Pillole di Conoscenza

Sempre più persone perdono il diritto di curarsi, lo afferma Nino Cartabellotta, presidente del GIMBE

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Sono 45 i miliardi di finanziamenti che mancano al Fondo Sanitario Nazionale per raggiungere la media della spesa pro capite dei Paesi dell’area Ocse membri dell’Unione Europea. Quarantacinque miliardi di euro in meno che essenzialmente vogliono dire meno risorse con cui pagare il personale sanitario (sempre più carente, almeno nel reparto pubblico), meno risorse per ridurre le diseguaglianze territoriali, meno risorse per accorciare le liste di attesa. In poche parole: meno risorse per salvare il Sistema sanitario nazionale (Ssn).

Per raggiungere questo obiettivo, spiega il Presidente Nino Cartabellotta esponendo i risultati del 8° Rapporto di Fondazione Gimbe sulla salute del nostro Ssn, è necessario rifinanziare progressivamente il Fondo Sanitario Nazionale di circa 7 miliardi l’anno per i prossimi 10 anni. Una stima che, se dovesse essere confermata la promessa del ministro Schillaci, dovrebbe essere soddisfatta almeno per il 2026, quando ai 4 miliardi già stanziati per il Fsn se ne dovrebbero aggiungere altri 2,5. Ma non basta.

“Non si può ogni anno aspettare la legge di bilancio per sapere quanti soldi avrà la sanità”, spiega però Cartabellotta a HuffPost “ma è un patto politico che tutti i partiti dovrebbero fare insieme. Senza questo piano di rifinanziamento a lungo termine non è possibile fare programmazione sul personale, sull’organizzazione dei servizi, sulle tariffe, e di fatto con una coperta così corta che un anno si può allungare un po di più, un anno meno, si possono fare solo rattoppi e non una riorganizzazione e un rilancio del servizio pubblico”.

Risorse e riforme sono, infatti, secondo i dati estrapolati dal Rapporto Gimbe, i nodi intorno ai quali dovrebbe muoversi la politica. “Il Ssn è come una valanga che scivola sempre più a valle in assenza di interventi decisi che non sono soltanto quelli relativi al rifinanziamento, che deve essere fatto in maniera consistente e prolungata, ma anche quelle riforme decise, coraggiose e strutturali che non arrivano” commenta ancora Cartabellotta. “Di fatto continuiamo ad erogare l’assistenza sanitaria seguendo regole scritte 25/30 anni fa con una transizione demografica in corso e con una trasformazione digitale in atto che non riusciamo a sfruttare completamente”.

I risultati sono disuguaglianze, aumento della spesa privata, quantità sempre più alta di italiani che rinuncia alle cure. Nel 2024 la spesa sanitaria complessiva ha toccato i 185,12 miliardi di euro, di cui 47,66 miliardi pagati privatamente. Ben 41,3 miliardi di questi sono stati sborsati direttamente dalle famiglie, senza alcuna intermediazione assicurativa o mutualistica. La conseguenza è evidente: oltre 5,8 milioni di italiani hanno rinunciato a prestazioni sanitarie, il 9,9% della popolazione. Una cifra che sale fino al 17,7% in Sardegna. Una situazione aggravata dalla povertà crescente: nel 2023, 2,2 milioni di famiglie italiane vivevano in condizioni di povertà assoluta. “Quando la sanità diventa un lusso”, denuncia Cartabellotta, “viene meno il patto tra cittadini e Istituzioni. La salute non può dipendere dal reddito”.

Di fronte alla crescita della sanità integrativa Cartabellotta sottolinea che può funzionare solo se agganciata a un Ssn forte, “perché i dati che abbiamo rilevato dimostrano che anche i fondi stanno andando in difficoltà perché tutti i titolari di fondi, che sono più di 12 milioni di italiani, richiedono sempre più prestazioni non erogate dal pubblico. Ma il fondo come entità autonoma non ha tutta questa capienza economica, né può aumentare le quote degli iscritti. Perciò va bene la sanità integrativa se realmente integrativa, ma appoggiata a un servizio pubblico forte, perché un servizio pubblico debole si porta a fondo anche la sanità integrativa”.

Altro nodo è la carenza del personale sanitario e sociosanitario: i dati del Rapporto sembrano contraddire le tesi governative. I medici non mancano, anzi: con 315.720 medici attivi, pari a 5,4 per mille abitanti, il nostro Paese è secondo in Europa dopo l’Austria. Tuttavia, a causa di condizioni di lavoro sfavorevoli, tra cui si annoverano anche i compensi fra i più bassi d’Europa, molti medici abbandonano la sanità pubblica o scelgono l’estero: “Abbiamo rilevato una grande differenza tra i medici dipendenti e i convenzionati, quindi i medici di famiglia, pediatri, specialisti ambulatoriali. La priorità è di trattenere i medici nel servizio pubblico, non di sfornarne degli altri perché altrimenti rischiamo di utilizzare denaro pubblico per formare medici che non lavoreranno mai nel servizio sanitario nazionale”, spiega Cartabellotta a HuffPost. Al contrario, è drammatica la situazione degli infermieri: solo 6,5 ogni mille abitanti, contro una media Ocse di 9,5

“Difficile tracciare un orizzonte”, conclude il Presidente di GIMBE. “Ogni anno una fascia sempre più ampia di popolazione perde diritti e in assenza di un deciso cambio di rotta che è quello che noi stiamo cercando di portare avanti con quello che abbiamo chiamato un nuovo patto politico e sociale, si va nella direzione dello smantellamento del Ssn. Ci sono elementi che non hanno mai fatto della sanità uno strumento di ritorno elettorale. Si è preferito distribuire sussidi individuali che in qualche maniere hanno aumentato pensione e stipendi, ma questi soldi sono stati sottratti anche alla sanità e oggi i 30/40/50/100 euro in più in busta paga non servono per coprire le spese per una prestazione specialistica o per una visita”.

8° Rapporto GIMBE – https://www.gimbe.org/pagine/341/it/comunicati-stampa

Redazione amaperbene.it

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