Ambiente

Le microplastiche dentro di noi

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Da oltre un secolo l’uomo ha acquisito la capacità di produrre materie plastiche dalla lavorazione dei carburanti fossili, la produzione e lo sviluppo di migliaia di nuovi prodotti in plastica ha avuto una crescita dopo la Seconda guerra mondiale, trasformando e caratterizzando in modo profondo la nostra società.

Allo stato non esiste settore dell’attività umana che non sia stato influenzato da oggetti in plastica: dalla medicina, alle automobili, aerei, dispositivi di ogni tipo che hanno reso più facile le nostre vite. Dall’altra parte, il prezzo che stiamo pagando e dovremo pagare per questo diffuso uso della plastica è sempre più gravoso ed insostenibile: abbiamo superato tutti i limiti per cui occorrono interventi urgenti.

Cifre da paura

  • 460mln di tonnellate di plastica sono state prodotte nel 2019 (nel 2000 era di 234 milioni di tonnellate; allo stesso modo la produzione di rifiuti è più che raddoppiata ed ha raggiunto le 353 milioni di tonnellate).
  • solo il 9% dei rifiuti di plastica sono stati effettivamente riciclati (rapporto OCSE), il 19% sono stati inceneriti e circa 50% sono finiti in discariche controllate. Il restante 22% è stato abbandonato in discariche selvagge, bruciato a cielo aperto o gettato nell’ambiente.
  • 8mln di tonnellate di rifiuti di plastica finiscono ogni anno negli oceani (53 mila tonnellate solo nelMar Mediterraneo; si stima che nel Mediterraneo attualmente stiano galleggiando circa 4.000 tonnellate di plastica)
  • 700 specie sono state interessate da fenomeni di inquinamento di materie plastiche

Questi allarmanti ritmi di produzione, così come la persistenza ambientale che caratterizza questo materiale e che rende la plastica una seria minaccia ai confini planetari – serie di confini che definiscono i limiti ambientali entro i quali l’umanità può operare in sicurezza – si traducono allo stesso tempo in un aumento sempre più forte della nostra esposizione a questi polimeri. Siamo letteralmente circondati in ogni ambiente in cui ci troviamo da plastica e polimeri di ogni genere.

L’inquinamento da plastica

L’inquinamento causato dalla plastica consiste nella dispersione e nell’accumulo di materie plastiche nell’ambiente, il che causa problemi all’habitat di fauna e flora selvatica, oltre che a quello umano. Tale tipo di inquinamento può interessare l’aria, il suolo, i fiumi, i laghi e gli oceani.

Un problema da affrontare e risolvere urgentemente  

L’inquinamento da plastica è da tempo uno dei problemi ambientali più urgenti da affrontare e risolvere, sia per la gravità del problema, sia perché è stato ignorato per troppo tempo, sia perché non è mai stato affrontato con la dovuta energia.

Negli ultimi decenni la produzione e il consumo di oggetti in plastica ha visto una crescita esponenziale, nonostante alcuni pallidi tentativi di limitarne la produzione e l’uso; per non ricordare che vi sono Paesi (Asia e Africa) poco sensibili alla problematica, dove i sistemi di raccolta dei rifiuti sono pressoché inesistenti o del tutto inefficienti.

Ciò ha causato la formazione negli oceani di ampie aree di rifiuti di plastica galleggianti, la cosiddetta “zuppa di plastica”. Si sono create aree grandi o isole di plastica tra cui:

  1. Pacific Trash Vortex

È l’isola di plastica più grande al mondo, nel bel mezzo dell’oceano Pacifico ed è grande 3 volte la Francia con circa 3 milioni di rifiuti galleggianti.

  1. South Pacific Garbage Patch

È grande 8 volte l’Italia e si trova al largo del Perù e del Cile.

  1. North Atlantic Garbage Patch

Si trova in Oceano Pacifico e conta più di 200.000 rifiuti per chilometro quadrato. Scoperta già nel lontano 1972.

  1. South Atlantic Garbage Patch

Si estende per 1 milione di km2 e si trova tra l’America del Sud e l’Africa meridionale. Si muove al passo della corrente oceanica sud atlantica.

  1. Indian Ocean Garbage Patch

Un’estensione di oltre 2 km e una densità di 10 mila detriti per km2, è stata localizzata nell’Oceano Indiano.

  1. Artic Garbage Patch

È la più “piccola” ma sta crescendo. Vicina al circolo polare Artico, nel mare di Barents, si sta ingrandendo giorno dopo giorno con i rifiuti provenienti da Europa e coste del Nord America.

L’inquinamento è globale

Purtroppo questi rifiuti di plastica galleggianti rimanendo nell’ambiente degradano, riducendosi gradualmente in particelle sempre più minute, prima microplastiche[1]  e quindi nanoplastiche, che poi si diffondono ovunque, in tutto il pianeta.

Con microplastiche si intendono tutti i frammenti più piccoli di 5 mm che possono originarsi direttamente in mare, in seguito alla degradazione di plastiche più grandi, essere prodotte dall’industria (come i pellet, agenti esfolianti o additivi di saponi, creme, gel, dentifrici, ecc.) oppure essere generate accidentalmente, per esempio, dalla polvere dei pneumatici o dall’uso e lavaggio di indumenti in fibre sintetiche.

Pur essendo “micro” esse hanno un enorme impatto sulla vita marina e non solo: infatti sono ingerite dagli animali marini ed entrano così nella rete alimentare, arrivando a un gran numero di specie animali e all’uomo stesso.

La plastica in mare, inclusi i frammenti più microscopici, oltre a contenere già additivi e sostanze potenzialmente nocive, si comporta come una spugna e assorbe dall’acqua i contaminanti presenti, come per esempio pesticidi e ftalati, che poi rilascia nello stomaco dell’organismo che la ingerisce. Il 78% di questi contaminanti è tossico, e si accumula nei tessuti animali.

La presenza di microplastiche e nanoplastiche è stata riscontrata dappertutto: dalla cima all’Everest e ai ghiacci dell’Artico, alla Fossa delle Marianne, il punto più profondo della Terra, nel cuore dell’Oceano Pacifico. Ma, cosa ancor più preoccupante, è la loro presenza negli alimenti come pure nel sangue e nei polmoni degli esseri umani.

Nel 2020, il Biodesign Center for Environmental Health Engineering dell’Arizona State University (ASU) ha confermato che “frammenti microscopici di plastica si sono stabiliti in tutti i principali organi di filtraggio del nostro corpo”: i ricercatori hanno trovato prove di contaminazione da plastica in campioni di tessuto prelevati da polmoni, fegato, milza e reni di cadaveri umani donati. Infine va ricordato che le micro e nanoplastiche sono state individuate anche nella placenta delle donne in gravidanza e passano nei feti rapidamente attraverso i polmoni, nel cuore, il cervello e altri organi.

Gli effetti sulla salute dovuti all’esposizione umana alle microplastiche non sono però ancora noti.

Una preoccupazione crescente

Non sono solo le foto di balene, albatros e tartarughe marine con gli stomaci pieni di plastica, o le tante isole di plastica che raccolgono rifiuti da tutto il mondo. La plastica è entrata nella catena alimentare e sta invadendo il nostro corpo.

Secondo uno studio condotto da un gruppo di scienziati dell’Università di Newcastle e diffuso poi dal WWF, in media, ogni settimana, ciascuno di noi ingerisce cinque grammi di plastica (in pratica, è come se mangiassimo una carta di credito intera ogni sette giorni); i grammi diventano una ventina in un mese, e ben 250 grammi in un intero anno. Una ricerca della American Chemical Company pubblicata nel 2019 ha calcolato che l’americano medio mangia, beve e respira più di 74.000 particelle di microplastica ogni anno.

Effetti sulla salute

Circa gli effetti sulla salute imputabili all’ingestione di plastica, soprattutto gli effetti a lungo termine, questi ancora non si conoscono: è molto probabile però che il rischio per la salute possa essere più importante di quanto non sia attualmente compreso.

Le ricerche attuali hanno dimostrato che oltre un certo livello di esposizione, l’inalazione di fibre di plastica sembra produrre una infiammazione delle vie respiratorie. Negli animali marini, maggiori concentrazioni di microplastiche nei loro apparati digestivo e respiratorio può portare a morte prematura. E ormai è cerca la tossicità per le cellule polmonari, il fegato e le cellule cerebrali.

Non bisogna dimenticare che la plastica origina da combustibili fossili tra cui petrolio e gas naturale. E migliaia di sostanze chimiche, a seconda del prodotto, vengono utilizzate per renderlo più duro, più morbido o più flessibile. Queste sostanze chimiche includono bisfenoli, come il bisfenolo A (BPA) e ftalati, che possono fluire o filtrare negli alimenti a contatto con la plastica, specialmente quando quella plastica è riscaldata. Sostanze chimiche e additivi con potenziali effetti sulla salute umana.

Da dove arriva tutta la plastica che mangiamo

Purtroppo, gli scienziati dell’Università di Newcastle hanno constatato che la principale fonte di ingestione di plastica è proprio l’acqua potabile. Tutte le acque – quelle sotterranee, le acque superficiali, l’acqua del rubinetto e l’acqua in bottiglia – sono contaminate da microplastiche, in tutto il mondo.

Le bottiglie PET (la sigla PET sta per polietilene tereftalato: si tratta di una materia sintetica che trae origine dalla famiglia del poliestere e realizzata con petrolio, gas naturale o materie prime vegetali) sono dannose anche per la nostra salute perché rischiano di contaminare l’acqua che beviamo con piccolissime particelle di plastica.

I nostri mari sono ormai contaminati dalla plastica, e di conseguenza lo è anche il sale. Una recente ricerca condotta su vasta scala e pubblicata da Environmental Science & Technology (16 ottobre 2018) ha rilevato la presenza di microplastiche in 36 dei 39 campioni di sale da cucina analizzati, provenienti da tutto il mondo, compresa l’Italia. Solo tre dei campioni non erano contaminati: un sale marino raffinato di Taiwan, un sale marino raffinato dalla Cina e un sale marino non raffinato in Francia. E la cosa più preoccupante è che l’indagine ha preso in esame non solo il sale marino, ma anche di miniera e di lago.

Per quanto riguarda gli alimenti, sono state rilevate elevate concentrazioni nei pesci, ma poiché le microplastiche sono presenti per lo più nello stomaco e nell’intestino, che di solito vengono eliminati, i consumatori non ne risultano esposti. Tuttavia, nel caso dei crostacei e dei molluschi bivalvi, come le ostriche, le vongole e le cozze, il tratto digestivo viene consumato, per cui si ha una certa esposizione. L’EFSA ha stimato che una porzione di cozze (225g) potrebbe contenere sette microgrammi di microplastica.

Infine, è stata riferita la presenza di microplastiche anche nel miele, nella birra e nel sale da tavola.

Le microplastiche e nanoplastiche vengono purtroppo trasportate anche dall’aria: ne sono state trovate tracce in luoghi impensati come i Pirenei, il Grand Canyon, l’Himalaya. Al momento però, le stime di inalazione rappresentano una percentuale trascurabile, ma possono variare notevolmente a seconda dell’ambiente, e a seconda della qualità dell’aria esterna e interna. I risultati mostrano che l’aria negli ambienti interni è più inquinata dalla plastica rispetto a quella esterna. Ciò deriva dalla limitata circolazione dell’aria all’interno, e dal fatto che i tessuti sintetici e la polvere domestica sono tra le più importanti fonti di microplastiche aerodisperse.

Alcuni consigli pratici per difendersi dalla plastica

Poiché è pressoché impossibile evitare di ingerire o inalare microplastiche, sicuramente possiamo cercare di limitare la quantità di plastica che introduciamo nel nostro organismo.

  • L’acqua delle bottiglie di plastica ha in media circa il doppio delle microplastiche dell’acqua del rubinetto, secondo uno studio del 2018 pubblicato sulla rivista Frontiers in Chemistry. Quindi, a meno che l’acqua del tuo rubinetto non sia contaminata da elementi pericolosi, come il piombo, probabilmente è meglio bere da lì. Puoi anche installare dei filtri: molti contribuiscono a ridurre ulteriormente i livelli di microplastiche.
  • Più un alimento è trasformato o confezionato, maggiore è il rischio che contenga sostanze chimiche dannose. Le lattine di cibo sono spesso rivestite con bisfenolo A (o composti simili). Acquista alimenti freschi e non processati, e per quanto possibile cerca di utilizzare contenitori riciclabili se il tuo mercato lo consente.
  • Attenzione ai contenitori per alimenti in plastica, che possono contenere sostanze chimiche potenzialmente dannose. Non conservare nulla in contenitori di plastica, molto meglio usare materiali come il vetro. E non riscaldare mai nella plastica: è noto che alcune materie plastiche riscaldate rilasciano sostanze chimiche negli alimenti.
  • Usa una padella o una teglia adatta al forno, o se stai cuocendo a microonde preferisci un contenitore di vetro.
  • Inoltre, evita di lavare oggetti di plastica in lavastoviglie, per non sottoporli a lavaggi ad alte temperature.

Quale futuro?

Immaginare un futuro libero dall’inquinamento da plastica non è però una sfida impossibile, se ognuno di noi offrisse il proprio piccolo contributo.

L’inquinamento da plastica è un problema che abbiamo creato noi e così come lo abbiamo creato, possiamo anche risolverlo. Il problema, come sempre, non consiste nel materiale o nell’oggetto, ma dell’uso che si fa di quell’oggetto.

In primo luogo occorre aumentare i nostri livelli di conoscenze fino a raggiungere la consapevolezza necessaria per diventare parte attiva ed affrontare il problema. Occorre allora continuare a far circolare il flusso di conoscenze e informazioni disponibili sull’argomento per sensibilizzare quante più persone possibili perché adottino comportamenti e stili di vita consoni.

Promuovere un uso non indiscriminato ma più consapevole della plastica non è insensato. Ad altri spetta il compito di intervenire legislativamente ed operativamente.

Riferimenti bibliografici

  • Dey TK, Uddin ME, Jamal M., Detection and removal of microplastics in wastewater: evolution and impact, 2021
  • Gasperi J, et al., Microplastics in air: Are we breathing it in?, Current Opinion in Environmental Science & Health, 2018
  • German Federal Institute for Risk Assessment (BfR), Department of Food Safety, Unit Effect‐based Analytics and Toxicogenomics Unit and Nanotoxicology Junior Research Group, Berlin, Germany, Shopova S, Sieg H, Braeuning A., Risk assessment and toxicological research on micro- and nanoplastics after oral exposure via food products, 2020
  • Leslie HA, van Velzen M.J.M., Brandsma SH, Vethaak A.D., Garcia-Vallejo J.J., Lamoree M.H.: Discovery and quantification of plastic particle pollution in human blood. Environment International, vol. 163, May 2022, 107199
  • Ragusa A., Svelato A., Santacroce C., Catalano P., Notarstefano V., Carnevali O., Papa F., Rongioletti M.C.A., Baiocco F., Draghi S., D’Amore E., Rinaldo D., Matta M., Giorgini E.: Plasticenta: first evidence of microplastics in human placenta. Environ. Int., 146 (2021), p. 106274, 10.1016/j.envint.2020.106274
  • Schymanski D, Goldbeck C, Humpf HU, Fürst P., Analysis of microplastics in water by micro-Raman spectroscopy: Release of plastic particles from different packaging into mineral water, 2018
  • Ugwu K., Herrera A., Gómez M.: Microplastics in marine biota: a review. Mar. Poll. Bull., 169 (2021), p. 112540
  • Van Cauwenberghe L., Janssen C.R.: Microplastics in bivalves cultured for human consumption. Environ. Pollut., 193 (2014), pp. 65-70, 10.1016/j.envpol.2014.06.010
  • Vethaak A.D., Leslie H.A.: Plastic debris is a human health issue. Environ. Sci. Technol., 50 (13) (2016), pp. 6825-6826, 10.1021/acs.est.6b02569

[1] L’EFSA definisce microplastiche le particelle di dimensioni comprese tra 0,1 e 5000 micrometri (µm), o 5 millimetri, per dare un’idea. Le nanoplastiche misurano da 0,001 a 0,1 µm (ossia da 1 a 100 nanometri).

Redazione amaperbene.it

AMAxBenE è l’acronimo di AliMentAzione per il BenEssere

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