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Povertà alimentare in Italia – il report di Azione Contro la Fame

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Il rapporto di Azione Contro la Fame – Atlante della fame in Italia riporta un quadro allarmante sulle condizioni di povertà alimentare in Italia, una questione che interessa 4 milioni di famiglie e spazia dall’aumento delle materie prime al legame con il lavoro nel paese. Quasi 3 milioni di famiglie non riescono a permettersi un pasto sano e adeguato con costanza e stabilità: porzioni più scarse, tagli a frutta e verdura e carenze proteiche sono spesso le soluzioni da mettere in atto per avere, comunque, un piatto a tavola.

«Deprivazione alimentare» è il termine utilizzato come indicatore di livello europeo, definisce la condizione di chi non può permettersi un’alimentazione adeguata, non riesce a procurarsi il cibo necessario al proprio sostentamento o non può permettersi di godere della convivialità di un pasto condiviso con amici e parenti almeno una volta al mese. Almeno il 15,9% degli italiani si è trovato in una di queste tre condizioni nel 2024, secondo i dati Istat, mentre l’11% ha patito deprivazione alimentare materiale, senza poter consumare un pasto proteico neppure ogni due giorni.

Il report indica come la vulnerabilità si acuisca quando le famiglie contino tre o più figli (16,6%), nuclei familiari con stranieri (14,7%), giovani sotto i 34 anni che vivono da soli (10,8%). Un dato rilevante è rappresentato dal titolo di studio: l’incidenza di povertà alimentare è di 6 punti percentuali più presente nei soggetti che hanno solo la licenza media (11,4%) rispetto a chi ha un diploma di laurea (5,2%). Nel sud, in particolare in Calabria, Sardegna, Molise e nelle Marche c’è una doppia fragilità costituita dalla bassa capacità di spesa per beni alimentari e dalla difficoltà diffusa e molto sentita dalle famiglie di accedere a un’alimentazione adeguata e regolare.

Ma il Nord non è da meno: a discapito della bassa percezione di insicurezza, c’è un altro rischio di povertà alimentare anche in Lombardia, Liguria, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna.

Il minimo comune denominatore, quindi, è la condizione di precarietà sociale ed economica: redditi bassi, costo della vita alto e condizione lavorativa precaria. La povertà alimentare è «il volto sempre più evidente della povertà lavorativa, che attraversa classi sociali e territori» si legge nel rapporto stesso.

Negli anni si sono messe in atto diverse soluzioni emergenziali per limitare il problema, ma non bastano e, soprattutto, non riescono a scongiurare le falle a monte che lo continuano ad alimentare.

Azione Contro la Fame menziona la Carta Dedicata a Te e il Reddito Alimentare, ma spiega come non siano una soluzione vera ed efficace: il dare una serie di viveri tra cui rigidamente le famiglie possono attingere senza permettere la scelta di consumo personale, indicando la sporadicità dei buoni per la spesa che il più delle volte sono erogati una tantum, e rimarcando come, in ogni caso, interventi di questo tipo necessitino di supporto su più fronti, come l’inserimento lavorativo quando manca, l’aumento dei salari e l’incremento di supporto sociali generali sono alcuni dei punti critici. Giulia Carlini, Advocacy Officer di Azione contro la Fame, spiega: «è emersa la stretta correlazione tra mense scolastiche e occupazione femminile, laddove sono più presenti questi supporti indispensabili per far fronte all’emergenza alimentare anche le donne, in questo caso madri, traggono enormi vantaggi, a riprova del fatto che la cura domestica è ancora a loro appannaggio».

Quattro le proposte concrete: «Serve il riconoscimento del diritto al cibo nella legislazione nazionale, un coordinamento stabile tra istituzioni attraverso un Tavolo permanente sul tema, percorsi personalizzati per i cittadini orientati all’autonomia e delle politiche del lavoro dignitose che garantiscano accesso anche ad una dieta sana, oltre alla pubblicazione di dati trasparenti per monitorare l’efficacia e copertura degli interventi» spiegano durante la presentazione del rapporto.

Redazione amaperbene.it

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