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Lo stato di salute del Sistema Istruzione in Italia secondo il rapporto OCSE

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Il rapporto “Education at a Glance 2025” dell’OCSE dipinge un quadro complesso del sistema istruzione in Italia, evidenziando progressi in alcuni settori e ritardi preoccupanti in altri. Solo un adulto su cinque, infatti, possiede una laurea, una percentuale che è la metà della media dei paesi più sviluppati e tra i giovani, i laureati sono solo il 30%. A peggiorare le cose, tra quei pochi laureati, appena uno su cinque ha scelto un indirizzo STEM (scientifico-tecnologico), settori fondamentali per l’innovazione. C’è poi una questione di riconoscimento: mentre negli altri paesi gli stipendi degli insegnanti sono cresciuti del 14% in quasi dieci anni, in Italia sono addirittura calati del 4%. Un dato positivo riguarda la riduzione della dispersione scolastica. Ma andiamo per ordine.

Il livello di istruzione rimane alto, ma persistono disuguaglianze nelle opportunità.

Innanzitutto l’OCSE fa rilevare che il livello di istruzione rimane alto, ma persistono disuguaglianze nelle opportunità. Con il 48% dei giovani adulti in possesso di una qualifica terziaria nei Paesi OCSE, il livello di istruzione non è mai stato così elevato. Tuttavia, la crescita del conseguimento di titoli terziari è rallentata a partire dal 2021. Tra il 2000 e il 2021, il tasso medio di istruzione terziaria tra i giovani adulti è aumentato di circa 1 punto percentuale all’anno nei Paesi OCSE, mentre dal 2021 l’aumento medio annuo è sceso a soli 0,3 punti percentuali. Le disuguaglianze nelle opportunità ostacolano alcuni studenti che trarrebbero beneficio da un’istruzione terziaria.

In tutti i Paesi, i figli provenienti da contesti svantaggiati hanno molte meno probabilità di raggiungere livelli elevati di istruzione rispetto a quelli provenienti da contesti più avvantaggiati. In media, nei Paesi OCSE solo il 26% dei giovani adulti i cui genitori non hanno completato l’istruzione secondaria superiore possiede una qualifica terziaria, rispetto al 70% dei giovani adulti con almeno un genitore in possesso di un titolo terziario.

Alcuni Paesi ed economie hanno fatto progressi nel colmare questo divario di opportunità. In Danimarca, il conseguimento di titoli terziari tra i giovani adulti i cui genitori non hanno completato l’istruzione secondaria superiore è aumentato di 20 punti percentuali dal 2012, raggiungendo il 49%, sopra la media OCSE tra i giovani adulti di tutti i contesti. Anche l’Inghilterra e la Comunità fiamminga del Belgio hanno registrato progressi nella riduzione del divario.

Accesso equo all’istruzione: un motore fondamentale per la mobilità sociale

Promuovere un accesso equo all’istruzione terziaria è essenziale per rafforzare la mobilità sociale, poiché il livello di istruzione si riflette direttamente sugli esiti occupazionali. Sebbene un diploma di scuola secondaria superiore offra una buona protezione contro la disoccupazione nella maggior parte dei Paesi, molti lavori altamente qualificati e ben retribuiti richiedono un titolo terziario. Gli adulti con una qualifica terziaria guadagnano, in media, il 54% in più rispetto a chi ha solo un diploma secondario. Anche tenendo conto dei costi dell’istruzione terziaria, il beneficio finanziario medio lungo l’arco della vita per chi consegue una qualifica terziaria supera i 300.000 dollari nei Paesi OCSE.
Il vantaggio salariale è particolarmente marcato per chi possiede un titolo di master o dottorato, che guadagna in media l’83% in più rispetto a chi ha solo il diploma secondario.
Per dare a tutti pari opportunità di accedere a questi lavori e promuovere la mobilità sociale, è essenziale spezzare il legame tra il background socio-economico e i risultati scolastici. In un momento in cui la carenza di competenze è diffusa in molti settori, ciò porterebbe anche benefici più ampi al mercato del lavoro aumentando la disponibilità di lavoratori qualificati.

Migliorare i tassi di completamento dell’istruzione terziaria

Garantire l’accesso all’istruzione terziaria non basta se gli studenti non completano i loro percorsi. Dati recentemente raccolti in oltre 30 Paesi OCSE e partner mostrano che solo il 43% dei nuovi iscritti ai corsi di laurea triennale si laurea entro la durata prevista del programma; questa percentuale sale al 59% con un anno aggiuntivo e al 70% con tre anni in più.
I tassi di completamento sono particolarmente bassi tra gli uomini: solo il 63% completa la laurea triennale entro tre anni oltre la durata prevista, contro il 75% delle donne.
Le cause dei bassi tassi di completamento sono molteplici: una scarsa corrispondenza tra aspettative degli studenti e contenuti dei corsi, una preparazione inadeguata alle richieste del programma, un supporto accademico e sociale limitato e ostacoli finanziari.
Le politiche per migliorare i tassi di completamento possono includere:

  • il rafforzamento della preparazione accademica e dell’orientamento nelle scuole superiori,
  • la progettazione di percorsi universitari con sequenze di corsi ben definite,
  • misure di supporto che guidino progressivamente gli studenti verso la laurea.

Inoltre, riconoscere le competenze acquisite, anche in caso di mancato completamento degli studi, può aiutare gli studenti a dimostrare ai datori di lavoro le proprie capacità. Questo renderebbe più utile anche un completamento parziale degli studi universitari.

Il deficit di competenze degli adulti

Nonostante l’aumento del livello di istruzione, tra il 2012 e il 2023, le competenze di alfabetizzazione e calcolo degli adulti nella maggior parte dei Paesi OCSE sono rimaste stagnanti o sono diminuite. Una parte significativa della popolazione adulta presenta competenze basse.

Tra gli adulti senza diploma secondario superiore, il 61% ha ottenuto un punteggio pari o inferiore al Livello 1 nell’indagine OCSE sulle competenze degli adulti, il che significa che riescono a comprendere al massimo testi brevi su argomenti familiariTra chi ha completato la scuola secondaria superiore, il 30% non supera il Livello 1, e anche tra gli adulti con titolo terziario, il 13% si colloca a questo livello.

Pertanto, nonostante questi progressi, dall’indagine emerge una realtà preoccupante: più di un italiano su tre tra i 25 e i 64 anni comprende solo testi brevi con vocabolario elementare. Si tratta del 37% della popolazione, ben sopra la media OCSE del 27%. Questo, che il Rapporto definisce come un basso livello di alfabetizzazione ha, come prevedibile, delle ricadute sulla vita quotidiana. Chi presenta queste carenze fatica a trovare un impiego qualificato, ha difficoltà nella gestione dei risparmi e nell’uso di internet. Il dato diventa ancora più pesante considerando che il 16% dei laureati italiani rientra in questa categoria, contro una media OCSE del 10%.

Questi risultati evidenziano che ampliare le opportunità educative non basta: i sistemi educativi devono anche garantire che gli studenti sviluppino le competenze necessarie per prosperare. I sistemi di istruzione terziaria devono quindi mantenere standard rigorosi pur ampliando l’accesso. Devono però adattarsi a una platea più diversificata di studenti, con percorsi educativi e aspettative professionali differenti. Ciò implica l’offerta di un’ampia gamma di competenze, comprese competenze pratiche avanzate. Per aiutare gli studenti a individuare i percorsi con i maggiori benefici, è necessario migliorare la comunicazione sulle competenze acquisite dai laureati.

La laurea è ancora un miraggio

Il panorama universitario dell’istruzione in Italia presenta alcuni deficit strutturali. Solo il 22% degli adulti tra 25 e 64 anni possiede una laurea, percentuale che sale al 30% tra i giovani ma resta distante dalla media OCSE del 50%. L’Italia si colloca agli ultimi posti in Europa, alla pari con l’Ungheria. Tra i giovani di 25-34 anni, solo il 32% ha completato un percorso universitario, contro il 40% della Germania e il 53% di Francia e Spagna. Particolarmente grave la situazione dei ragazzi da famiglie con basso livello di istruzione: solo il 15% consegue una laurea, contro il 63% di chi ha almeno un genitore laureato.

Poche lauree STEM e basse retribuzioni

Un aspetto critico riguarda la distribuzione delle lauree per settore. In Italia, oltre un terzo degli studenti si laurea in ambito umanistico o sociale (36% contro il 22% OCSE), mentre solo il 20% segue percorsi STEM. STEM è l’abbreviazione di Science (scienza), Technology (tecnologia), Engineering (ingegneria) e Mathematics (matematica); queste quattro discipline rappresentano settori fondamentali che si intersecano tra loro, promuovendo una comprensione approfondita del mondo che ci circonda e stimolando l’innovazione tecnologica. Il concetto, infatti, è stato creato per comprendere il gruppo di discipline necessarie per l’innovazione e la prosperità in un Paese.

In Italia, i laureati STEM rappresentano circa il 24-25% dei giovani tra i 25 e i 34 anni, con un tasso di occupazione elevato e in crescita, ma permangono significative disparità di genere: solo circa il 16-17% delle giovani laureate sono in questi settori scientifici e tecnologici, rispetto al 34-37% dei colleghi uomini.  Questa scarsità si riflette sui livelli retributivi: un laureato italiano guadagna solo il 33% in più di un diplomato, contro il 54% della media OCSE. Anche i docenti, sebbene in aumento, vivono difficoltà economiche. Dal 2015 la retribuzione reale degli insegnanti elementari è calata del 4,4%, mentre negli altri paesi OCSE è aumentata del 14,6%.

Non solo un problema di investimenti

Il sottoinvestimento nel settore educativo è una delle cause dei problemi evidenziati dal rapporto OCSE. L’Italia destina all’università e alla ricerca, tra pubblico e privato, solo l’1% del PIL contro una media OCSE dell’1,4%. Se si considera esclusivamente il settore pubblico, la percentuale scende addirittura allo 0,6%. Complessivamente, gli investimenti nell’istruzione Italia dal livello primario a quello terziario raggiungono il 3,9% del PIL, significativamente inferiore al 4,7% della media OCSE. Un gap finanziario che si traduce in minori risorse per l’innovazione didattica, l’aggiornamento delle strutture e il miglioramento delle condizioni di lavoro del personale scolastico.

Affrontare la carenza di insegnanti per rafforzare i sistemi educativi

Insegnanti altamente qualificati sono fondamentali per sistemi educativi performanti a tutti i livelli, ma la carenza di docenti rende difficile reclutare e trattenere personale ben formato. Anche se la maggior parte dei sistemi riesce ancora a coprire quasi tutti i posti vacanti, non sempre riesce ad attrarre i candidati più qualificati.

All’inizio dell’anno scolastico 2022/23, solo Austria, Paesi Bassi, Svezia e le Comunità fiamminga e francese del Belgio hanno riportato più del 2% di posti di insegnamento non coperti. Tuttavia, in media, quasi il 7% degli insegnanti della scuola secondaria nei Paesi OCSE non è pienamente qualificato, cioè non possiede tutte le credenziali richieste.
L’elevato turnover degli insegnanti complica ulteriormente il reclutamento. Nella maggior parte dei Paesi per cui sono disponibili dati, tra l’1% e il 3% degli insegnanti va in pensione ogni anno. Tuttavia, la percentuale di chi lascia la professione per altri motivi varia notevolmente: è influenzata non solo dalle condizioni di lavoro e dai contratti, ma anche dal contesto del mercato del lavoro e dalla cultura della mobilità professionale.
In Danimarca, Estonia e Inghilterra, circa il 10% degli insegnanti si dimette ogni anno, richiedendo un costante sforzo di reclutamento. Al contrario, in Francia, Grecia e Irlanda meno dell’1% degli insegnanti lascia annualmente la professione, il che garantisce maggiore stabilità, ma limita anche il ricambio del corpo docente. Attrarre insegnanti alla seconda carriera può contribuire ad alleviare le carenze, introducendo anche nuove competenze professionali

Gli insegnanti italiani sono pagati meno della media Ocse

Gli stipendi dei docenti italiani restano decisamente più bassi rispetto a quelli degli altri grandi Paesi europei. Una posizione poco lusinghiera che occupiamo da anni e che è stata peggiorata a causa dell’inflazione: gli insegnanti di scuola primaria, per esempio, nel 2024 hanno visto calare i loro salari reali del 4,4%. Confrontando i dati con quelli di nazioni europee come Germania, Francia e Spagna, l’Italia si conferma il Paese che paga peggio i suoi docenti. Una situazione che sembra influenzata anche dal basso investimento che l’Italia destina all’istruzione in generale: considerando le scuole di ogni ordine e grado, la nostra spesa è pari al 3,9% del Prodotto interno lordo, contro una media Ocse del 4,7%. I nostri docenti, tra l’altro, hanno retribuzioni ben al di sotto della media dei lavoratori laureati: il 33% in meno, mentre la forbice Ocse si ferma al 17%. Insomma, tra gli occupati con un titolo di studio terziario, i nostri professori sono quelli con le buste paga più basse. Soprattutto il confronto con la Germania resta impietoso: nel nostro Paese, lo stipendio medio di un anno nella scuola superiore è pari a 56.021 dollari, mentre è sopra i 73 mila dollari come media Ocse e supera i 100 mila dollari per gli insegnanti tedeschi. Alle medie si parla di 52.642 dollari contro i 70.578 dollari dell’Ocse.

Vale la pena ricordare che questi numeri non indicano lo stipendio effettivo dei nostri insegnanti convertito in dollari. Si tratta di cifre che i ricercatori Ocse ottengono confrontando i salari a parità di potere d’acquisto, quindi corretti per evitare la distorsione dovuta al diverso costo della vita nei vari Stati, e poi convertono appunto in dollari. Conviene quindi soffermarsi sulle proporzioni e non sui numeri in valore assoluto. Queste, per l’appunto, dimostrano come l’Italia è un Paese che non valorizza il mestiere di insegnante. L’Ocse stessa fa notare che un maggiore riconoscimento economico potrebbe rendere più attrattiva la professione e quindi innalzare anche il livello dell’insegnamento, ma ammette che l’incremento delle buste paga comporterebbe una spesa pubblica non indifferente, visto che il personale è la voce di costo più rilevante nel settore dell’istruzione.

Un ragionamento che calza a pennello nel dibattito nazionale, visto che i sindacati e il governo sono alle prese con il rinnovo del contratto collettivo della scuola. La trattativa è complicata perché Cgil e Uil sono contrarie alla firma per via dello scarso aumento offerto. Il contratto si riferisce al triennio 2022/2024, interessato da una fiammata inflazionistica che ha portato l’aumento dei prezzi attorno al 17%. Le risorse, 3 miliardi di euro, bastano per un ritocco di appena il 6%, come per gli altri comparti del pubblico impiego. Si tratta di circa 150 euro lordi in più al mese. Oltre a questi, il ministro Giuseppe Valditara ha promesso un fondo da 240 milioni aggiuntivi per un premio una tantum da 145 euro. Spera così di alleggerire la rigidità dei due sindacati riluttanti. L’obiettivo è anche far leva sulla promessa di partire sin dai prossimi mesi con le trattative per il rinnovo del triennio in corso.

Tornando ai dati Ocse, alcuni di questi aiutano anche a ragionare in modo più completo rispetto ad alcuni stereotipi che da sempre accompagnano il mestiere di insegnante: le lunghe vacanze estive e lo scarso numero di ore settimanali di lezione frontale. Se è vero che da noi la pausa è più ampia, è vero anche che noi abbiamo un numero di ore annue superiore alla media: nella primaria sono 917 (contro le 804 registrate dall’Ocse) e arrivano a 990 nella secondaria di secondo grado, per cui il dato medio Ocse si ferma a 909.

Finalmente un dato positivo: la dispersione scolastica sembra sotto controllo

La notizia più incoraggiante riguarda il calo della dispersione scolastica. Nel 2024 il tasso è sceso al 9,8%, permettendo di raggiungere con due anni di anticipo l’obiettivo del 10,2% fissato dalla Commissione europea nel PNRR. Le proiezioni per il 2025 sono ancora più ottimistiche, con un tasso stimato dell’8,3%. Il ministro Giuseppe Valditara ha sottolineato come questo risultato sia frutto di politiche mirate come l’iniziativa “Agenda Sud”, con interventi personalizzati per rispondere alle fragilità degli studenti nei diversi contesti territoriali. Altra buona notizia, è diminuita anche la dispersione implicita, ovvero l’impreparazione di chi arriva al diploma senza le competenze adeguate.

Redazione amaperbene.it

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