Sempre più numerosi e sempre più giovani i pazienti affetti da qualche malattia neurodegenerativa
Pillole di conoscenza

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Secondo un nuovo studio, i cui dettagli della ricerca sono stati pubblicati su Nature Medicine, i pazienti affetti da qualche malattia neurodegenerativa saranno sempre di più e sempre più giovani. Ci si chiede quali siano le cause e come ridurre il rischio.
Le demenze sono un gruppo di malattie neurodegenerative che causano un declino progressivo della memoria, della concentrazione e del giudizio. A soffrirne nel mondo sono oltre 55 milioni di persone, di cui 1,2 milioni in Italia (nel 60-70 per cento dei casi si tratta di Alzheimer). Numeri destinati a triplicare entro il 2060, secondo le stime di una nuova ricerca della Johns Hopkins University e di altre istituzioni statunitensi. Una tendenza, secondo i ricercatori, legata al progressivo invecchiamento della popolazione.
La generazione più colpita sarà quella dei Baby Boomer (nati tra il 1946 e il 1964), che entro il 2040 avrà almeno 75 anni, un’età dopo la quale le diagnosi di demenza aumentano notevolmente (solo nel 17 per cento dei casi circa viene diagnosticata prima). Oltre all’invecchiamento, un alto rischio di demenza è legato anche a fattori genetici, così come a tassi elevati di ipertensione e diabete, obesità, diete non sane, mancanza di esercizio fisico e cattiva salute mentale. Quasi tutti fattori di rischio modificabili. “L’imminente aumento dei casi di demenza – hanno affermato i ricercatori – pone sfide significative per i responsabili delle politiche sanitarie, che devono riconcentrare i propri sforzi su strategie per ridurre al minimo la gravità dei casi, nonché su piani per fornire più servizi sanitari per le persone affette da demenza”.
La nuova ricerca si basa sui dati raccolti dall’Atherosclerosis Risk in Communities Neurocognitive Study” (ARIC-NCS), che dal 1987 al 2020 ha monitorato da vicino la salute vascolare e la funzione cognitiva di circa 16.000 partecipanti (di cui 1/4 di colore) man mano che invecchiavano. Dai risultati è emerso che il rischio di ammalarsi di demenza per le persone dopo i 55 anni è in media del 42 per cento (35 per cento negli uomini e 48 per cento nelle donne). Le donne anziane hanno un rischio complessivo più elevato di svilupparla nel corso della loro vita rispetto agli uomini anziani perché tendono a vivere più a lungo. E’ stato, inoltre rilevato un incremento del rischio del 50 per cento dopo i 75 anni. Rispetto alle stime fatte dagli studi precedenti, ci si ammala di più e prima. Le precedenti sottostime del rischio di demenza sono dovute, secondo i ricercatori, alla documentazione inaffidabile della malattia nelle cartelle cliniche e nei certificati di morte, e alla minima sorveglianza dei casi di demenza in fase iniziale.
Chi è più a rischio
Dai risultati è emerso anche una differenza nel rischio legato alla razza. Gli adulti di colore (1/4 dei partecipanti allo studio) hanno tassi di diagnosi significativamente più elevati e un esordio più precoce rispetto agli adulti bianchi. Pertanto, secondo le nuove stime, i casi tra gli adulti neri potrebbero addirittura triplicare entro il 2060. “Le disparità razziali nella demenza – hanno affermato gli autori – potrebbero riflettere gli effetti cumulativi del razzismo strutturale e della disuguaglianza durante tutto il corso della vita. Ad esempio, uno scarso accesso all’istruzione e all’alimentazione potrebbe contribuire a differenze precoci nella riserva cognitiva, e le disparità socioeconomiche e l’accesso limitato alle cure potrebbero portare a un carico maggiore di fattori di rischio vascolare a mezza età”. “Alla luce di questo – hanno continuato gli autori -, le politiche sanitarie dovrebbero intensificare gli sforzi nelle comunità nere per migliorare l’istruzione e l’alimentazione infantile, che secondo lui ricerche precedenti hanno dimostrato essere utili per scongiurare il declino cognitivo in età avanzata”.
Quanto influisce la genetica
I nuovi risultati hanno anche mostrato un rischio più elevato tra coloro che avevano una variante del gene APOE4 (tra il 45 per cento e il 60 per cento), che codifica per una proteina che trasporta il colesterolo e altri lipidi nel flusso sanguigno. Avere una certa variante di APOE4 è ritenuto il fattore di rischio genetico più importante nello sviluppo dell’Alzheimer a esordio tardivo. Gli anziani con due copie del gene avevano un rischio del 59 per cento di sviluppare demenza in età avanzata, rispetto al 48 per cento di quelli con una copia e al 39 per cento di quelli senza copie del gene.
“I risultati del nostro studio prevedono un aumento drastico dell’incidenza della demenza negli Stati Uniti nei prossimi decenni, con un americano su due che dovrebbe sperimentare difficoltà cognitive dopo i 55 anni – ha affermato il ricercatore principale dello studio ed epidemiologo Josef Coresh -. Un aumento in parte legato al fatto che un declino progressivo della funzionalità cerebrale si osserva spesso a partire dalla mezza età, che le donne in generale vivono più a lungo in media degli uomini e che circa 58 milioni di americani hanno ormai più di 65 anni”.
Perché sempre più persone si ammalano di demenza
Uno dei fattori chiave di questo aumento, secondo gli esperti, è l’invecchiamento della popolazione. Ma non solo. Ad aumentare il rischio è anche la combinazione di alcuni fattori tra cui mutazioni genetiche, familiarità e stile di vita. A questi poi si aggiungono alcuni fattori ambientali. In particolare, una recente ricerca della Facoltà di Medicina dell’Università Jiao Tong di Shanghai ha scoperto un legame tra aree con alti livelli di alluminio e fluoro nell’acqua potabile e un aumento del rischio di morire di demenza.
Un altro studio dell’Università di Uppsala e dell’Università di Umeå (in Svezia) ha invece dimostrato che tra le cause dell’Alzheimer e delle altre forme di demenza ci sarebbero anche alcuni virus come l’Herpes simplex di tipo 1 (HSV-1), responsabile dell’herpes labiale e di altre infezioni nella regione della bocca e del viso, e tra i virus più diffusi al mondo. Secondo i risultati della ricerca, chi è esposto a questo virus corre il doppio del rischio di sviluppare una sindrome associata al declino delle funzioni cognitive. Altri fattori che possono esacerbare il rischio sono, secondo i ricercatori del nuovo studio, l’isolamento sociale, il non mantenere ‘allenata’ la mente (ad esempio leggendo e studiando) così come la perdita dell’udito e malattie comuni alla stregua dell’ipertensione e altri disturbi cardiovascolari.
Come ridurre il rischio
Sebbene l’aumento dei casi di demenza a livello mondiale sia dovuto in gran parte all’età avanzata e a fattori genetici, gli esperti hanno sottolineato come una migliore gestione di determinati fattori di rischio legati allo stile di vita possa ridurre la probabilità di svilupparla. I risultati di questo e di altri studi indicano che le misure volte a prevenire le malattie cardiache, come il controllo della pressione sanguigna, del colesterolo cattivo e del peso, la prevenzione del diabete e della perdita dell’udito (collegata al rischio di demenza), smettere di fumare, seguire una dieta sana e avere cura della propria salute mentale possono prevenire la malattia.
“I dati accumulati dagli studi clinici hanno collegato comportamenti di vita sani, l’assenza di fattori di rischio vascolari e la riabilitazione dell’udito con risultati cognitivi migliorati – hanno affermato i ricercatori -. Tuttavia, solo circa il 20 per cento degli adulti statunitensi sta rispettando gli obiettivi raccomandati per lo stile di vita e la salute cardiovascolare e solo circa il 30 per cento degli anziani con perdita dell’udito sta utilizzando un apparecchio acustico”. Per affrontare questo problema, Coresh raccomanda un monitoraggio e dei test maggiori, e possibilmente anche programmi di assistenza governativi per supportare un udito sano tra gli anziani, incluso rendere gli apparecchi acustici più ampiamente disponibili e accessibili.
Per la diagnosi non bastano i test cognitivi
I nuovi criteri di diagnosi stabiliti dall’associazione no-profit Alzheimer’s Association invitano i medici che diagnosticano la malattia ad affidarsi ai biomarcatori (le proteine beta-amiloide e tau rilevate tramite esami di laboratorio o scansioni cerebrali) anziché a test cartacei di memoria e pensiero. L’obiettivo è individuare la malattia nelle sue fasi iniziali e più curabili, e a trattarla con i nuovi e pochi farmaci disponibili, come l’anticorpo monoclonale Donanemab, che mirano a rallentarne la progressione. “I risultati della nostra ricerca – hanno concluso i ricercatori – evidenziano un urgente bisogno di politiche che la prevenzione e l’invecchiamento per ridurre il peso sostanziale e crescente della demenza”.
Fang M, Hu J, Weiss J, Knopman DS, Albert M, Windham BG, Walker KA, Sharrett AR, Gottesman RF, Lutsey PL, Mosley T, Selvin E, Coresh J. Lifetime risk and projected burden of dementia. Nat Med. 2025 Jan 13. doi: 10.1038/s41591-024-03340-9. Epub ahead of print. PMID: 39806070.