a forma di spatola allungata di circa 90 – 100 cm) fino ad ottenere grani di pasta della grandezza di noci. Inizia la fase di maturazione della cagliata che si lascia così riposare con l’aggiunta di siero bollente dalle 2 alle 4 ore per permettere che avvenga la fermentazione lattica. La maturazione è completata quando la pasta è nelle condizioni di essere filata e questo si verifica prelevando una piccola porzione di pasta che messa nell’acqua bollente se inizia a filare è pronta per la successiva lavorazione. La pasta viene quindi scolata dal siero versata nella tinozza dove viene tagliata in piccoli pezzi, si aggiunge acqua bollente e si lavora con la Remenatora al fine di formare, con movimenti energici, un largo cordone di pasta liscia, senza pieghe e sfilature e senza vuoti all’interno. Il cordone viene quindi porzionato stracciandolo in lunghi pezzi che vengono tagliati sono ulteriormente e lavorati a mano nell’acqua bollente per modellarne la forma. Questi successivamente vengono quindi immersi in acqua di raffreddamento e successivamente in salamoia.

 

  • Stracciata P.A.T. (Campania) – Formaggio grasso, fresco, a pasta filata con panna.

Nelle province di Avellino, Benevento, Caserta e Salerno dalla lavorazione di altri formaggi a pasta filata, deriva un latticino fresco, di struttura cremosa di colore bianco fino a paglierino e sapore fortemente di latte, dolce e delicato. Tale formaggio si chiama “stracciata”, perché un passaggio fondamentale della sua lavorazione è l’atto di “stracciare” la pasta filata. Per questo, si presenta senza una forma definita, essendo costituito da straccetti mantecati con panna. Per produrla il latte viene filtrato e poi riscaldato, si aggiunge il caglio e si lascia riposare per un’ora. Passato questo tempo, si procede con un mestolo alla rottura della cagliata in pezzetti, si aspetta la separazione del siero e lo si separa. La pasta si immerge in salamoia e si riscalda, poi, dopo averla lasciata crescere per due ore circa, si tira fuori e si procede all’impasto facendo delle strisce più o meno omogenee che, una volta lasciate raffreddare si sfilacciano e si “stracciano” nella panna precedentemente ottenuta e si lasciano riposare per circa mezz’ora per poi essere confezionate in delle vaschette. Va conservata al fresco e consumata necessariamente pochi giorni dopo il suo confezionamento.

 

  • Stracciata P.A.T. (Molise) – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle, filata.

Dalla pasta filata si ottiene questo formaggio che è tradizionalmente formato a strisce larghe e sottili. Simile alla mozzarella, ma con un contenuto acquoso inferiore.

 

  • Strachet P.A.T. – Formaggio semigrasso o grasso di breve stagionatura, a pasta molle.

Per essere uno Stracchino è un’anomalia. Difatti, può essere fatto anche con latte parzialmente scremato, diversamente dagli altri Stracchini, per i quali viene utilizzato il latte intero. Originariamente arrivava dalle malghe, ora viene prodotto tutto l’anno.

 

  • Strazzatella silana P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle, filata.

Formaggio dell’Altopiano della Sila. Latte di vacca di varie razze. A pasta filata, viene steso a forma di pizza e arrotolato. Si consuma fresco, anche farcito con sardine o altri prodotti locali.

 

  • Tabor P.A.T. – Formaggio grasso di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Fatto con latte di vacca crudo. L’erba e il fieno del Carso contribuiscono a dargli aromi particolari che non passano inosservati al consumatore.

 

  • Testun P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Testun in dialetto piemontese: testone, in italiano, cioè testa grossa e dura. Tale il nome, tale la consistenza di questo formaggio che deve stagionare almeno 4 mesi.

 

  • Toblacher stangenkase (Formaggio originale Dobbiaco) A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Entrando nelle botteghe o nelle latterie trentine o venete, si trova sempre questo formaggio, che il consumatore conosce come “formaggio da cuocere”. Basta metterlo in una padella antiaderente e lasciarlo rosolare. Caratteristica forma a parallelepipedo.

 

  • Toma ajgra P.A.T. – Formaggio magro o semigrasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta dura.

In Valsesia si producono una moltitudine di formaggi. Questa Toma si inserisce nella tipologia a latte parzialmente scremato di una sola munta. Trasmette grandi sensazioni organolettiche.

 

  • Toma biellese P.A.T. – Formaggio semigrasso o grasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Fra le Tome piemontesi, e anche fra i formaggi d’Alpe, Margherita di Savoia preferiva questa, che si fa in cinque valli delle montagne biellesi. Formaggio a latte crudo, a volte proveniente solo dalla Pezzata rossa d’Oropa, si può consumare già dopo 2 mesi, ma può stagionare fino a 6 mesi.

 

  • Toma del lait brusc (Bianca alpina) A.T. – Formaggio magro o semigrasso, di breve, media stagionatura, a pasta dura, a volte erborinata.

Se si lascia il latte nella caldaia per tutta la notte e poi lo si screma, la carica batterica utile alla caseificazione permetterà al casaro una lavorazione acida. Se poi la cagliata viene anche lavorata come per questa Toma, viene facile capire perché il terribile condottiero Annibale lasciò perdere per un po’ le battaglie e sostò a lungo in Valle di Susa…

 

  • Toma della Valsesia P.A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

La maggioranza dei formaggi piemontesi sono a pasta cruda. Questa è una delle Tome a pasta cotta che si differenziano. La sua qualità parte dal latte appena munto, intero, a coagulazione presamica, ma con bassa concentrazione batterica.

 

  • Toma di capra (cavra) A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta dura.

In un territorio dove la capra sta tornando a ripopolare le campagne, è ricomparso anche il formaggio Crava (capra). La pasta, pressata a mano, con la stagionatura assume una lieve erborinatura naturale, con conseguenti aromi decisi.

 

  • Toma di Celle P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Le Tome piemontesi possono essere a pasta molle o a pasta dura. Questa è a pasta molle. Ha aromi interessanti, che ne suggeriscono la degustazione in purezza.

 

  • Toma di Gressoney P.A.T. – Formaggio semigrasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura.

Dai grandi formaggi della Valle d’Aosta ai formaggi di pezzatura minore come questa Toma, che si inserisce anche nelle tipologie d’alpeggio. Dal latte crudo in parte semigrasso si ottengono forme che possono essere consumate dopo breve stagionatura, ma anche dopo alcuni anni, permettendo di assaggiare una pasta dura dalle interessantissime proprietà organolettiche.

 

  • Toma di Lanzo P.A.T. – Formaggio grasso o semigrasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura.

Quando si tende a tutelare un prodotto agroalimentare, significa che il suo valore viene riconosciuto dal consumatore, ma anche dall’esperto. È il caso di questo formaggio a pasta cruda, semidura che può essere semigrasso o grasso. Per il quale il Consorzio Valli di Lanzo ha predisposto un disciplinare di produzione.

 

  • Toma di Mendatica (dell’Alta Valle Arroscia) A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta semidura.

Dall’antica tradizione delle Tome, solitamente piemontesi, arriva questo formaggio a latte vaccino o vaccino-ovino. Si consuma fresco o brevemente stagionato. Si fa notare nella Torta di patate, piatto tipico della Liguria occidentale.

 

  • Toma P.A.T. (Basilicata) – Formaggio grasso, fresco, a pasta semidura.

Formaggio a produzione regionale, con latte di pecora o misto pecora-capra. Deve essere consumato fresco. La pasta è morbida, umida, di colore bianco.

 

  • Tombea P.A.T. – Formaggio semigrasso di media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Prodotto in una sola malga nella provincia di Brescia, con latte di vacca di razza Bruna. E’ un formaggio a pasta cruda, ovvero la cagliata non viene sottoposta a cottura. Ciò nonostante, ha una vita che può durare anche 10 anni.

 

  • Tometto (Tumet) A.T. – Formaggio semigrasso o grasso, fresco, a pasta molle.

Prodotto a latte crudo di vacca, sia intero, sia scremato, per una percentuale massima del 10%. Si consuma appena è conclusa la salatura, quasi fosse una sorta di “primo sale”.

 

  • Tomino (Tuma di Casalborgone) A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Un tempo a Casalborgone (Torino) era l’alimento delle famiglie contadine. A latte crudo e pasta molle, è un formaggio di piccola pezzatura.

 

  • Tomino canavesano asciutto P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle, lattica.

Denominato come asciutto, si differenzia dal Tomino fresco perché è maggiormente spurgato, per una diversa rottura della cagliata e per la tecnica particolare della stufatura. Impera il colore bianco: sia all’esterno, dove non c’è crosta, sia nella pasta.

 

  • Tomino canavesano fresco P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle, lattica.

Prodotto con coagulazione lattica, ma con una piccolissima dose di caglio, è il formaggio della tradizione Canavese. Da consumare fresco, magari spalmato, assolutamente con un bicchiere di vino bianco, leggero e fresco.

 

  • Tomino del Bot P.A.T. – Formaggio magro, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle o semidura.

Normalmente un formaggio nasce per avere determinate caratteristiche: a pasta molle, semidura o dura. Questo Tomino va controcorrente. E’ a pasta molle dopo due giorni dalla salatura, diventa a pasta dura dopo 30 giorni.

 

  • Tomino delle Valli Saluzzesi P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Se lo facevano le famiglie che possedevano una vacca o due. Il latte veniva cagliato e la pasta lasciata lì, quasi dimenticata. Si mangiava semplicemente prelevandola dal contenitore. Ecco perché questo formaggio non andrebbe salato.

 

  • Tomino di Rivalta P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Come per altri formaggi a pasta molle, la cagliata viene rotta in modo grossolano per mantenere al suo interno una percentuale di acqua tale da rendere morbida, a volte cremosa la pasta.

 

  • Tomino di S. Giacomo di Boves P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Quando il latte era prodotto e consumato dalle famiglie contadine e ne rimaneva un po’, lo si utilizzava per fare questo piccolissimo formaggio. Oggi, con una tecnica tramandata di generazione in generazione, viene prodotto con latte di vacca in tutto il periodo dell’anno. In primavera si concede al latte di capre e pecore per dare vita ad aromi particolari.

 

  • Tomino di Saronsella (Chivasotto) A.T. – Formaggio semigrasso o grasso, fresco, a pasta molle.

Formaggio semigrasso o grasso, a seconda se prodotto da una sola o da due munte. Dal latte di vacca con caglio di vitello si ottiene una pasta molle formata in piccolissime dimensioni. Il Tomino conseguente ha la crosta paglierina e una pasta morbida e bianca.

 

  • Tomino di Sordevolo P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Anticamente il latte veniva coagulato con caglio di capretto o agnello e subito dopo la coagulazione si consumava senza salatura. Ancora oggi viene fatto così. E si capisce perché Omero lo descrisse nell’Odissea.

 

  • Tomino di Talucco P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Tecnologia simile a quella del Cacioricotta. Di piccolissime dimensioni, si consuma fresco, appena dopo la salatura. Può rimanere ad affinare su paglia di segale, dove assume un aspetto tutto suo. Buccia color paglierino e pasta bianca e compatta.

 

  • Torta orobica P.A.T. – Formaggio grasso, di breve stagionatura, a pasta molle.

Formaggio che veniva fatto in alpeggio senza particolari attrezzature, anche nei luoghi più scomodi e impervi. Oggi è prodotto con il latte di vacca di una sola munta, a pasta cruda, per essere consumato a pasta molle dopo 60 giorni di stagionatura.

 

  • Tosela P.A.T. (Trentino – Alto Adige) – Formaggio grasso, fresco, a pasta semidura.

Quando nelle latterie o nelle malghe del Trentino il consumatore cerca il classico Malga, trova anche questa Tosela, che dà immediatamente l’idea della freschezza. Affettato allo spessore di un dito e rosolato con il burro, magari di malga, viene servito con la polenta e due cucchiai di finferli. Deliziosa.

 

  • Tosella P.A.T. (Veneto) – Formaggio semigrasso, fresco, a pasta molle.

Nella parte occidentale del Bellunese e in quello vicentino adiacente, si trasforma il latte in eccellenti formaggi di malga da stagionare. La Tosella era anticamente il formaggio del casaro. Oggi se ne consuma molto per le sue eccellenti caratteristiche di freschezza.

 

  • Toumin dal mel P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Alla fine del 1800 in Piemonte alcuni produttori pensarono bene di passare dalle tome a latte parzialmente scremato ai piccoli formaggi a latte intero. Come questo. A pasta molle, in maturazione assume aromi interessanti.

 

  • Tre Valli P.A.T. – Formaggio grasso, fresco e di breve stagionatura, a pasta molle.

Dall’eccellente latte delle valli trentine arriva questo formaggio che, fin dal 1970, vuole essere un’alternativa a formaggi industriali maggiormente conosciuti. Il latte viene inoculato con lattoinnesto naturale ed è a coagulazione presamica. Così il prodotto conserva le aromaticità lattiche che il consumatore apprezza nei mesi caldi.

 

  • Treccia di Santa Croce di Magliano P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta semidura filata.

È il formaggio tradizionale delle feste della Madonna dell’Incoronata e del patrono San Giacomo. La sua forma a treccia ne fa un decoro artistico. Tanto che si mette a tracolla durante i riti religiosi. Ma si mangia pure. Ed è buonissimo.

 

  • Treccia dura P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta filata.

È definito “formaggio della Basilicata”. Prodotto con latte di vacca crudo o pastorizzato, va consumato fresco. Forma a treccia, pasta semidura, fibrosa, di colore bianco o avorio.

 

  • Treccia P.A.T. (Campania) – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle e filata.

Formaggio a pasta filata prodotto in tutto il territorio campano con latte di vacca, ricorda l’acconciatura di una donna: è un formaggio dalla caratteristica forma a due strisce intrecciate fra loro, che gli viene data a mano dopo la maturazione. Il formaggio è a pasta filata e può essere anche affumicato o farcito. La sua produzione è diffusa in tutta la regione e, come per tutti i formaggi a pasta filata, anche in questo caso occorre esperienza da parte del casaro nello stabilire il momento più adatto per l’inizio della filatura, che rappresenta senza dubbio la fase tipica e tradizionale del processo di lavorazione.

 

  • Treccia di Montella P.A.T – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle e filata.

Viene prodotta nel territorio di Montella, Bagnoli Irpino e Nusco in provincia di Avellino. E’ un formaggio a pasta filata fresco, di forma caratteristica di tre cordoni intrecciati a mano. Il formaggio può essere anche affumicato con metodi tradizionali. La crosta è quasi assente, la superficie è omogenea, liscia e lucente, di colore bianco latte tendente all’avorio, la struttura rilascia al taglio e/o ad una leggera pressione piccole gocce di latte. Al taglio il colore è bianco latte omogeneo, esente da chiazze o striature, sapore caratteristico tipico, sapido, di latticino fresco, delicatamente acidulo. Odore caratteristico, di latte lievemente acidulo. Valori nutrizionali: (per 100 g di prodotto fresco) – Calorie: 219 kcal – Grassi: 16,50 g – Carboidrati: 1,40 g – Proteine: 16,00 g.

Metodiche di lavorazione – Si utilizza latte vaccino crudo, proveniente da una o più mungiture consecutive, che viene consegnato al caseificio entro 24 ore dalla prima mungitura. Il latte viene riscaldato a 36 -37 °C e si aggiunge caglio liquido di vitello. Si utilizza una piccola quantità di latto-innesto, che non è altro che latte di buona qualità microbiologica e chimico fisica lasciato acidificare dal giorno precedente e poi aggiunto al latte fresco. La coagulazione avviene in 20 – 30 minuti; si effettua una prima rottura e dopo una ora circa dalla coagulazione si effettua una rottura della cagliata più spinta fino alla grandezza di una nocciola. Se necessario si riscalda siero e cagliata a bagnomaria o aggiungendo siero o acqua molto calda per portare la temperatura della miscela intorno a 40°C. Si allontana il siero e la maturazione della cagliata può avvenire: sotto siero, e in questo caso la filatura si avrà entro 3 – 4 ore dalla coagulazione oppure “fuori siero”: in questo caso la cagliata viene estratta e posta su di un tavolo inclinato e fatta sgrondare del siero; in questo caso la maturazione sarà rallentata e la filatura potrà essere effettuata anche il giorno dopo. La filatura è caratteristica, viene definita “per sollevamento” ed è molto diversa da quella che si effettua per la mozzarella di bufala che è “rotatoria”. Nel primo caso la cagliata viene filata sollevandola con una “pala” in legno o in teflon in modo da avere un prodotto più asciutto rispetto alla mozzarella. La massa filata viene poi lavorata a mano prima in cordoni che vengono poi intrecciati; segue il raffreddamento in acqua. La salatura avviene in salamoia, raramente per aggiunta di sale direttamente in pasta.

La treccia di Montella fa parte della tradizione storica tipica del territorio ed è conosciuta anche in altre parti d’Italia, famosa per il sapore ed il profumo caratteristici, che provengono dal latte delle bovine allevate nel comprensorio.

 

  • Trizza P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta semidura e filata.

Formaggio a pasta filata che si ottiene dal latte delle vacche di razza Sardo-Modicana. La formatura a treccia può presentare decori in pasta filata.

 

  • Tuma ‘d Trausela (Tuma mola) A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Dalla pianura si sale verso la montagna ai confini della Valle d’Aosta. E si scopre questa Tuma. Processo produttivo estremamente semplice, così come è semplice il formaggio che ne deriva. Da provare a fine pasto, con un filo di miele.

 

  • Tuma di Bossolasco P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Dagli alpeggi del territorio di produzione sono nate le Tome piemontesi. Questa è una delle tante, con una storia antichissima che risale ai Romani.

 

  • Tumazzu di vacca P.A.T. – Formaggio grasso, di media o lunga stagionatura, a pasta dura.

Capita che un formaggio nasca da situazioni diverse da quelle che l’uomo, il casaro, aveva in testa. Come questo. Pare sia scaturito dagli errori tecnologici di un casaro, il quale, mettendo insieme latte di vacca e latte di pecore, diede vita a un prodotto grasso molto piacevole.

 

  • Vaccino P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura.

Quando un formaggio appena formato viene immerso nella scotta bollente, significa che lo si vuole stagionare a lungo. Come questo Vaccino, il cui nome fa subito intendere la provenienza da latte di vacca. Lavorato a crudo.

 

  • Vaciarin P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle.

Il Vaciarin si inserisce storicamente nella serie dei formaggi poveri dei poveri. L’assenza di riscaldamento del latte e di salatura, dimostra quante poche risorse avevano in passato i contadini della Val Sesia. Ora è un prodotto apprezzato per la freschezza. Anche come antipasto o dessert.

 

  • Valtellina Scimudin P.A.T. – Formaggio grasso, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

In passato veniva fatto con il latte di capra, oggi si utilizza quello di vacca. E’ un’alternativa ai più conosciuti formaggi a pasta semidura e dura della Valtellina, ma non per questo le sue caratteristiche sensoriali sono meno apprezzate.

 

  • Vastedda palermitana P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta semidura, filata.

Dal latte vaccino crudo alla pasta filata il passo non è breve, perché la tecnica di produzione di questo formaggio è complessa. Ne risulta un prodotto dalle caratteristiche organolettiche di pregio, che si differenzia dai tanti similari, a pasta filata, italiani.

 

  • Vezzena P.A.T. – Formaggio semigrasso di media o lunga stagionatura, a pasta dura.

È il tipico formaggio d’alpeggio del Trentino. Nasce molti secoli fa e diventa importante prima della Grande Guerra, quando era utilizzato da grattugia, dato che i grandi Grana non erano ancora in auge. Oggi è rinomato per le sue caratteristiche organolettiche ed è ricercato dai consumatori più esigenti.

 

  • Zieger (Formaggio fresco aromatizzato) A.T. – Formaggio magro o semigrasso, fresco, a pasta molle.

Le famiglie contadine ancora oggi producono per uso proprio questo formaggio dalle antiche tradizioni. Una volta si utilizzava latte scremato per affioramento, aggiungendo alla pasta quanto si trovava in casa. Oggi è una specialità, magari con erba cipollina.

 

 

  • Zigher P.A.T. – Formaggio grasso, fresco, a pasta molle, da coagulazione lattica.

Un tempo veniva fatto con i residui delle coagulazioni, del latticello e di altri alimenti presenti nel caseificio, oggi è una coagulazione lattica che, confusa con erba cipollina, sale e pepe dà vita a un formaggio che coniuga la tradizione altoatesina con quella dolomitica bellunese. Purtroppo è un formaggio raro. Si trova in pochissimi caseifici del Comelico e di Livinallongo.

 

  • Zincarlin de Vares P.A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta molle, cremosa.

Formaggi di capra a coagulazione lattica miscelati con formaggi a coagulazione presamica. In più, pepe, aglio e prezzemolo. Il tutto finisce in vasi di terracotta chiamati “ule”.

 

  • Zincarlin P.A.T. – Latticino magro, fresco o di breve stagionatura, a pasta molle.

Si dice che questo tipico formaggio in Lombardia venga prodotto in antitesi al formaggio classico, ovvero quello ottenuto dalla coagulazione presamica. In realtà, il Zincalrlin è un latticino a base di ricotta fatta stagionare e protetta esternamente da pepe nero macinato.

 

  • Zumelle P.A.T. – Formaggio grasso, di breve o media stagionatura, a pasta semidura o dura.

Prende il nome dal castello che si trova a Mel, in Valbelluna. Formaggio tradizionale che si consuma con la polenta. Grazie alla sua grassezza, a latte intero, è piacevole anche con verdure cotte.

Redazione amaperbene.it

AMAxBenE è l’acronimo di AliMentAzione per il BenEssere

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