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Tipi di risposta infiammatoria

Il killer silenzioso - p.3

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Si distinguono tre tipi di infiammazione:

  • l’infiammazione acuta è una risposta di breve durata (ore o giorni) a un danno o a un’infezione, con sintomi classici come dolore, rossore, gonfiore, calore e perdita di funzione.
  • l’infiammazione cronica è una reazione persistente (settimane, mesi o anni) causata da un’incapacità del corpo di eliminare l’agente infiammatorio o da un’esposizione continua a stimoli nocivi.
  • l’infiammazione cronica di basso grado è una forma di infiammazione cronica caratterizzata da livelli bassi ma costanti di infiammazione nel corpo, che può manifestarsi con sintomi sistemici più vaghi come stanchezza, disturbi del sonno e dolori diffusi, anziché con i segni locali tipici dell’infiammazione acuta.
  1. Infiammazione acuta: si attiva rapidamente in risposta a un danno immediato e dura per ore o giorni, fino a quando l’agente nocivo non viene eliminato e il danno riparato.

Inizia con la fase di riconoscimento dell’agente che ha causato la flogosi, attraverso recettori posti sulle cellule dell’immunità innata. Tra questi i TLR, i quali una volta attivati danno il via a un programma genetico pro-infiammatorio. Avendo un dominio TIR, questi recettori mediano una cascata di trasduzione pro-infiammatoria che ha come esito finale l’attivazione del complesso NF-κB, che è il principale meccanismo di regolazione trascrizionale alla base di un programma pro-infiammatorio. In questo complesso hanno un ruolo chiave le proteine P50 e P65, abitualmente legate a un inibitore chiamato IκB. Arrivato il segnale, una chinasi fosforila IκB con il conseguente distacco di P50 e P65; IκB verrà degradato da una proteasi, mentre le proteine andranno a migrare verso il nucleo dove si legheranno ai siti di consenso di NF-κB, inducendo l’attivazione di geni che codificano citochine infiammatorie, chemochine pro-infiammatorie, molecole di adesione e molecole costimolatrici che mediano la risposta immunitaria.

Un ruolo chiave è svolto dai neutrofili: attirati nella zona del trauma e stimolati dalle interleuchine-1Beta producono le prostaglandine E2 che inducono il dolore. La sintesi di prostaglandine è generata dall’enzima COX-2 ed è necessaria durante le prime fasi della rigenerazione del tessuto muscoloscheletrico; per questo motivo è molto importante, in fase acuta, evitare l’utilizzo di farmaci inibitori della COX-2 per un recupero ottimale.

Inoltre la membrana cellulare consiste in un doppio strato fosfolipidico che include acido arachidonico, un derivato del grasso Omega 6. Quando il tessuto è esposto a lesione l’enzima fosfolipasi A2 rilascia acido arachidonico dalla membrana cellulare, questo viene modificato dagli enzimi ciclossigenasi COX e lipossigenasi LOX in ecosanoidi infiammatori generatori di dolore; quindi più la dieta è ricca di cibi contenenti Omega 6 (carne e olio vegetali idrogenati) più la risposta infiammatoria sarà forte e più si genererà dolore.

In sintesi, dopo un evento traumatico, la fase infiammatoria acuta è necessaria al corpo e non dovrebbe essere inibita dai farmaci anti-infiammatori; nel caso il dolore sia insopportabile è meglio assumere un anti-dolorifico, e, appena possibile, non assumere farmaci.

  1. Infiammazione cronica: è una risposta che persiste per diverso tempo, può durare mesi o anni, è spesso associata a condizioni autoimmuni o a un danno persistente; può manifestarsi fin da subito come tale, oppure essere la conseguenza di un’infiammazione acuta. Possono favorire la comparsa di infiammazione cronica:
    • persistenza degli antigeni flogogeni in seguito a un’infiammazione acuta non completamente risolta;
    • ricorrenti episodi di infiammazione acuta; è possibile che gli agenti non siano raggiungibili dai sistemi di difesa, oppure che le sostanze litiche non siano in grado di digerirli;
    • presenza di patologie autoimmuni nelle quali il sistema immunitario attacca una parte dell’organismo sana in quanto la ritiene – erroneamente – nociva o dannosa (un esempio di patologia autoimmune caratterizzata da infiammazione cronica è l’artrite reumatoide).
    • alterazioni delle cellule responsabili della mediazione dei processi infiammatori a causa delle quali si verificano un’infiammazione persistente o infiammazioni ricorrenti.
    • esposizione costante e continua a bassi livelli di sostanze irritanti o materiali estranei che l’organismo non è in grado di eliminare (ad esempio, inalazione di polveri o sostanze in ambito lavorativo, ecc.).

A lungo andare, questa condizione infiammatoria può causare danni a tessuti ed organi, aumentando il rischio di svariate malattie croniche. L’infiammazione cronica non è una malattia in sé, bensì un processo attuato dall’organismo che si può associare a diverse condizioni e malattie fra cui: artrite reumatoide; lupus eritematoso sistemico; patologie cardiovascolari (ad esempio, malattie cardiache o ipertensione); patologie neoplastiche (l’infiammazione cronica può essere coinvolta in svariati tipi di tumore); diabete; obesità; allergie ed asma allergica; morbo di Alzheimer; malattia renale cronica; patologie polmonari come la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO)..

  1. Infiammazione cronica di basso grado o infiammazione cronica sistemica di basso grado (ICSBG): si tratta di una condizione patologica subdola, talvolta occulta per anni in cui i normali meccanismi dell’infiammazione rimangono erroneamente attivati e progressivamente logorano l’organismo. Per questo motivo, già nel Febbraio 2004, la rivista Time ha dedicato una copertina all’infiammazione silente (The Silent Killer)che uccide lentamente. Attualmente l’ICSBG viene coinvolta in diverse patologie differenti, spesso tipiche della “società occidentale”: sindrome metabolica; diabete, dislipidemie; malattie autoimmunitarie; alcuni tumori; dermatiti croniche come psoriasi, cellulite, lichen; allergie, intolleranze; malattia di Alzheimer, depressione; malattie cardiovascolari, infarto, ictus; artrite, osteoporosi, fibromialgia; malattie respiratorie croniche; invecchiamento precoce.

Pertanto, l’infiammazione acuta è un processo fisiologico e necessario, con cui l’organismo si difende ad esempio da un’infezione, da un trauma, ecc..; indipendentemente dalla causa scatenante, l’infiammazione acuta porta all’eliminazione dell’infezione, alla riparazione delle lesioni, più in generale al ritorno dell’organismo allo stato di salute di origine in un tempo più o meno breve ma ben delimitato nel tempo.

L’infiammazione cronica di basso grado, invece, è una situazione in cui i processi infiammatori sono stimolati in maniera cronica a bassi livelli, che alla lunga porta ad esaurimento del sistema immunitario. Non c’è la normale progressione biochimica e cellulare che si trova nell’infiammazione fisiologica, ma ci sono reazioni caotiche che si ostacolano vicendevolmente. Per lungo tempo possono non comparire sintomi ma avvengono piccole alterazioni a livello metabolico, immunitario ed endocrino che possono, alla fine, esitare in malattie anche gravi. Non esistono esami specifici per permettere di diagnosticare la ICSBG, ma è possibile sospettarla sulla base di una raccolta attenta della storia clinica del paziente: stile di vita, tipo di alimentazione, fattori di rischio, ecc…

Non esistendo esami specifici in grado di diagnosticare la malattia, è solo possibile sospettarla sulla base di una raccolta attenta della storia clinica del paziente, del suo stile di vita, tipo di alimentazione, ecc… Tuttavia alcuni segni e sintomi potrebbero indirizzare verso la diagnosi di infiammazione cronica: ritenzione idrica, difficoltà a perdere peso, stanchezza, cefalea, disturbi del sonno e dell’umore. Anche alcuni esami ematochimici potrebbero dare indicazioni utili: l’omocisteina, la lipoproteina A, il rapporto tra acidi grassi essenziali omega 3 e omega 6, l’emoglobina glicata, la vitamina D e naturalmente la colesterolemia, in particolare il rapporto tra LDL e HDL.

Rapporti tra alimentazione e infiammazione cronica sistemica di basso grado

Lo stile di vita e la composizione della dieta si sono dimostrati in grado di influenzare significativamente l’insorgenza dell’infiammazione cronica di basso grado. Ad esempio, l’assunzione di carboidrati a maggior indice glicemico (cioè digeriti, metabolizzati e assorbiti più velocemente) e di acidi grassi saturi sono associati ad un aumento dell’infiammazione sistemica. L’assunzione di fibra alimentare, acidi grassi polinsaturi w3 e monoinsaturi e carotenoidi è invece associata a bassi livelli di marker infiammatori circolanti. In numerosi studi osservazionali e in trial clinici, i pattern alimentari caratterizzati da un elevato rapporto tra acidi grassi insaturi e saturi, abbondante consumo di frutta, verdura, legumi e cereali, come nel modello alimentare mediterraneo, hanno mostrato effetti protettivi e preventivi verso l’infiammazione cronica di basso grado se confrontato con i modelli alimentari tipici del Nord America e del Nord Europa. E’ ormai assodato quindi che l’alimentazione “occidentale” porta ad una iper-produzione di insulina e contemporaneamente ad un aumento della insensibilità delle cellule alla sua azione (insulino-resistenza) a cui seguirà il diabete di tipo 2. Questo alterato meccanismo di utilizzo del glucosio si traduce in un aumento del tessuto adiposo. L’ipertrofia e iperplasia delle cellule adipose e l’aumento dei livelli di insulina circolante sono legati ad un aumento delle molecole pro-infiammatorie che mantengono acceso questo “fuoco silenzioso”.

Il perdurare di questo scompenso metabolico-ormonale, oltre a determinare una serie di disturbi aspecifici spesso ignorati, può condurre col tempo alle malattie descritte prima per alterazione del metabolismo, diminuzione delle difese immunitarie e sovvertimento della risposta infiammatoria. La genesi dell’infiammazione cronica di basso grado quindi è da ricondurre alla difficoltà di adattamento dei nostri sistemi di controllo a quello che è il diverso stile di vita dell’uomo “moderno”. I fattori pro-infiammatori sono quindi prevalentemente alimentari e, più in generale, legati ad uno scorretto stile di vita. Tenere sotto controllo questo stato infiammatorio silente, è la strategia più utile per mantenersi giovani.

Da sottolineare il ruolo svolto dalle fibre alimentari in una dieta volta a contrastare l’infiammazione sistemica perché esse sono in grado di modulare la composizione del microbiota intestinale grazie alla capacità di essere fermentate dai batteri intestinali e dare luogo alla produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA), come l’acido butirrico, che possiedono potenti proprietà antinfiammatorie e protettive. Un microbiota equilibrato contribuisce a mantenere l’omeostasi immunitaria e a ridurre il rischio di sviluppare malattie infiammatorie croniche. In particolare, le fibre solubili, presenti in alimenti quali avena, legumi e frutta, sono particolarmente efficaci nel promuovere la salute intestinale e nella modulazione della risposta infiammatoria. Le fibre alimentari non solo migliorano la salute intestinale, ma possono anche contribuire a modulare la risposta metabolica dell’organismo, perché possono migliorare la sensibilità all’insulina e ridurre l’infiammazione in soggetti con sindrome metabolica e diabete di tipo 2. In questo contesto, la fermentazione delle fibre da parte del microbiota intestinale e la conseguente produzione di SCFA sono fondamentali per esercitare un effetto antinfiammatorio sia a livello locale (intestinale) che sistemico.

L’influenza dei pattern alimentari sugli stati di infiammazione cellulare sistemica è certa ma complessa. Dal punto di vista della prevenzione primaria, modelli alimentari equilibrati e prudenti come la dieta mediterranea rimangono sicuramente un cardine per aumentare l’aspettativa di vita in buona salute.

Ovviamente, oltre alla dieta, numerosi altri fattori dello stile di vita giocano un ruolo fondamentale nella modulazione dell’infiammazione. L’attività fisica regolare è uno delle condizioni che più di tantissime altre contribuisce a migliorare l’insulino-sensibilità e quindi a migliorare in generale anche lo stato infiammatorio di basso grado. Parallelamente anche una buona qualità del sonno e una gestione efficace dello stress sono elementi cruciali per mantenere l’equilibrio del sistema immunitario e quindi per minimizzare l’infiammazione cronica.  I radicali liberi (ROS) prodotti da cellule attivate o da disfunzioni metaboliche possono a loro volta innescare percorsi infiammatori. Ad esempio, un eccesso di ROS attiva vie redox-sensibili come NF-κB e l’inflammasoma NLRP3, portando a ulteriore rilascio di citochine pro-infiammatorie. Si instaura così un circolo vizioso: l’infiammazione cronica genera ROS che danneggiano le strutture cellulari, e lo stress ossidativo risultante stimola ulteriormente le vie infiammatorie mantenendo attiva la risposta.

Ruolo del microbiota intestinale

Il microbiota intestinale, ovvero l’insieme dei microorganismi che popolano il nostro intestino, può causare infiammazione quando il suo equilibrio viene alterato; questa condizione viene chiamata disbiosi intestinale, che, in sostanza, si concretizza con l’alterazione dell’equilibrio tra batteri buoni e cattivi; allora i batteri pro-infiammatori possono proliferare. Inoltre un microbiota alterato può influire sull’integrità della barriera intestinale, permettendo il passaggio di sostanze nocive e scatenando una risposta immunitaria. Pertanto la disbiosi può portare alla produzione di sostanze che stimolano le vie infiammatorie all’interno dell’intestino.

Le cause della disbiosi intestinale includono:

  • Fattori alimentari e stili di vita
    • Dieta squilibrata: Un consumo eccessivo di zuccheri, grassi saturi e cibi raffinati o processati, unito a una carenza di fibre, può alterare la composizione del microbiota.
    • Abuso di alcol e fumo: Queste sostanze sono dannose per il microbiota intestinale, contribuendo alla riduzione della sua varietà e diversità.
    • Sedentarietà: Uno stile di vita sedentario può favorire la stagnazione delle feci e la proliferazione di batteri nocivi.
  • Fattori legati ai farmaci
    • Antibiotici: Un uso prolungato o inappropriato di antibiotici può distruggere i batteri “buoni” nell’intestino, causando squilibri nel microbiota.
    • Altri farmaci: Anche farmaci come antiacidi, lassativi e alcuni farmaci per la terapia del dolore possono contribuire alla disbiosi.
  • Altri fattori
  • Stress cronico: Lo stress può alterare la permeabilità intestinale e favorire l’infiammazione, influenzando negativamente il microbiota.
  • Infezioni e infiammazioni: Infezioni gastrointestinali e malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) possono danneggiare l’ecosistema batterico.
  • Fattori ambientali: L’esposizione a tossine, pesticidi, metalli pesanti e inquinanti può avere un impatto negativo sulla salute dell’intestino.
  • Variazioni ormonali e immunitarie: Anche squilibri ormonali o del sistema immunitario possono influire sull’equilibrio del microbiota intestinale.
  • Esposizione a tossine e inquinanti ambientali.

Conseguenze

  • Sintomi gastrointestinali: La disbiosi e l’infiammazione possono manifestarsi con dolore addominale, gonfiore, diarrea, stipsi e gonfiore addominale.
  • Malattie croniche: Possono essere un fattore scatenante o un fattore che aggrava malattie come le malattie infiammatorie croniche intestinali.

Obesità e sindrome metabolica

L’obesità non è solo accumulo di grasso: il tessuto adiposo in eccesso diventa metabolicamente e immunologicamente attivo, generando una infiammazione cronica di basso grado che promuove insulino-resistenza e aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2 e alcune neoplasie. Questa infiammazione dipende da processi locali nell’adiposo (ipertrofia adipocitaria, stress cellulare, morte cellulare e reclutamento di macrofagi pro-infiammatori) e da fattori sistemici (adipochine, citochine, endotossine intestinali).

L’obesità, soprattutto quella viscerale, è accompagnata da uno stato infiammatorio cronico di basso grado. Il tessuto adiposo in eccesso secerne citochine pro-infiammatorie (come TNF-α e IL-6) che contribuiscono allo sviluppo di insulino-resistenza.

Non a caso nei pazienti obesi si riscontrano spesso livelli elevati di proteina C-reattiva (marker di infiammazione sistemica) e un maggior rischio di diabete di tipo 2. Intervenire sullo stile di vita per ridurre il peso (dieta equilibrata e esercizio) aiuta a “raffreddare” questa infiammazione metabolica, migliorando anche i parametri clinici.

Artrite reumatoide (malattia autoimmune)

Nell’artrite reumatoide il sistema immunitario attacca erroneamente i tessuti articolari, causando un’infiammazione cronica dolorosa delle articolazioni, con dolore e gonfiore. L’infiammazione persistente è direttamente responsabile della degradazione della cartilagine e dell’erosione ossea tipiche di questa patologia.

L’inflammaging

L’inflammaging è un’infiammazione cronica e di basso grado che si verifica con l’avanzare dell’età, anche in assenza di infezioni. Il termine, coniato dall’immunologo Claudio Franceschi, unisce “inflammation” (infiammazione) e “aging” (invecchiamento) per descrivere un aumento dello stato pro-infiammatorio e una progressiva incapacità dell’organismo di affrontare fattori di stress. Questa condizione latente ma sistemica aumenta il rischio di malattie cronico-degenerative legate all’età, come patologie cardiovascolari, diabete, cancro e neurodegenerative, e può essere legata a fattori genetici, stili di vita e ambientali. Questo stato perennemente infiammatorio è caratterizzato dall’aumento dei livelli di citochine pro-infiammatorie come il TNF-α, l’IL-6, e la PCR, che contribuiscono al mantenimento di un’infiammazione sistemica di basso livello a lungo termine.

Il fenomeno dell’infiammazione cronica di basso grado è strettamente associato all’aumento dello stress ossidativo, il quale inevitabilmente accelera il processo di invecchiamento e contribuisce alla progressione di malattie croniche.

Caratteristiche principali

  • Infiammazione cronica di basso grado: A differenza dell’infiammazione acuta, l’inflammaging è un processo persistente e silenzioso, che non provoca sintomi evidenti.
  • Effetti sistemici: Nonostante la sua natura latente, l’inflammaging produce effetti su tutto l’organismo, coinvolgendo il sistema immunitario, la pelle e altri organi.
  • Associato all’invecchiamento: È un fenomeno che aumenta con l’età, collegato a un declino delle capacità omeostatiche dell’organismo e a un’alterazione delle dinamiche infiammatorie.
  • Fattori che contribuiscono all’inflammaging: l’invecchiamento indebolisce il sistema immunitario, rendendo l’organismo meno efficiente nel gestire le risposte infiammatorie.
  • Fattori di stress: L’esposizione a raggi UV, stress ossidativo e stili di vita non salutari possono innescare e alimentare questo processo.
  • Danni al DNA e disfunzione cellulare: L’accumulo di danni al DNA e la disfunzione di processi cellulari come l’autofagia contribuiscono all’infiammazione.

Conseguenze e rischi

  • Malattie croniche: L’inflammaging è considerato un precursore di diverse patologie associate all’età, tra cui malattie cardiovascolari, diabete tipo 2, cancro, sarcopenia e malattie cerebrali.
  • Vulnerabilità: Aumenta la fragilità nelle persone anziane e può influenzare negativamente la prognosi in altre malattie, come il COVID-19.

Strategie nutrizionali e integrative per ridurre l’infiammazione

Fortunatamente, esistono numerose strategie nutrizionali e rimedi integrativi per limitare o spegnere l’infiammazione cronica. Molte evidenze scientifiche hanno infatti dimostrato che modifiche nell’alimentazione possono ridurre l’infiammazione sistemica e mitigarne gli effetti. Nel dettaglio, sicuramente l’adozione di un regime dietetico ricco di alimenti antiossidanti e a basso contenuto di grassi saturi può modulare favorevolmente la produzione di citochine pro-infiammatorie, migliorando la qualità della vita dei soggetti affetti dallo stato infiammatorio cronico, specie nelle persone anziane.

Ecco alcuni consigli pratici basati sulle evidenze scientifiche:

  • Adottare uno stile di vita sano: praticare una moderata, costante attività fisica; evitare la sedentarietà; mantenere un peso forma accettabile; avere un sonno adeguato per qualità e quantità; imparare a gestire lo stress; eliminare fumo e alcol; evitare l’esposizione a tossine e metalli pesanti; cercare di vivere in ambienti salubri; adottare abitudini quotidiane che promuovono il benessere fisico e mentale; ecc)
  • Seguire un regime nutrizionale sano, equilibrato, vario e moderatoche fornisca all’organismo l’energia e i nutrienti necessari per funzionare al meglio, mantenendo un peso corporeo adeguato e prevenendo malattie; includere nella dieta abbondanti quantità di frutta e verdura di stagione, legumi e cereali integrali; scegliere cibi di qualità, privilegiando frutta e verdura di stagione, cereali integrali; limitare il consumo di zuccheri, grassi saturi e cibi processati; idratarsi sufficienza con l’acqua, evitando bevande edulcorate. È importante anche mantenere un aspetto psicologico positivo riguardo al cibo, senza vietarsi totalmente alimenti, ma consumandoli occasionalmente e in porzioni controllate.
  • Curare un’alimentazione sana, equilibrata, varia, ecosostenibile
  • Aumentare l’apporto di acidi grassi ”buoni”, in particolare i monoinsaturi e i polinsaturi (come gli omega-3 e gli omega-6), che apportano benefici cardiovascolari e all’organismo, mentre sono da moderare i grassi saturi e da evitare quelli trans. I primi si trovano in alimenti come olio d’oliva, avocado, pesce azzurro, frutta secca (noci, mandorle) e semi. Gli omega-3, presenti nel pesce azzurro, salmone, semi di lino, noci oppure integratori di olio di pesce, hanno effetti anti-infiammatori, in parte perché riducono la sintesi di eicosanoidi infiammatori e inibiscono l’attivazione del fattore NF-κB.
  • Consumare quotidianamente cibi ricchi di polifenoli e altre sostanze antiossidanti (frutti di bosco e verdure a foglia verde, tè verde, cacao, olio extravergine d’oliva, spezie come curcuma e zenzero, ecc.). Questi composti neutralizzano i radicali liberi e modulano favorevolmente i segnali infiammatori a livello cellulare (molti polifenoli sono infatti capaci di inibire NF-κB e ridurre la produzione di citochine pro-infiammatorie).
  • Assicurare un’elevata assunzione di fibre alimentari (da verdura, frutta, legumi e cereali integrali) nutre il microbiota “buono” nell’intestino. I batteri intestinali fermentano le fibre prebiotiche rilasciando acidi grassi a catena corta, che attenuano l’infiammazione e rinforzano la barriera intestinale.
  • Limitare il consumo di alimenti pro-infiammatori, come zuccheri, farine raffinate e grassi trans. Questi cibi, se consumati in eccesso, possono attivare le vie dell’infiammazione e aumentare lo stress ossidativo. È consigliabile sostituirli con carboidrati integrali e grassi sani (olio d’oliva, avocado, pesce, ecc.)

In conclusione, riconoscere l’infiammazione cronica come radice comune di molte malattie significa anche agire sulle cause profonde attraverso uno stile di vita sano e un’alimentazione mirata. Questo approccio olistico – promosso anche dalla medicina funzionale – mira a ottimizzare i processi di guarigione naturali del corpo.

Redazione amaperbene.it

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