Carne e uova

Carni avicole e polli broiler

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Hai una persona di tua fiducia al Supermercato o in Macelleria o, ancor meglio, in Polleria cui chiedere consigli per le tue scelte alimentari? Se non ce l’hai, leggi attentamente quanto segue valido anche per saper leggere le etichette sugli “imbustati” di carni avicole.

Sono carni avicole tutte quelle provenienti da animali da cortile, come polli, tacchini, anatre, oche, faraone, quaglie e piccioni. Queste carni sono comunemente dette bianche per il loro colore decisamente più “pallido” rispetto alle altre il che ha ingenerato nell’immaginario collettivo l’idea che sia povere di ferro e meno valide dal punto di vista nutrizionale. In realtà il contenuto di ferro di alcune di queste carni è equiparabile a quello delle carni bovine, così come il quantitativo di proteine e di aminoacidi essenziali; invece a loro favore ci sono da mettere in conto la ridotta quantità di grassi, di cui una buona parte insaturi, e la digeribilità, dovuta anche alla ridotta lunghezza delle loro fibre muscolari che ne favorisce la masticabilità. I grassi sono contenuti in maniera prevalente nella pelle, per cui basta toglierla per ridurne l’assunzione anche se un po’ a scapito della palatabilità. In sintesi, quindi, le carni bianche sono un’ottima alternativa alle carni rosse ed un’ottima scelta in cucina perché

  • sono ricche di proteine e povere di grassi, soprattutto se consumate senza pelle;
  • sono una buona fonte di vitamine e minerali, come il potassio, il fosforo e il ferro;
  • sono facili da digerire e ben tollerate anche da chi ha problemi di stomaco;
  • sono ideali per chi segue una dieta ipocalorica o ipolipidica;
  • possono essere preparate in molteplici modi, offrendo una vasta gamma di gusti e ricette.

In Italia, la produzione di carne avicola è regolamentata da norme che garantiscono la qualità e la sicurezza alimentare. Ciononostante, sulle nostre tavole giungono ormai quasi esclusivamente carni avicole provenienti da allevamenti a carattere industriale e sono poche in percentuale le persone che hanno la possibilità di nutrirsi con carni di animali allevati in modo tradizionale, ingenerando in molti la nostalgia di sapori “di un tempo”. In realtà, tra i due tipi di carni ci sono differenze ma non sostanziali, dipendenti più che altro dai mangimi usati e dal tempo di crescita.

Gli animali allevati sono quasi sempre di due razze ibride selezionate per la produzione industriale e nutriti a ciclo continuo con mangimi a base di mais, soia e sostanze proteiche; questo fa sì che in soli 35 giorni gli animali raggiungano un peso di circa 2 kg, per cui nelle loro carni è proporzionalmente maggiore la quota di acqua e minore quella di proteine e di grassi (circa il 2%) con un sapore piuttosto omogeneo.

Gli animali da cortile in linea di massima non sono di razze selezionate, vengono nutriti con mais e fibre e crescono in tempi più lunghi, questo determina che le carni siano più saporite e consistenti, ma perché contengono più grassi e sono più vecchie: a miglior gusto non corrisponde migliore qualità alimentare.

Gli animali da allevamento per carni avicole sono di specie diverse, più numerose di quelle da cortile così che è possibile avere prodotti differenziati con diverse possibilità alimentari.

Vengono allevate: anatra, fagiano, faraona, oca, pollo, quaglia, struzzo, tacchino.

Negli ultimi periodi sulla scena mondiale si è prepotentemente manifestato il fenomeno dell’influenza aviaria, detta anche l’influenza dei polli, che ha sconvolto quelle che erano le abitudini alimentari degli Italiani. Si è creata molta confusione mediatica, per cui una virosi degli animali viene già data per modificata a virosi umana e le carni avicole fatte diventare veicolo d’infezione: tutto questo, anche se non è dimostrato, ha creato inutile allarmismo e danni all’economia. Le caratteristiche del virus sono tali che carni di volatili uccisi non possono trasmettere il virus all’uomo, anche se questa evenienza, in particolari situazioni, è possibile con gli uccelli vivi. Sino ad ora si è trattato di un numero di casi veramente limitato, rispetto le innumerevoli possibilità di contatti tra uomo e animale che si hanno in allevamenti intensivi di Paesi, in cui le condizioni sociali, economiche e igieniche sono del tutto differenti dalle nostre e qualitativamente molto inferiori.

Il Ministero della Salute e il CCM – Centro nazionale per la prevenzione e il Controllo delle Malattie – in accordo con l’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità – hanno reso noto che il famigerato virus A/H5N1 è in grado di sopravvivere per 4 giorni a 22° C e più di 30 a 0° C, mentre viene rapidamente distrutto ad appena 70° C. Da questi dati si può facilmente evincere che la usuale cottura è condizione sufficiente a eliminare la possibilità di contagio, anche nel caso di utilizzo di carni provenienti da animali eventualmente infetti: l’influenza aviaria non si trasmette tramite alimenti cotti! C’è da aggiungere che in Italia i controlli veterinari sugli allevamenti sono metodici e in questo periodo ancora più scrupolosi, se possibile. Un Medico Veterinario Ufficiale controlla gli animali da vivi e da macellati, prima dell’immissione in commercio, così come controlla l’igienicità dei locali, dei mezzi e delle attrezzature di trasporto. Soltanto dopo avere escluso la possibilità della presenza di segni riconducibili all’influenza aviaria, così come di altre malattie pericolose per l’uomo, viene rilasciato l’attestato di sanità – il bollo – e compilata l’etichetta che, voluta dal Ministero della Salute, indica al consumatore le caratteristiche del prodotto e della sua qualità.

Anche se ci sono tutte le condizioni per essere tranquilli del consumo di carni avicole è buona norma attenersi alle regole seguenti:

  • leggere con attenzione l’etichetta per verificare che sia presente la sigla it (“pollo italiano”) seguita da un codice in cui c’è la sigla della provincia italiana: questo vuol dire pollo nato, allevato e macellato in italia.
  • controllare la temperatura di conservazione consigliata che le aziende più attente indicano ai consumatori.
  • collocare subito, in ogni caso, la carne nel frigorifero o nel freezer, evitando di lasciarla a temperatura ambiente.
  • separare nel frigo la carne cruda dai cibi cotti per evitare contaminazioni incrociate.
  • assicurarsi che la cottura della carne sia completa.
  • lavarsi accuratamente le mani dopo aver toccato carne cruda.
  • lavare sempre con il sapone gli utensili da cucina.

Queste sono norme valide per qualsiasi alimento, non soltanto per le carni avicole, e per sempre, non soltanto in caso di sospette infezioni.

Purtroppo i polli che oggi si portano in tavola sono quasi tutti “polli broiler”, basti pensare che, in Italia, il 98% dei polli allevati sono broiler.

Broiler è il termine usato per indicare un pollo comune che sia stato selezionato geneticamente e allevato esclusivamente per produrre carne, ed è il nome tecnico dei pulcini destinati all’allevamento da carne; vengono chiamati anche polli da carne e possono essere per sesso femmine o maschi. E, fin qui, niente di particolarmente strano: il problema è che il pollo broiler viene “forzato” a una crescita che ha poco o nulla di naturale.

La selezione genetica messa è stata prodotta per ottenere una crescita accelerata di petto e coscia, qualcosa che porta ai volatili enormi sofferenze; ulteriori incroci genetici hanno consentito di ottenere polli a crescita rapidissima (maggiore del 400% rispetto ai polli allevati con i metodi tradizionali), così da soddisfare la richiesta di carne.  Ad esempio, un animale allevato tradizionalmente, a 4 mesi di età arriva a pesare 1,2 kg, massimo 1,5 kg; il pollo broiler, in appena 45-50 giorni di vita, arriva a pesare quasi 3 kg. Questo tipo di polli, o forse sarebbe meglio chiamarli pulcini giganti, vive fra i 40 e i 60 giorni. Questo comporta per loro una serie di sofferenze atroci, prima di arrivare alla morte, ma permette all’uomo di mangiare carne di pollo a prezzi decisamente stracciati.

Inoltre, i polli broiler vengono allevati in capannoni sovraffollati (considera una superficie inferiore a un foglio A4 per ogni pollo) in cui sono stipati centinaia e centinaia di polli, che convivono fra loro e con gli stessi escrementi che producono: l’aria diventa irrespirabile, perché il capannone non viene pulito se non alla fine del ciclo di vita. La crescita accelerata, favorita da mangimi ultra energetici, fa sì che le zampe di questi esemplari non riescano a sorreggere il loro peso, cosa che impedisce spesso agli stessi polli di spostarsi per bere e mangiare e causa fratture e rotture di ossa. Preda delle malattie anche se vengono vaccinati immediatamente, non vedono praticamente mai la luce del sole, ma vivono in una condizione di ventilazione e illuminazione forzate. Anche il ciclo luce – buio è programmato per poter spingere il più possibile la crescita dei polli.

E questo, nonostante la Direttiva europea 98/58/CE obblighi i Paesi membri a rispettare le disposizioni a tutela del benessere degli animali allevati e a evitare loro dolori, sofferenze o lesioni inutili (N.B. cosa decisamente disattesa da Paesi come il nostro).

Tralasciando l’enorme inquinamento provocato dagli allevamenti intensivi e la tragicità della vita di questi animali, le conseguenze del consumo di questo tipo di animali hanno un impatto importante anche sulla nostra salute. È stata la stessa EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare dell’Ue, a confermare, ormai diversi anni fa, che la carne di pollo è una delle cause principali dei casi di campilobatteriosi (infezioni da Campylobacter) nell’uomo: ma non è l’unica patologia, infatti anche la salmonellosi deriverebbe in gran parte dal consumo di questo tipo di carne. Per questo motivo non si dovrebbe lavare il pollo crudo prima di cucinarlo perché il risciacquo può causare la diffusione di batteri in cucina. La cottura completa elimina i batteri, quindi non è necessario lavare il pollo crudo per garantire la sicurezza alimentare.

In generale, è ormai chiaro come consumare prodotti da allevamenti intensivi come quelli dei polli broiler crei problemi alla salute umana. Il cibo prodotto con l’allevamento intensivo, infatti, possiede scarse capacità nutritive: la crescita accelerata e i metodi usati per produrre carne da allevamento intensivo fanno sì che sugli scaffali dei nostri negozi arrivino prodotti che hanno perso le loro proprietà originarie e che risultano scarsamente nutritivi. Può provocare resistenza agli antibiotici, ovvero quel fenomeno per cui i farmaci sono poco efficaci o non lo sono per niente. La maggior parte degli antibiotici ingeriti però proviene proprio dagli allevamenti intensivi: l’Italia è il terzo Paese europeo a farne il maggior uso, secondo i più recenti dati dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA).

Per fortuna, è possibile riconoscere (ed evitare di comprare) un pollo broiler.

Affidarsi a un macellaio di fiducia, che ci fornisca informazioni sulla provenienza, nonché sui metodi di allevamento, delle sue carni è sempre la cosa migliore: ma per coloro che non hanno questa possibilità, come fare a riconoscere una carne di qualità al supermercato? Purtroppo i polli broiler non hanno un marchio che li metta in “evidenza” rispetto ad altri polli, ma ci sono degli elementi da osservare per evitare questo tipo di acquisti.

Per prima cosa, bisogna leggere attentamente l’etichetta, dove sono riportati varie informazioni: oltre a taglio, peso, data di scadenza, provenienza e le eventuali certificazioni fra cui “a lenta crescita”.

Preferisci sempre animali allevati con metodo biologico, ove possibile, o provenienti da allevamenti all’aria aperta, liberi di muoversi e alimentati con cibi sani.

Se lo compri intero osserva le dimensioni di petto e cosce: devono essere proporzionati al resto del pollo e non eccessivamente grandi.

Un petto molto gonfio e largo è il segnale che si tratta di un pollo allevato intensivamente. Caratteristiche le “white stripes”, strisce bianche dovute a miopatie, ovvero alcune fibre muscolari del petto si necrotizzano e, anziché essere composte da muscolo, sono composte da altre fibre e grasso. La presenza di macchie nere sulle zampe, gli “hock burns”, indica lesioni di dermatiti da contatto, originate dal fatto l’animale essendo troppo pesante non riesce a muoversi, e quindi sta accucciato con il garretto appiccicato sulla lettiera, o perché la lettiera è troppo umida o solida. Il fatto che la carne abbia delle strisce bianche o ci siano dei segni sulle zampe non vuol dire però che il pollo non sia sicuro da un punto di vista alimentare. Il discorso ovviamente cambia se si pensa al benessere animale.

Il peso è un elemento fondamentale: i polli di allevamento di alta qualità dovrebbero avere un’età compresa fra i 3 e i 4 mesi di vita e un peso che va dal kg al 1,4 kg. Il pollo ruspante, invece, dovrebbe pesare fra 1,2 kg e i 2 kg.

La carne deve essere soda, rosea (o tendente al giallo nel caso dei polli ruspanti) ed elastica al tatto: verifica che si può fare solo dopo averlo comprato.

Un’altra verifica che puoi fare mentre lo cucini è la quantità di acqua che perde: se le sue dimensioni si riducono di circa la metà puoi essere abbastanza sicuro che quella carne non viene da un allevamento estensivo (e decidere quindi di rivolgerti ad altri commercianti per i prossimi acquisti).

Per chi ancora lo ricorda: Il pollo ruspante vive all’aperto, in libertà, senza limitazioni di spazio e con accesso costante a spazi esterni; si nutre di granaglie di qualità, spesso mais e grano, integrati da ciò che trova razzolando come erba, insetti e piccoli invertebrati. Questo conferisce alla carne maggiore consistenza, un sapore più intenso e aromatico, un colore giallastro (a differenza del pollo di allevamento intensivo che tende ad essere più rosato), grazie alla sua attività fisica e al suo sviluppo muscolare più completo. La pelle può essere più spessa ed ha una minore quantità di grasso rispetto al pollo di allevamento intensivo.

Redazione amaperbene.it

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