Dal Mondo Vegetale

Petasites | Petasites officinalis Moench.

Il farfaraccio maggiore (nome scientifico Petasites hybridus (L.) Gaertn. & al., 1801) è una specie di pianta angiosperma dicotiledone della famiglia delle Asteraceae (sottofamiglia Asteroideae).

E’ una pianta erbacea perenne di grandi dimensioni, con grosso rizoma tuberoso strisciante da cui in primavera si sviluppa il fusto fiorifero, alto da 30 a 100 cm e senza foglie che appaiono soltanto al termine della fioritura; l’infiorescenza è un racemo allungato con brattee color porpora; i fiori, tra il rosa e il porpora, sono riuniti in capolini. Fecondati dalle api si trasformeranno in frutti pelosi che saranno diffusi dal vento. I fiori maschili, di circonferenza di circa un cm, sono grandi il doppio di quelli femminili che possono essere distinti anche dal peduncolo di maggiore lunghezza. Le foglie sono molto grandi, anche 80 x 40 cm., reniformi, di colore verdastro, lanuginose nella parte inferiore, margine irregolarmente dentato, lungo picciolo color porporino; fusto: scaglioso, cavo all’interno. La fioritura avviene in primavera. Predilige i terreni umidi fino a 1500 m s.l.m. Presente in quasi tutta l’Italia, in Europa, Asia Settentrionale ed Occidentale come pure in Nord America.

Il nome “petasite” è di origine greca e deriva da petàsos, un cappello a grandi falde usato dai viaggiatori, cacciatori e pastori del passato per coprirsi la testa e ripararsi dalla pioggia, alla cui forma richiamano le grandi foglie cuoriformi della pianta. L’epiteto specifico (hybridus = ibrido) probabilmente fa riferimento ad una possibile origine ibrida di questa specie. Mentre il nome comune (maggiore) sta ad indicare che questa specie è quella che raggiunge le dimensioni maggiori in altezza; l nome “farfara”, di origine latina, si riferisce a qualcosa che porta farina; la parte inferiore della foglia è infatti lanuginosa, come fosse cosparsa di farina.

Contiene la petasina e l’isopetasina, due potenti agenti vasodilatatori la cui attività in vitro si è dimostrata simile a quella della papaverina (tali sostanze sembrano inoltre capaci di inibire la sintesi di leucotrieni responsabili del processo infiammatorio che sta alla base dell’emicrania); contiene anche prodotti a base di zolfo, alcaloidi pirrolozidinici, flavonoidi, acido protocatechico, colina, cloruro di potassio, inulina, sinantrina, eliantenina, potassio, calcio e manganese.

Nella medicina popolare alla pianta vengono attribuite proprietà vulnerarie (guarisce le ferite), sedative (calma stati nervosi o dolorosi in eccesso), astringenti, bechiche (azione calmante della tosse), diaforetiche (agevola la traspirazione cutanea), cardiotoniche (regola la frequenza cardiaca) ed emmenagoghe (regola il flusso mestruale).

Gli estratti di farfaraccio sono stati utilizzati nella medicina popolare per curare la rinite allergica (febbre da fieno), l’asma, l’emicrania, i disturbi del tratto uro-genitale, del tratto gastro-intestinale e della colecisti, oltre che come spasmolitici. In particolare, negli ipertesi ed arteriosclerotici regola la pressione e stato di eccitazione psichica, mentre negli asmatici allevia lo stato di ansia. Azione regolare e sicura, ma non immediata. I rizomi sono leggermente più attivi delle foglie.

In cosmetica si possono applicare le foglie sul viso perfettamente pulito per combattere gli arrossamenti della pelle e come decongestionante.

In cucina, viene sconsigliato l’uso edule in quanto questa pianta contiene alcuni alcaloidi epatotossici (alcaloidi pirrolizidinici); tuttavia c’è chi consuma i gambi carnosi e sodi delle giovani foglie (piccioli) in insalata oppure passati al burro, lessati ed eventualmente mescolati con bietole, oppure al pari degli asparagi. In Lombardia si usa anche friggerli dopo averli leggermente infarinati oppure passati in una pastella preparata con uova, farina e latte. In Giappone si consumano arrostiti o in salamoia. Le ceneri della pianta possono sostituire il sale da cucina. Si consiglia sempre di farne un uso moderato.

Avvertenze: gli alcaloidi pirrolizzidinici hanno attività epatotossica-genotossica e carcinogenica pertanto la durata di utilizzo non deve superare le 4-6 settimane l´anno.

N.B. Questa pianta rientra nella lista del Ministero della Salute per l’impiego non ammesso nel settore degli integratori alimentari.

Redazione amaperbene.it

AMAxBenE è l’acronimo di AliMentAzione per il BenEssere

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