Cucina Giapponese

Conoscere la cucina giapponese

Quando si parla di washoku, cioè la cucina tradizionale giapponese, normalmente si pensa al sushi, al sashimi, al ramen ovvero a tutti quei piatti la cui conoscenza è ormai consolidata anche all’estero. Ma la dieta del popolo giapponese è molto più ricca e basata su una vasta gamma di ingredienti; ad esempio, quanti sanno che alcuni pesci non sono adatti per il sushi o che il tipo di taglio eseguito con il coltello sul pesce crudo ne influenza il gusto. Ne consegue che esistono tantissimi aspetti sconosciuti nel mondo gastronomico giapponese che vanno approfonditi. Questo articolo ha lo scopo di ampliare le conoscenze dei lettori in modo che, entrando in un ristorante giapponese, possano fare scelte consapevoli.

Washoku è il cibo che i giapponesi mangiano tradizionalmente e include anche tutto ciò che riguarda la cultura culinaria, l’etichetta, i rituali e l’organizzazione dell’ambiente conviviale. Ashoku rappresenta invece lo stile culinario tradizionale giapponese, che si basa su consumo di riso, zuppa di miso (composto di soia fermentata), elementi di contorno e tsukemono (verdure in salamoia).

La colonna portante del washoku è la vasta gamma di ingredienti; gli elemento principali sono costituiti da:

  • Il riso. Il Giappone è uno dei paesi asiatici consumatori di riso. L’80% del riso mondiale appartiene alla sottospecie Indica, i cui chicchi rimangono separati dopo la cottura. Il riso giapponese, invece, è della sottospecie Japonica, che si caratterizza per la collosità. Dopo la cottura, questa varietà di riso possiede lucentezza, dolcezza e un sapore molto gradevole. Il riso bianco, privato della sua crusca, è composto all’80% da amido, per questo è molto digeribile e rappresenta gran parte della fonte energetica dei giapponesi. Per ottenere un riso ancora più saporito, c’è chi lo bolle in una pentola di terracotta. Il riso si immerge in acqua per 15 minuti e si scola per altrettanti minuti; si fa bollire in una quantità di acqua pari a quella del riso per 20 minuti a 95 gradi; a questo punto l’amido si gelatinizza e il riso è pronto. Il riso andrebbe consumato appena bollito, ma la varietà Japonica ha il pregio di essere buona anche quando si raffredda. Infinita la varietà di applicazioni.
  • Il pesce. l Giappone è un arcipelago dalla forma stretta e lunga e i suoi mari sono popolati da circa 4200 specie di pesci. I giapponesi amano il pesce in tutte le sue declinazioni: non consumano solo i pesci di mare, ma anche quelli di acqua dolce, come l’ayu (un tipo di trota) o la carpa. Il merito della bontà dei prodotti ittici giapponesi va, innanzitutto, allo sviluppo delle tecniche per la consumazione del pesce fresco. Per esempio, non basta tagliare il pesce crudo per ottenere il sashimi, bensì bisogna utilizzare con maestria dei coltelli a lama singola di ottima qualità per affettarlo senza compromettere il sapore delle sue carni. Anche l’eccezionale sistema di distribuzione e gestione del pesce è da menzionare. Il mercato del pesce di Tsukiji raccoglie il pescato proveniente da tutto il Giappone, eppure chiunque lo visiti si meraviglia per la totale assenza di puzza di pesce. I pesci vengono uccisi all’istante, per risparmiare loro stress, e vengono privati del sangue con la tecnica ikejime: in questo modo, la freschezza del pesce è assicurata. Gli espedienti per conservare il pesce in modo igienico, per preservarne la freschezza e per non comprometterne il sapore sono innumerevoli: dal trasporto di acqua marina e acqua dolce direttamente nel mercato, al sapiente utilizzo di una grande quantità di ghiaccio per conservare il pesce.
  • La carne. La bontà del wagyū, il manzo giapponese, è riconosciuta in tutto il mondo e risiede nella tenerezza delle sue carni e nell’aroma che sprigiona durante la grigliatura. Una bistecca di wagyū di prima qualità, anche se spessa, è tanto tenera da poter essere tagliata senza l’ausilio del coltello. Questa caratteristica è dovuta all’equilibrio tra gli strati di grasso intramuscolare (sashi) e muscolo, ottenuta da tecniche di allevamento curate.
  • Verdure selvatiche e alghe. Le verdure selvatiche e i funghi che crescono spontaneamente in montagna o nei campi scandiscono l’alternarsi delle stagioni. Tra le verdure selvatiche si annoverano i fiori di farfaraccio, che sbocciano a inizio anno, le felci, i germogli di aralia e i germogli di bambù, che spuntano all’inizio della primavera: nella cucina giapponese si usano per la tenpura (frittura giapponese) o si accompagnano al sumiso (miso con aceto e zucchero). Tra i funghi, oltre a quelli coltivati, sono molto apprezzati i matsutake o altri funghi spontanei, che sono celebrati come simboli stagionali: piatti come i profumati matsutake grigliati o il dobinmushi (bollito in un bricco di terracotta) annunciano l’arrivo dell’autunno.

In Giappone le alghe hanno costituito fin dall’antichità una ricca fonte di minerali. Wakame e nori, in particolare, sono le più rappresentative: le alghe wakame si consumano fresche o essiccate, mentre le nori solo essiccate. Anche le alghe konbu si possono essiccare o consumare fresche, ma vengono soprattutto usate come ingrediente per il brodo dashi. Le alghe konbu essiccate, oltre che in cucina, sono utilizzate anche come offerte religiose, per questo hanno un elevato valore simbolico.

Le fondamenta del washoku

Lo stile culinario rappresentativo del washoku è il cosiddetto ichijū sansai (letteralmente, una zuppa e tre elementi di contorno). Questo è così strutturato: riso, una zuppa, un contorno principale, due secondari (a volte anche tre o quattro) e tsu-kemono (verdure in salamoia). Il contorno principale può essere costituito da una pietanza tradizionale, come la seriola alla griglia con salsa teriyaki (a base di salsa di soia e mirin, un sake dolce da cucina), o anche da piatti nati durante l’epoca Meiji o successivamente, che fondono la cucina giapponese e quella occidentale, come il tonkatsu (spessa cotoletta di maiale) o l’hamburger. Questi piatti hanno in comune un’unica funzione: accompagnare al meglio il riso bianco.

In caso di predenza di ospiti, era usanza servire due o più vassoi a persona; in questo caso, il numero delle zuppe aumentava a due e quello dei contorni a cinque.

Quindi, l’espressione ichijū sansai indica il pasto quotidiano; nato come cucina casalinga, ha subito diverse evoluzioni.

Il washoku segue una serie di regole ben precise. Sia che riguardino l’impiattamento o il rapporto tra i clienti e il cuoco, rispondono tutte a un unico principio: l’omotenashi, cioè l’ospitalità e l’accoglienza riservata agli ospiti. Al giorno d’oggi, la cucina giapponese si identifica con quella della cucina giapponese tradizionale multiportata (chakaiseki), sviluppata sulla base della cucina servita in occasione della cerimonia del tè, dalla quale si differenzia comunque in modo sostanziale. Da questa si è sviluppata la cucina kaiseki, caratterizzata dal fatto che i cibi vengano portati in tavola nell’ordine in cui sono cucinati e che alla fine vengano serviti riso e zuppa; viene coronata dalla degustazione del macha (tè verde in polvere). In questo stile culinario si trova l’origine della cucina giapponese, che prevede come suoi piatti la zuppa, tre elementi di contorno e il riso bollito come portata principale. Sia nella cucina chakaiseki sia in quella kaiseki, che compare successivamente, è valido lo stesso principio, che consiste nel trasmettere lo spirito delle stagioni usando degli ingredienti rappresentativi di ciascuna di esse e di infondere un senso di ospitalità ai commensali.

Nella cucina giapponese una delle cose ritenute più importanti è l’utilizzo di ingredienti freschi che infondano abbondantemente i sapori stagionali.

La cucina giapponese si basa sulla teoria cinese dello YinYang e dei cinque elementi. Cinque sono i sapori: dolce, acido, piccante, amaro, salato; cinque sono i colori: rosso, verde, giallo, nero, bianco; cinque sono i metodi di cottura: alla brace, bollitura, frittura, cottura al vapore, crudo; cinque sono i sensi: vista, udito, tatto, gusto e olfatto. Ciò significa che un piatto di cucina giapponese si può dire completo quando il gusto, il colore e il metodo di cottura convivono armonicamente, senza che uno prevalga sull’altro. Questo concetto è valido per qualsiasi piatto, ma le sue fondamenta sono visibili soprattutto nell’hassun (l’hassun prende il nome dalle dimensioni del vassoio quadrato di cedro giapponese utilizzato nella cucina chakaiseki, i cui lati misurano 8 sun (circa 24 cm). Si bilancia perfettamente con le altre portate dell’intero menù di cucina kaiseki, è uno spaccato della natura circostante ed è la manifestazione tangibile dell’ospitalità del ristoratore).

La maggiore differenza tra la cucina occidentale e quella giapponese è nell’impiattamento. La disposizione triangolare delle pietanze, interpretata in maniera tridimensionale, possiede un’elegante stabilità: tutti gli elementi devono bilanciarsi perfettamente, ove l’armonia cromatica genera vitalità.

Fondamentali nella cucina giapponese alcuni utensili, a partire dai coltelli, attraverso i quali si valorizzano i sapori naturali degli ingredienti, li si esalta e li si eleva a preparazioni culinarie. Dal debabōchō (coltello a lama spessa utilizzato per pulire il pesce) all’usubabōchō (coltello a lama sottile per tagliare la verdura) e allo yanagiba (coltello per il sashimi), fino a quelli specializzati per il grongo, l’anguilla e la pasta, il numero di coltelli giapponesi, classificati a seconda dell’uso e degli ingredienti, ammonta a oltre venti. I coltelli giapponesi hanno la caratteristica di avere le lame a filo singolo come nel caso del classico yanagibabōchō.

Diventa fondamentale valorizzare questa caratteristica distintiva, muovendo il coltello a lama singola e affilata verso se stessi rispetto alla trama del pesce. Infatti se il taglio non è eseguito nel modo corretto, si guasta la trama del sashimi. Qualora ciò accada, se ne perde la consistenza compromettendone il sapore. Di conseguenza, l’arte del coltello influenza fortemente il gusto delle pietanze. L’abilità del cuoco fa il resto. Nel mondo della cucina giapponese è la norma che ciascun cuoco porti con sé e utilizzi i propri coltelli.

La cucina giapponese esprime lo spirito delle stagioni non solo grazie agli ingredienti e alle pietanze ma anche ai recipienti che si utilizzano nei pasti. Tale attenzione per il succedersi delle stagioni è un tratto distintivo che si conferma come una delle manifestazioni di riguardo riservate al commensale e come l’elemento più affascinante della cultura culinaria giapponese.

Pietanze
Il sushi è un insieme di piatti tipici della cucina giapponese a base di riso insieme ad altri ingredienti come pesce, alghe nori o uova. Il ripieno è crudo o in alcune varianti cotto e può essere servito appoggiato sul riso, arrotolato in una striscia di alga, disposto in rotoli di riso o inserito in una piccola tasca di tofu. La parola sushi significa letteralmente “riso condito con aceto”. Esistono vari tipi di sushi, ma quello attualmente più conosciuto all’estero è il nigirizushi nello stile di Edo (antico nome della città di Tōkyō). La varietà del piatto nasce dalla scelta dei ripieni e guarnizioni, nella scelta degli altri condimenti e nella maniera in cui vengono combinati. Gli stessi ingredienti possono essere assemblati in maniere completamente differenti per ottenere effetti differenti.

Maniere diverse di costruire il sushi, indipendentemente dal tipo di ripieni e guarnizioni:

  • Makizushi (Sushi arrotolato): è una polpettina, cilindrica o conica, formata con l’aiuto di un tappeto di bambù detto makisu. Il Makizushi è il tipo di sushi più familiare alla maggior parte degli occidentali. Generalmente è avvolto nel nori, un foglio di alga seccato che racchiude il riso e il ripieno. In base alla forma e struttura prende il nome di:
    • Futomaki (“rotoli larghi”). Una polpetta cilindrica, con il nori all’esterno, tipicamente alta due o tre centimetri e larga quattro o cinque. È spesso fatta con due o tre ripieni scelti in modo da completarsi a vicenda in gusto e colore.
    • Hosomaki (“rotoli sottili”). Una polpettina cilindrica, con il nori all’esterno, tipicamente alta due centimetri e larga due. Generalmente ha un solo tipo di ripieno (salmone) ma può contenere anche il tonno o, più raramente, l’avocado.
    • Temaki (“rotoli mano”). Una polpetta a forma di cono, con il nori all’esterno e gli ingredienti che sporgono dall’estremità larga. Di maggiori dimensioni, tradizionalmente lungo dieci centimetri, va mangiato a morsi tenendolo con le dita, perché sarebbe troppo difficile da sollevare con i bastoncini.
    • Uramaki (“rotoli interno-esterno”). Una polpetta cilindrica con il nori all’interno, di dimensioni medie e con due o più ripieni. Il ripieno è al centro circondato da un foglio di nori, quindi uno strato di riso e una guarnizione esterna di un altro ingrediente, come uova di pesce o semi di sesamo tostati.
  • Oshizushi: “Sushi pressato”, un blocco formato usando una forma di legno detta oshizushihako. Il cuoco allinea il fondo dell’oshibako con la guarnizione, lo copre con riso sushi e preme il coperchio della forma per creare un blocco compatto e rettangolare. Il blocco viene rimosso dalla forma e tagliato in pezzi delle dimensioni di un boccone.
  • Nigirizushi: “Sushi modellato a mano”, consiste in una piccola polpettina di riso pressato a mano, spesso con una punta di wasabi, con una fettina sottile di guarnizione sopra. Difficile da preparare, è possibilmente legata con una striscia sottile di nori.
    • Gunkanzushi (“sushi nave da battaglia”). Una polpettina di riso di forma ovale, circondata da una striscia di nori, con degli ingredienti, come uova di pesce, impilati sopra.
  • Inari / Inarizushi: “Sushi ripieno”, una piccola tasca o cavità riempita con riso sushi e altri ingredienti. La tasca viene ricavata da un pezzo di tofu fritto, da una sottile frittata o fukusazushi) o da foglie di cavolo (kanpyo).
  • Chirashizushi: “Sushi sparpagliato”, una ciotola di riso sushi con gli altri ingredienti mischiati. Detto anche barazushi.
    • Edomae chirashizushi (“sushi sparpagliato allo stile di Edo”). Gli ingredienti crudi sono miscelati con arte sopra al riso in una ciotola.
    • Gomokuzushi (“sushi nello stile del Kansai”). Ingredienti cotti o crudi miscelati insieme al riso nella ciotola.
  • Narezushi: è una forma più antica di sushi. Si rimuovono gli organi interni e le squame dai pesci, quindi li si riempiono di sale, si mettono in un barile di legno, miscelati con sale e pressati con un pesante tsukemonoishi o una pietra. Vengono lasciati fermentare per un periodo da dieci giorni a un mese, quindi rimossi e immersi in acqua per un tempo da quindici minuti a un’ora. Infine vengono piazzati in un altro barile a strati con riso bollito freddo e pesce. Ancora una volta vengono sigillati con un’otosibuta e una pickling stone. Con il passare dei giorni l’acqua fermentata filtra all’esterno e viene rimossa. Dopo sei mesi questi narezushi sono pronti per essere mangiati, ma si possono attendere anche altri sei mesi o più.
  • Funazushi: comporta la fermentazione lattica anaerobica di un pesce d’acqua dolce, funa (Carassius carassius). È un piatto regionale della Prefettura di Shiga ed è considerato una “chinmi”, una prelibatezza della cucina giapponese.

Il sashimi consiste principalmente in un carpaccio di pesce o molluschi freschissimi, ma talvolta anche carne, tagliato in fettine sottilissime. Si tratta di un piatto generalmente consumato crudo, servito solo con una salsa in cui intingere i tagli (per esempio salsa di soia con wasabi o salsa ponzu) e con del daikon (radici tagliate in filamenti) da mangiare fra un tipo e l’altro di pesce, per meglio gustarne il sapore.

La tenpura è un tipo di frittura che consiste nell’avvolgere verdure e pesce in una pastella composta da farina, acqua e uova. Si è diffusa come cibo da bancarella durante il periodo Edo (1603 1867), quando il pesce pescato nella baia di Edo (attuale baia di Tōkyō) veniva fritto e servito al momento. Al giorno d’oggi è una delle pietanze principali della cucina giapponese.

La soba è una pasta di grano saraceno avente forma simile ai tagliolini o agli spaghetti, tipica della cucina giapponese. Viene mangiata sia fredda che calda ed è solitamente servita con varie guarnizioni e condimenti. Il piatto standard è la kake soba (soba in brodo), in cui i tagliolini vengono immersi in un brodo bollente chiamato tsuyu fatto con dashi, mirin e salsa di soia, guarnito con fettine di negi (cipolletta). La soba più famosa è chiamata Shinano Soba o Shinshu soba, e proviene dalla prefettura di Nagano.

A grandi linee ci sono due modi per mangiare i soba: morisoba e kakesoba. Morisoba consiste nel bagnare gli spaghetti in un intingolo a base di salsa di soia dal sapore deciso. Kakesoba, invece, consiste nel versare un brodo a base di salsa di soia sui tagliolini. Morisoba è un piatto normalmente servito freddo, mentre kakesoba è di solito caldo; il gusto originario dei tagliolini, comunque, è più vicino a quello semplice del morisoba.

La carne di manzo
Shabu shabu e sukiyaki sono i piatti a base di carne più rappresentativi della cucina giapponese.

Lo shabu shabu consiste nell’immergere delle fettine estremamente sottili di carne cruda in una pentola di brodo bollente e scottarle rapidamente. La pentola contiene anche verdure, tōfu, shirataki (una sorta di fettuccine), e altri ingredienti. La carne cotta, di manzo o di maiale, si bagna in un intingolo acidulo o in una salsa a base di sesamo. Lo shabu shabu è una pietanza attraverso cui si può apprezzare il sapore naturale della carne.

Il sukiyaki, nato durante l’epoca Meiji (18681912), ancora oggi è considerato una pietanza lussuosa. Ne esistono due versioni, quella del Kansai e quella del Kantō: nella prima, la carne viene prima grigliata e poi bollita in un brodo a base di mirin e salsa di soia; nella seconda, in vece, la carne va direttamente bollita nel brodo senza prima grigliarla.

Principali condimenti della cucina giapponese
I condimenti hanno un ruolo fondamentale nella Cucina Giapponese, perché servono a dare sapore ed esaltare i piatti tradizionali: grazie a salse, semi e spezie le ricette della cucina nipponica acquisiscono sapidità, dolcezza, piccantezza, viscosità e consistenza. Molti condimenti vengono usati per insaporire insalate, zuppe, per condire la pasta oppure per accompagnare i tanti antipasti offerti nei ristoranti specializzati in questo tipo di cucina.

Le salse

  • SALSA DI SOIA

La salsa di soia è una salsa fermentata ottenuta dalla soia (19%), grano tostato (15,99%), acqua (53%), sale (12%) e Aspergillus sp. (<0,01%). Originaria della Cina, la salsa di soia è un comune ingrediente della cucina dell’Asia orientale e sud-orientale.

Fu introdotta per la prima volta in Giappone alla fine del VII secolo ad opera dei monaci buddhisti, che utilizzavano la salsa di soia per conferire ai cibi un certo aroma di carne, considerando che la carne e il pesce sono vietati dai precetti buddhisti.

Tra le qualità nutritive della salsa spiccano un contenuto di antiossidanti 10 volte maggiore rispetto a quello del vino rosso e proprietà digestive. Di contro, il contenuto in sale non ne rende consigliabile l’uso in diete povere di sodio.

Le salse di soia giapponesi utilizzano grano come ingrediente principale e questo tende a conferire loro un gusto leggermente più dolce rispetto alle salse cinesi; la presenza di grano ne fa sconsigliare l’uso nei celiaci, che tuttavia possono fruire di una salsa di soia senza glutine. Alcuni produttori producono salsa di soia senza glutine sostituendo il grano con il riso, mentre altri saltano completamente il grano, utilizzando solo soia pura: conviene comunque accertarsi per esserne sicuri.

  • KARASHI

Il karashi (mostarda giapponese piccante) è un tipo di senape ottenuta dai semi schiacciati di Brassica juncea (“senape indiana”), mescolati con wasabi o rafano, ed è utilizzata come condimento per alcuni piatti della cucina giapponese quali: tonkatsu, oden, natto e gyoza e per il pesce in tempura.

  • MENTSUYU

Mentsuyu è un condimento a base di dashi, salsa di soia, mirin e zucchero ed è usata per condire somen, soba, udon e hiyamugi.

  • PONZU

Ponzu è una salsa agrumata molto lenta che viene preparata facendo bollire il mirin, l’aceto di riso, le alghe konbu e i fiocchi di katsuobushi, i cui residui, poi, vengono filtrati ed eliminati.

  • WARISHITA

Warishita è una salsa giapponese composta di sale, zucchero e salsa di soia.

  • ACETO DI RISO

Si tratta di un tipo di aceto ottenuto dal riso fermentato. Gli zuccheri del riso vengono convertiti in alcol (vino di riso) e poi, attraverso un processo di seconda fermentazione carico di batteri, nell’acido che conosciamo come aceto. E’ un condimento dal gusto acido; accompagna il sushi oppure è utilizzato come condimento per le insalate.

L’aceto di riso è un alimento quasi totalmente privo di calorie e dal contenuto nutrizionale poco interessante. Si distingue dai più comuni aceti di vino e di mela per il gusto più tenue e la maggior dolcezza.

  • Aceto di riso bianco-giallo giapponese

Con solo il 5% di acido acetico, l’aceto di riso giapponese è color giallo pallido e ha un gusto morbido e delicato. Può essere prodotto direttamente dai semi di riso (yonezu) o dal sake (kasuzu). Questi due tipi di aceto sono utilizzati nella preparazione di ricette tipiche come: sunomono, tsukemono e nimono, ma anche nelle marinature per i pesci e le carni.

  • Aceto di riso stagionato giapponese

L’aceto giapponese “stagionato” (awasezu) è un condimento a base di aceto di riso, sake, sale e zucchero; viene notoriamente utilizzato per la preparazione del sushi e in occidente come condimento alternativo assieme allo zenzero e al sesamo.

  • Aceto di riso nero giapponese

In Giappone si produce un aceto nero più tenue di quello cinese (kurozu), ottenuto per fermentazione diretta del riso. Considerato alla stregua di una bevanda dietetica, si ipotizza che questo aceto di riso nero vanti proprietà anti-cancerose (dimostrate in vivo sui ratti e in vitro sulle cellule tumorali umane).

  • MIRIN

Il mirin è una specie di vino ottenuto dal riso, con una percentuale alcolica inferiore a quella del saké. Ne esistono tre tipi: hon mirin (alcolico), mirin shio (lievemente alcolico) e shin mirin (con pochissimo alcol).

Il mirin è un tipico edulcorante giapponese, ricavato fermentando il liquore di riso a cui è stato aggiunto riso glutinoso cotto al vapore.

Non è intenso come lo zucchero bensì infonde un grado di dolcezza più moderata e raffinata. Se aggiunto in piccole quantità alle frittate o alle omelette cancella il caratteristico odore di uovo. Inoltre si usa per eliminare l’olezzo dai bolliti di pesce. Il miso e la salsa di soia si annoverano fra i condimenti base della cucina giapponese, ma quando si vuole esaltare il gusto dei cibi si aggiunge alla lista anche il mirin. Se si mescola il mirin alla salsa di soia e al miso nei piatti di pesce alla griglia se ne migliora la lucentezza. Per esempio, l’anguilla condita con questo composto e cotta alla brace è un vanto in tutto il mondo.

La combinazione di salsa di soia e mirin genera un gusto che fa venire l’acquolina quando si preparano le salse a base di passati di frutta o pomodoro, frutti di bosco e patè per accompagnare piatti di carne bovina, suina e pollame.

  • WAFU

Il Wafu è una specie di vinaigrette, formata da una miscela di salsa di soia giapponese, aceto di riso e olio vegetale, spesso con l’aggiunta di aromi come zenzero grattugiato, wasabi o agrumi ed è usato per insaporire le insalate.

Le spezie

Le spezie giapponesi sono caratterizzate da fragranze leggere e piccantezza moderata.

  • AONORI

L’aonori sono una tipologia di alga commestibile, chiamata “lattuga di mare” in Italia, utilizzata principalmente essiccata e triturata per aromatizzare gli okonomiyaki, gli yakisoba, gli yakiudon o i takoyaki, come ingrediente del furikake o in aggiunta alla zuppa di miso.

  • FURIKAKE

Il furikake è un condimento che viene solitamente aggiunto al riso ed è composto da un miscuglio di pesce essiccato e macinato, semi di sesamo, alghe tritate, zucchero, sale e glutammato monosodico.

  • MENMA

Menma è un condimento a base di bambù essiccato, utilizzato per condire le zuppe di noodle e il ramen.

  • MYŌGA. Zenzero dalla fragranza gentile. Guarnisce il sashimi e la pasta lunga. Tipico dell’inizio dell’estate e dell’autunno, attualmente è coltivato tutto l’anno.
  • NEGI (scalogno). Può essere bianco o verde. Si utilizza nelle zuppe, nei bolliti, nei donburi e con la pasta lunga. Ha proprietà rilassanti.
  • SANSHŌ (pepe giapponese). Anche le parti dell’albero del sanshō sono utilizzate in armonia con le stagioni: i germogli, i fiori, il frutto verde, la corteccia del giovane alberello, il frutto maturo. I germogli e i fiori adornano brodi e bolliti, così come i frutti acerbi; i frutti maturi si cospargono sull’anguilla alla brace.
  • SHICHIMI TŌGARASHI

Lo shichimi tōgarashi o semplicemente shichimi è anche chiamato il “pepe ai sette sapori”, proprio perché si compone di una miscela di 7 spezie: principalmente peperoncino rosso essiccato, semi di sesamo neri, buccia di mandarino secca, semi di canapa, semi di papavero, pepe sansho e peperoncino fresco.

Viene usato per insaporire udon e soba, riso bianco, carni, zuppe e stufati.

Le origini di questo mix di sapori risale al 1625 grazie al signor Tokuemon che aprì a Tokyo il suo negozio di spezie chiamato Yagenbori. Questo negozio si è poi tramandato di padre in figlio e ancora oggi esiste.

  • Chiamato basilico giapponese, ne esiste una variante rossa e una verde. I germogli decorano il sashimi. Cancella l’olezzo caratteristico del pesce crudo. Le foglie della pianta adulta, donano un tocco di verde al sashimi.
  • SHŌGA (zenzero). Si usa grattugiato come spezia per il sashimi. Ha un potente effetto antisettico. Accompagna il pesce azzurro e i piatti invernali al vapore. Scalda il corpo inducendo la sudorazione.
  • YUZU. Agrume dalla fragranza raffinata, le sue componenti si utilizzano in accordo con le stagioni. In primavera i germogli, il fiore, le foglie e il frutto; in estate lo yuzu verde e in autunno quello giallo. La scorza accompagna brodi e bolliti. Il succo è utilizzato come salsa.
  • WASABI

Venduta sotto forma di radice da grattugiare finemente oppure sotto forma di pasta già pronta in tubetto, è un ingrediente molto usato nella cucina giapponese. Piccante e profumato, la sua funzione è quella di eliminare eventuali batteri presenti nel pesce crudo. Nel sashimi si usa per prevenire intossicazioni alimentari dovute all’ingestione di pesce crudo. Si usa anche nei nigirizushi e nei soba.

I semi

  • GOMA (SESAMO)

I semi di sesamo vengono utilizzato in Giappone soprattutto per condire piatti come il tofu, le alghe, il salmone teriyaki o per accompagnare le verdure. Il più usato è il sesamo bianco, che è anche il più pregiato rispetto a quello nero e viene utilizzato anche per la panatura delle fritture e per preparare la “nerigoma”, una pasta di semi di sesamo non sbucciati, e la “gomadare” una salsa cremosa al sesamo composta da nerigoma, salsa di soia, olio, zucchero, mirin e aceto di riso.

Gli olii

  • RAYU

Rayu è un olio di sesamo aromatizzato al peperoncino, ma può essere anche preparato con altre spezie come zenzero, foglie di guava, porro, paprika e curcuma.

  • OLIO DI KUMEJIMA

Si tratta di un olio piccante “da mangiare”, perché al suo interno si trovano pezzettini di aglio.

Sale

Esistono tre tipi di sale prodotti utilizzando l’acqua di mare: il sale grosso, il sale fino e il sale tostato minuziosamente sul fuoco (yakishio). Esiste inoltre anche un tipo di sale al quale vengono aggiunte le alghe (moshio). C’è poi il sale di rocca raccolto a Okuaizu, una zona montagnosa nella prefettura di Fukushima.

Il sale grosso viene usato per assorbire i liquidi degli tsukemono e dei tranci di pesce, mentre il sale fino, lo yakishio o il moshio si utilizzano come condimento. A Kyōto si aggiunge una grande quantità di sale al sake e si cuoce fino all’evaporazione del liquido. Il risultato è un sale chiamato sakeshio. Il sakeshio si usa per condire piatti di verdure cotte e zuppe.

Zucchero

Lo zucchero nero di Okinawa non è raffinato quindi è ricco di molti minerali. Si usa per cucinare lo spezzatino di maiale poiché ha la proprietà di cancellare l’olezzo della carne e ridurre i grassi neutri.

Lo zucchero wasanbon di Tokushima ha un aroma pungente, ma comunque non paragonabile rispetto a quello di Okinawa. Non può mancare come dolcificante per i dolci giapponesi; il caratteristico lieve odo re stimola l’appetito.

La tradizione culinaria giapponese è ricca di cibi e bevande deliziosi, ognuno con le sue caratteristiche uniche. Ecco alcuni dei piatti e delle bevande più rappresentativi della cucina giapponese:

Piatti:

  • Okonomiyaki: L’okonomiyaki è una specie di frittata giapponese, preparata con una pastella di farina, cavolo grattugiato, uova e varie aggiunte come carne, frutti di mare o formaggio. Viene cucinato su una piastra e spesso condito con maionese, salsa okonomiyaki e fiocchi di bonito (tonnetto). È spesso condito con maionese e una salsa speciale.
  • Ramen: Il ramen è un tipo di zuppa di noodle giapponese. Esistono molte varianti regionali, ma comunemente include noodle, brodo, carne (solitamente maiale o pollo), uova e condimenti come alghe, germogli di bambù e cipolla verde; Varietà di brodi e stili, tra cui shoyu (a base di salsa di soia), miso (a base di pasta di miso) e tonkotsu (a base di osso di maiale).
  • Sashimi: Il sashimi è costituito da fette sottili di pesce crudo di alta qualità, solitamente servite con daikon (ravanello giapponese) grattugiato e salsa di soia.
  • Sukiyaki: Il sukiyaki è un piatto a base di carne (solitamente manzo) cotta in una pentola con verdure, tofu e una salsa dolce. I commensali cuociono gli ingredienti direttamente sulla tavola e poi li intingono in un uovo crudo.
  • Sushi: Il sushi è uno dei piatti giapponesi più conosciuti al mondo. È composto da piccoli bocconcini di riso condito con aceto, accompagnato da vari ingredienti come pesce crudo, verdure o uova di pesce. Ci sono molte varianti di sushi, tra cui nigiri (topped sushi), sashimi (fette di pesce crudo) e maki (rotoli avvolti in alga nori).
  • Takoyaki: Le takoyaki sono piccole palle di impasto a base di farina, con pezzi di polpo al loro interno. Vengono cotti in uno stampo speciale e spesso conditi con una salsa dolce e salata, maionese giapponese, alghe e fiocchi di bonito.
  • Tempura: Il tempura è un piatto di frittura leggera in cui verdure, gamberetti o altri ingredienti vengono immersi in una pastella leggera e fritti fino a diventare croccanti.
  • Tonkatsu: Il tonkatsu è una cotoletta di maiale impanata e fritta, spesso servita con cavolo grattugiato, salsa di tonkatsu e riso.
  • Udon e Soba: Gli udon e i soba sono due tipi di noodle giapponesi. Gli udon sono spessi e morbidi, mentre i soba sono sottili e realizzati con farina di grano saraceno. Sono serviti in brodo o freddi a secco con una varietà di condimenti.
  • Yakiniku: Il yakiniku è una grigliata di carne, solitamente manzo, che viene cotta direttamente al tavolo. Le fettine di carne vengono immerse in una salsa specialmente preparata e spesso accompagnate da verdure grigliate.
  • Yakitori: Lo yakitori sono spiedini di carne (spesso pollo) o verdure grigliati e spennellati con salsa tare (una salsa dolce a base di salsa di soia e zucchero). Sono uno spuntino popolare in Giappone.

Bevande:

  • Gyokuro: Il gyokuro è un tipo di tè verde giapponese pregiato, noto per il suo sapore dolce e la sua delicata fragranza.
  • Matcha: Il matcha è una polvere di tè verde finemente macinata utilizzata per preparare il tè verde giapponese. È spesso usato anche nella preparazione di dessert e dolci.
  • Mizu: L’acqua è una bevanda importante e ubiqua nella tradizione giapponese. L’acqua giapponese è spesso apprezzata per la sua purezza.
  • Sake: Il sake è un vino giapponese tradizionale, ottenuto dalla fermentazione del riso e noto per la sua gamma di sapori e qualità. Viene spesso servito in occasioni speciali.
  • Shochu: Lo shochu è una bevanda alcolica giapponese distillata, che può essere prodotta da diversi ingredienti, tra cui patate dolci, grano o riso.
  • Soba-cha: Il soba-cha è un tè a base di grano saraceno tostato. Ha un sapore leggermente nocciolato ed è spesso bevuto come bevanda rinfrescante o calda.
  • Tè verde: Il tè verde è una bevanda molto diffusa in Giappone, con una grande varietà di tipi e sapori. Il matcha, una polvere di tè verde, è utilizzato anche nella cerimonia del tè; è apprezzato per i suoi benefici per la salute. Può essere servito caldo o freddo.

Una caratteristica del tè giapponese è che a seconda della miscela utilizzata, cambia la temperatura d’infusione. Un’altra peculiarità è che si può apprezzarne il gusto e la fragranza senza dover aggiungere zucchero, latte, limone o marmellata.

Il gyokuro è considerato il tè verde di migliore qualità. Le piante da cui si ricava questo tipo di tè sono concimate a regola d’arte e coltivate al riparo dai raggi del sole; si raccolgono solo i germogli e con essi si produce il tè istantaneamente. Dolcezza e gusto si sovrappongono l’una all’altra per dare vita a un prodotto squisito. Contiene molta caffeina quindi viene infuso in acqua a circa 65 gradi. Si degusta a piccoli sorsi, muovendolo dentro la bocca prima di deglutirlo ed è il tè delle tre. Dato che i dolci esaltano il profumo e il sapore del gyokuro, questo tè viene accompagnato dai nerigashi, dolci giapponesi a base di pasta di legumi e frutta caratterizzati da un aroma delicato.

Il sencha, a differenza del gyokuro, è coltivato esponendo ai raggi del sole le foglie del tè e, come avviene per il gyokuro, si produce usando solo i germogli. Non è squisito e dolce quanto il gyokuro e viene messo in infusione in acqua alla temperatura tra i 70 e 75 gradi. Si beve come il gyokuro, a piccoli sorsi muovendolo dentro la bocca prima di deglutirlo. È possibile infondere le stesse foglie più volte: quando si aggiunge l’acqua nella teiera per la seconda volta, si assapora il gusto amarognolo del tannino (catechina), mentre alla terza infusione, si apprezza il profumo intenso e il gusto fresco della bevanda. A questo punto si servono anche i dolci di accompagnamento. È possibile anche berlo con acqua a temperatura ambiente.

Per la produzione del bancha viene utilizzato lo stelo della pianta i cui germogli sono stati raccolti per produrre il sencha. Questo tipo di tè contiene molta catechina e vitamina C. Si prepara con acqua calda, facendo attenzione a non portarla all’ebollizione. Esistono anche una versione profumata e una tostata; entrambi i tipi comunque si bevono quotidianamente in abbondanza. Si addice particolarmente a essere consumato durante i pasti e si sposa con i cibi ricchi di grassi.

  • Umeshu: L’umeshu è un liquore giapponese a base di prugne giapponesi (ume) fermentate con zucchero e alcool. È dolce e aromatico.

Questi sono solo alcuni dei tanti piatti e bevande che caratterizzano la cucina giapponese. La cucina del Giappone è varia e offre una vasta gamma di sapori e preparazioni, da provare e scoprire.

I dolci giapponesi

Per wagashi si intendono i dolci giapponesi, preparati seguendo ricette tradizionali; essi sono contrapposti agli yōgashi, i dolci introdotti dall’Occidente. Ne esistono di vari tipi classificati per il tipo di cottura (a vapore, al forno, eccetera) o per la quantità d’acqua in essi contenuti. In base a quest’ultima suddivisione, i dolci che contengono più acqua sono chiamati na magashi o omogashi (dolci freschi), seguiti dagli han’namagashi (semisecchi) e dagli higashi (secchi). I dolci si possono distinguere anche per il loro impiego: i jōnamagashi si servono agli ospiti, per celebrare una ricorrenza o durante la cerimonia del tè, i dagashi invece sono snack consumati come spuntino.

Fra i dolci giapponesi, quelli serviti in occasione della cerimonia del tè, hanno conseguito un ragguardevole sviluppo in termini di gamma di ingredienti e di forme. I dolci freschi si consumano con il koicha, un tipo di tè verde ricavato dai germogli degli alberi secolari, mentre quelli secchi vengono serviti con un tè leggero.

Esistono svariati tipi di dolci freschi: dal kinton, pasta dolce farcita con una composta di fagioli, al gyūhi, farina di riso glutinoso alla quale viene aggiunto dello zucchero. Molti dolci secchi invece sono canditi. In ogni caso, tutti i dolci hanno in comune l’intento di celebrare le quattro stagioni attraverso i loro colori e le forme. Per esempio, molti dolci secchi riproducono fedelmente i ciliegi in primavera, l’acqua corrente in estate, le foglie colorate in autunno e le peonie d’inverno. Lo stesso vale anche per i dolci freschi, anche se, in questo caso, le stagioni sono rappresentate attraverso forme e colori astratti.

Redazione amaperbene.it

AMAxBenE è l’acronimo di AliMentAzione per il BenEssere

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