Disuguaglianza
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ISTAT – Noi Italia in breve 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo

Focus - Disuguaglianza

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L’ISTAT rende online la piattaforma web Noi Italia – 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo che contiene una selezione di indicatori per conoscere i diversi fenomeni dell’Italia (demografici, economici, sociali e ambientali), le differenze regionali che la caratterizzano e la sua collocazione nel contesto europeo.

Di seguito vengono riportati alcuni dati.

Popolazione

  • Al 1° gennaio 2024, con il 13,2% dei 449 milioni di abitanti dell’Unione europea (UE), l’Italia (59 milioni) si conferma tra i primi paesi per importanza demografica, dopo Germania (84 milioni) e Francia (68 milioni). Oltre un terzo dei residenti è concentrato in sole tre regioni: Lombardia, Lazio e Campania. Il lieve calo della popolazione registrato nel 2023 è stato compensato dalle dinamiche migratorie
  • Cresce l’indice di vecchiaia (+7 punti percentuali rispetto al 2023) con 57,6 persone in età non lavorativa ogni cento in età lavorativa
  • La speranza di vita alla nascita della popolazione residente italiana è di 81,4 anni per i maschi e di 85,5 per le femmine; il valore minimo della speranza di vita si ha in Campania, sia per i maschi (79,7 anni) sia per le femmine (83,8 anni).
  • In Italia, al 1° gennaio 2024 risiedono circa 5,3 milioni di cittadini stranieri, comunitari e non comunitari (112 mila in più rispetto all’anno precedente), che rappresentano l’8,9% del totale della popolazione residente. L’83,2% dei cittadini stranieri residenti in Italia si concentra nel Centro-nord. Il tasso di inattività (15-64 anni) per gli stranieri (30,6%) si conferma inferiore a quello degli italiani (33,7%).
  • Vivono nel 2023 in condizione di grave deprivazione materiale e sociale il 9,7% della popolazione residente nel Mezzogiorno (il 20,7% in Calabria), nel Nord-Est poco meno dell’1% degli individui.
  • Nel 2023, in Italia sono in condizione di povertà assoluta poco più di 2,2 milioni di famiglie (8,4% del totale delle famiglie residenti rispetto all’8,3% nel 2022), per un totale di quasi 5,7 milioni di persone (9,7%). I minori colpiti dalla povertà assoluta sono quasi 1,3 milioni, appartenenti a circa 748 mila famiglie. Gli stranieri in povertà assoluta sono oltre 1,7 milioni, con un’incidenza della povertà assoluta tra gli stranieri pari al 35,1%, valore di oltre quattro volte e mezzo superiore a quello degli italiani (7,4%).
  • Nel 2023, in Italia sono in condizione di povertà relativa oltre 2,8 milioni di famiglie (10,6% del totale delle famiglie residenti), per un totale di 8,4 milioni di persone (14,5%, in crescita rispetto al 14,0% dell’anno precedente). Nel 2023 l’incidenza della povertà relativa familiare è stabile in tutte le ripartizioni territoriali, mentre a livello individuale si registra un peggioramento nel Nord-ovest (10,1%, era il 9,0% nel 2022). Le regioni che registrano i valori più elevati dell’incidenza della povertà relativa familiare sono: Calabria (26,8%), Puglia (22,3%) e Campania (21,2%); mentre Trentino-Alto Adige/Südtirol (4,9%), Toscana (5,0%) e Veneto (5,2%) presentano i valori più bassi.

Giovani, istruzione e cultura

L’Italia continua a confrontarsi con una delle sfide più complesse del panorama europeo: i NEET (Not in Education, Employment or Training). Nel 2024, circa 2 milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni non studiano né lavorano, rappresentando il 15,2% della popolazione di questa fascia d’età, collocandosi al secondo posto in Europa.

La geografia dei NEET disegna un’Italia a due velocità: nel Mezzogiorno la percentuale raggiunge il 23,3%, più del doppio rispetto al Centro-nord dove si ferma al 10,7%. La disparità territoriale si riflette anche nel divario di genere, con le ragazze più colpite dal fenomeno (16,6% contro il 13,8% dei coetanei maschi). Parallelamente, l’abbandono scolastico precoce si attesta al 9,8% tra i giovani di 18-24 anni, con il Mezzogiorno che sale al 12,4% e i ragazzi che lasciano gli studi con frequenza maggiore rispetto alle coetanee (12,2% contro 7,1%).

Il fenomeno NEET non rappresenta solo una perdita di capitale umano, ma genera conseguenze sociali ed economiche di lungo periodo. I giovani esclusi dai percorsi formativi e lavorativi rischiano di alimentare disuguaglianze strutturali, compromettendo le prospettive di crescita del Paese. La sfida richiede politiche integrate che combinino formazione professionaleorientamento e creazione di opportunità lavorative.

La spesa pubblica in istruzione italiana, pari al 3,9% del PIL nel 2023, rimane significativamente inferiore alla media europea del 4,7%, evidenziando la necessità di maggiori investimenti nel settore. Nonostante i progressi compiuti – l’Italia ha ridotto l’abbandono scolastico avvicinandosi al benchmark europeo del 9% fissato per il 2030 – permangono forti disuguaglianze territoriali che compromettono le pari opportunità formative.

Cultura in ripresa ma con criticità persistenti

Il 2024 segna una ripresa generalizzata della fruizione culturale dopo il crollo pandemico. Gli incrementi più significativi riguardano il cinema (45,5% degli italiani ha assistito a spettacoli cinematografici), i concerti (24,7%) e le rappresentazioni teatrali (22,0%). Il settore museale ha registrato quasi 108 milioni di visitatori nel 2022, tornando ai livelli pre-pandemici, mentre le biblioteche mostrano segnali positivi con il 67,5% dei comuni che dispone di almeno una struttura.

Tuttavia, la lettura rimane un’emergenza nazionale: solo il 40,1% degli italiani legge libri, con il Mezzogiorno che si ferma al 28,5%. Ancora più critica la situazione dei quotidiani, letti da appena il 26,1% della popolazione. Le famiglie italiane destinano solo il 5,8% della spesa a consumi culturali, ben al di sotto della media UE del 7,6%, evidenziando come la cultura non sia ancora percepita come bene primario nella scala delle priorità nazionali. La ripresa culturale ha interessato principalmente il Centro-nord, confermando i tradizionali divari territoriali nell’accesso ai servizi culturali.

Mercato del lavoro

Nel 2024 il tasso di occupazione (20-64 anni) sale al 67,1% (+0,8 punti percentuali rispetto

al 2023). L’incremento riguarda maggiormente le femmine (+0,9 punti percentuali), ma il divario di genere persiste (57,4% a fronte del 76,8% dei coetanei maschi). A livello territoriale i divari sono evidenti: nel Centro-nord il 74,1% della popolazione nella fascia di età 20-64 anni

è occupata, mentre nel Mezzogiorno la quota è pari al 53,4%; gli estremi variano tra il 48,5% della Calabria e il 79,9% della Provincia autonoma di Bolzano/Bozen, Tuttavia l’Italia continua a occupare l’ultima posizione della graduatoria dei 27 paesi UE, a circa un punto percentuale di distanza dalla Grecia.

Nel 2024 l’incidenza del lavoro a termine scende al 14,7% (-1,3 punti percentuali rispetto al

2023). L’incidenza è più elevata per le femmine (16,1% rispetto al 13,5% per i maschi). La quota dei lavoratori a tempo determinato più elevata si rileva nel Mezzogiorno (20,0%).

Nel 2024 la quota degli occupati part-time scende al 17,1% dell’occupazione totale (-0,9 punti percentuali rispetto al 2023). Nonostante la riduzione della quota sia maggiore per le donne, resta forte il divario di genere (30,0% per le femmine rispetto al 7,5% dei maschi). L’incidenza del part-time è più elevata nel Nord-est (18,1%), in particolare in Trentino-Alto Adige/Südtirol (22,1%).

Nel 2024 il tasso di disoccupazione (15-74 anni) diminuisce di 1,2 punti percentuali rispetto al 2023 ed è uguale al 6,5%, con differenze tra la componente femminile e maschile di popolazione (rispettivamente 7,3% e 5,9%). Significative le differenze territoriali, con il valore del Mezzogiorno (11,9%) che, seppure in flessione, supera di oltre tre volte quello del Nord-est e di oltre il doppio quello del Centro. Il valore più elevato si registra in Campania (15,6%).

Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) diminuisce, rispetto all’anno precedente (-2,4 punti percentuali), attestandosi al 20,3%. Tra i giovani, l’indicatore si conferma più elevato per la componente femminile (22,2%, a fronte del 19,2% di quella maschile). È in diminuzione la quota di disoccupati che cercano lavoro da almeno un anno (-4,6 punti percentuali), con un valore pari al 50,2%.

Nel 2024 Il tasso di mancata partecipazione (15-74 anni), che misura quanti sono disponibili a lavorare, pur non cercando attivamente lavoro, scende al 13,3% (-1,5 punti percentuali), comunque più elevato per le femmine di quasi 5 punti percentuali rispetto ai maschi. Il valore del Mezzogiorno (25,5%) è tre volte superiore a quello del Centro-nord; Sicilia, Campania e Calabria presentano i livelli più alti (30% circa). Il divario di genere a sfavore delle femmine (4,6 punti percentuali a livello nazionale) risulta più che doppio nel Mezzogiorno (9,8 punti), mentre è di circa 3 punti percentuali nel Centro-nord.

Sanità e salute

Nel 2022, in Italia la spesa sanitaria pubblica è di gran lunga inferiore rispetto a quella di altri paesi europei. La spesa sanitaria pubblica corrente dell’Italia ammonta a 130,386 miliardi di euro (6,7% del Pil), 2.212 euro annui per abitante (la Germania, con i suoi 7.403 dollari per abitante, si conferma al primo posto in Europa per spesa pro capite).

Il confronto europeo evidenzia che, in Italia, nel 2023, la quota di spesa sanitaria privata sulla spesa sanitaria complessiva (pubblica e privata) è pari al 26,0%. L’Italia si colloca al quinto posto tra i paesi UE per contributo delle famiglie alla spesa sanitaria privata. I paesi in cui i contributi della spesa privata sono maggiori sono Grecia e Portogallo (38,3%), Ungheria (28,5%) e Slovenia (26,2%); tutti gli altri paesi dell’UE registrano contributi minori.

Nel 2022, in Italia l’assistenza ospedaliera si è avvalsa di 996 istituti di cura pubblici e privati accreditati con il Servizio sanitario nazionale (SSN). I posti letto ospedalieri sono pari a 3,0 per mille abitanti. Si conferma un divario tra le aree geografiche del Paese: il Mezzogiorno con 2,7 posti letto ogni mille abitanti, Nord-ovest e Nord-est con 3,2 posti letto per mille abitanti. I valori più bassi si registrano in Campania e Calabria (rispettivamente 2,5 e 2,6). I valori più alti si osservano nella Provincia autonoma di Trento (3,6) e in Emilia-Romagna (3,5). L’Italia è tra i paesi dell’UE con i livelli più bassi di posti letto per mille abitanti. L’attività ospedaliera ancora non raggiunge i livelli di ospedalizzazione registrati nel 2019, anno pre-pandemico. I ricoveri ospedalieri per 100 mila abitanti in regime ordinario, per le malattie del sistema circolatorio (1.640,8 per 100 mila abitanti) risultano ancora inferiori rispetto al 2019, anno pandemico; quelli per tumori (1.083,9 per 100 mila abitanti), anch’essi inferiori, seppure in

misura minore.

Nel 2023, rispetto all’anno precedente, si assiste a un progressivo incremento dell’emigrazione ospedaliera tra regioni, dopo la forte riduzione registrata nel 2020; i valori risultano inferiori ai livelli pre-pandemici solo nel Lazio, in Sicilia e in Abruzzo. Le regioni che risultano più attrattive, ossia con un’immigrazione ospedaliera di entità maggiore dell’emigrazione ospedaliera, sono principalmente nel Centro-nord. Si confermano quote più elevate di flussi in uscita principalmente nelle regioni del Centro-sud.

Nel 2022 il tasso di mortalità evitabile (i decessi sotto i 75 anni che potrebbero essere evitati con un’assistenza sanitaria adeguata e stili di vita più salutari) è di 17,6 decessi per 10 mila abitanti. La mortalità evitabile è costituita da due componenti: la mortalità trattabile, cioè la mortalità che potrebbe essere contenuta grazie a una tempestiva prevenzione secondaria e a trattamenti sanitari adeguati (il cui tasso è pari a 6,3 decessi per 10 mila abitanti), e la mortalità prevenibile, che può essere evitata con efficaci interventi di prevenzione primaria e di salute pubblica (11,3 decessi per 10 mila abitanti). Entrambe le componenti sono diminuite, rispetto al 2021. I maschi hanno un tasso di mortalità evitabile più alto delle femmine (rispettivamente 23,2 e 12,5 per 10 mila abitanti). In particolare, lo svantaggio maschile è principalmente dovuto alla componente “prevenibile”, ossia quella maggiormente legata agli stili di vita (abuso di alcol, maggiore propensione a fumare, non adeguata alimentazione, eccetera) e ai comportamenti più a rischio (eventi accidentali, attività lavorativa, eccetera). La mortalità evitabile presenta anche nel 2022 delle forti disuguaglianze territoriali: il Nordest ha il tasso di mortalità evitabile più basso (15,6 decessi per 10 mila abitanti), mentre il Mezzogiorno quello più alto (20,0 decessi per 10 mila abitanti). L’Italia presenta una mortalità evitabile tra le più basse in ambito europeo.

Nel 2022, in Italia i tassi di mortalità delle principali cause di morte, ovvero malattie dell’apparato cardiocircolatorio (27,0 decessi per 10 mila abitanti) e tumori (23,1 decessi per 10 mila abitanti), sono rispettivamente aumentati e diminuiti rispetto all’anno precedente. Le disuguaglianze di genere continuano a essere più marcate per i tumori. Si conferma lo svantaggio del Mezzogiorno per la mortalità dovuta alle malattie del sistema cardiocircolatorio rispetto a tutte le altre ripartizioni (31,2 decessi per 10 mila abitanti), mentre il Nord-ovest presenta il tasso più alto per la mortalità per tumore (23,7 decessi per 10 mila abitanti). I tassi di mortalità per tumori e per malattie del sistema circolatorio, più bassi della media UE, sono inferiori a quelli della maggior parte dei paesi europei.

Nel 2022 il tasso di mortalità infantile, importante indicatore del livello di sviluppo e benessere di un paese, è pari a 2,5 decessi per mille nati vivi, leggermente inferiore al 2021. Nel Mezzogiorno si registra il tasso mortalità infantile più elevato (3,0 decessi per mille nati vivi). L’Italia si conferma tra i paesi dell’UE con il più basso valore del tasso di mortalità infantile.

Nel 2023 la quota di fumatori stimata è del 19,3% e quella dei consumatori di alcol a rischio è pari al 15,4%, mentre tra la popolazione adulta le persone obese rappresentano l’11,8%. Non si osservano rilevanti differenze territoriali per l’abitudine al fumo. Nel Centro-nord si registra la quota più alta di consumatori di alcol a rischio (17,1%); nel Mezzogiorno quella relativa alle persone obese (13,2%).

Protezione sociale

Nel 2023 la spesa per la protezione sociale è pari al 28,9% del Pil. Dal 2019 al 2023 si osserva un lieve decremento (-0,1 punti percentuali), mentre il decremento registrato rispetto al 2022 è pari a -0,7 punti percentuali. La spesa per prestazioni sociali è destinata prevalentemente alla funzione “vecchiaia” (50,8%) e alla funzione “malattia” (22,1%), seguite da: funzioni “superstiti” (8,4%), “disoccupazione e altra esclusione sociale non altrove classificata” (7,8%), “famiglia” (5,5%) e “invalidità” (5,4%). Nel 2022, la spesa pro capite per la protezione sociale è pari a 10.074 euro annui, appena al di sopra della media UE (10.050 euro). La spesa per la protezione sociale rapportata al Pil dell’Italia (29,7%) supera la media UE (28,0%).

Nel 2022 il tasso di pensionamento (calcolato come rapporto tra il numero totale delle pensioni e la popolazione al 31 dicembre dell’anno di riferimento) è invariato rispetto all’anno precedente (37,9%). La spesa per prestazioni sociali in percentuale del Pil è rimasta altresì invariata (20,2%); al contrario, le prestazioni sociali pro capite (circa 6.670 euro) sono in lieve aumento. La spesa per prestazioni sociali è solo in parte finanziata dai contributi sociali, come emerge dall’indice di copertura previdenziale, misurato dal rapporto tra contributi e prestazioni, in aumento nel 2022 (70,8%) rispetto al 2021 (68,8 cento). L’incidenza dei trattamenti pensionistici sul Pil è pari al 16,4%, inferiore di 0,7 punti percentuali al 2021. L’indice di beneficio relativo, che mostra la quota del reddito medio per abitante derivante da trasferimenti pensionistici, è pari al 43,4%.

Nel 2022 la spesa dei comuni per i servizi sociali, al netto del contributo degli utenti e del Servizio sanitario nazionale, ammonta a 8,865 miliardi di euro, corrispondenti allo 0,46% del Pil. Si conferma la tendenza alla crescita della spesa, iniziata nel 2016, dopo la flessione degli anni precedenti. Il 37,3% delle risorse gestite dai comuni per i servizi sociali è destinato alle famiglie con figli, il 27,5% ai disabili, il 14,8% agli anziani. Dopo un aumento degli interventi a supporto delle famiglie in difficoltà economica, dovuto alla pandemia, la spesa per “povertà, disagio adulti e senza dimora” ritorna ai livelli del periodo pre-pandemico (9,0%). La spesa residua è rivolta per il 5,1% agli immigrati, per lo 0,3% alle dipendenze da sostanze o comportamenti nocivi e per il 6,0% alle spese generali, di organizzazione e per i servizi rivolti alla multiutenza. Nelle regioni del Mezzogiorno i livelli di spesa pro capite per la rete territoriale dei servizi sociali sono di gran lunga inferiori rispetto alle regioni del Centro-nord, a eccezione della Sardegna, dove i comuni spendono 306 euro per abitante, valore al di sopra della media nazionale (150 euro per abitante). Nelle altre regioni del Mezzogiorno, si passa da un minimo di 38 euro per abitante in Calabria, a un massimo di 103 euro in Puglia. Nel Centro-nord, viceversa, dove si concentra il 78% della spesa per i servizi sociali, si passa da un minimo di 117 euro pro capite in Umbria, fino al massimo di 607 euro nella Provincia autonoma di Bolzano/Bozen. Nell’anno educativo 2022/2023, il 64,4% dei comuni italiani offre servizi socio-educativi per la prima infanzia. Il 62,6% dei comuni offre il servizio di nido (incluse le sezioni primavera); il 14,5% garantisce un’offerta di servizi integrativi per la prima infanzia. Rispetto al precedente anno educativo si registra un aumento del 7,5% degli iscritti ai nidi comunali o privati convenzionati con i comuni. Complessivamente, al 31 dicembre 2022, il numero degli iscritti ai servizi educativi per la prima infanzia finanziati dai comuni recupera quasi 15 mila unità rispetto al 2021, contando circa 205 mila bambini. La percentuale di bambini tra 0 e 2 anni accolti nelle strutture pubbliche o finanziate dal settore pubblico è uguale al 16,8%, in aumento rispetto al 15,2% dell’anno educativo precedente. A livello regionale l’indicatore di diffusione dell’offerta pubblica di servizi socio-educativi per la prima infanzia presenta significativi divari regionali: nell’anno educativo 2022/2023, si passa dal 100% dei comuni della Valle d’Aosta e del Friuli-Venezia Giulia che garantiscono la presenza dei servizi, al 26,0% della Basilicata.

Scienza, tecnologia e innovazione

Nel 2022 la spesa totale per Ricerca e Sviluppo (R&S) ammonta a circa 27,3 miliardi di euro (+5%, rispetto al 2021; +3,9%, rispetto al 2019), con un’incidenza dell’1,37% in rapporto al Pil, a fronte di una media dell’UE del 2,21%. In termini di incidenza della spesa totale in R&S sul Pil regionale, Piemonte e Emilia-Romagna sono le regioni dove si registrano i valori più elevati (rispettivamente 2,13 e 2,02%); il Lazio si colloca in terza posizione (1,89%); valori superiori al dato medio nazionale si rilevano anche in Toscana (1,53%), nel Friuli-Venezia Giulia (1,49%), in Liguria (1,48%) e nella Provincia autonoma di Trento (1,46%). Tra le regioni del Mezzogiorno (tutte al di sotto della media nazionale) il risultato migliore si registra in Campania (1,29%). Gli addetti alla R&S (in unità equivalenti a tempo pieno), nel 2022, sono 338 mila, in aumento dell’1,5% rispetto all’anno precedente; in media, 5,7 ogni mille abitanti, valore ancora inferiore alla media dei paesi dell’UE (7,2 ogni mille abitanti). Il 60,9% degli addetti dedicati alla R&S lavora nel settore privato (imprese e istituzioni private non profit), il 26,5% nelle università e il 12,6% nelle istituzioni pubbliche.

Nel triennio 2020-2022, oltre un’impresa su due (industriale e dei servizi con 10 o più addetti) ha svolto attività di innovazione (58,6% delle imprese). L’Industria in senso stretto si conferma il settore con la maggiore propensione all’innovazione (65,1%). Seguono i Servizi con il 56,1% e le Costruzioni con il 46,7%.

Nel 2023 il 74,2% delle imprese con almeno 10 addetti utilizza un sito web o pagine web per valorizzare la propria attività. Si regista una flessione nelle regioni del Mezzogiorno (dal 65,2% nel 2021, al 62,5% nel 2023), con particolare riferimento all’Abruzzo (dal 73,7% al 63,9%) e alla Sicilia (dal 78,4% al 63,5%). A livello europeo l’Italia torna al sedicesimo posto in graduatoria con un valore inferiore alla media UE (78%).

Nel 2022 aumenta, rispetto all’anno precedente, la quota di giovani tra i 20 e 29 anni che hanno conseguito una laurea in discipline tecnico-scientifiche (17,7 per mille residenti), con una quota del 21,0 per mille tra i maschi e del 14,2 per mille tra le femmine, mantenendo invariato il divario di genere (6,8 punti). Il Centro Italia mostra complessivamente la quota più elevata di laureati in discipline tecnico-scientifiche (circa il 18 per mille), con Lazio e Umbria che raggiungono, rispettivamente il 19,5 e 19,0 per mille. Nel Mezzogiorno si distinguono i valori di Molise e Basilicata con valori, rispettivamente pari al 21,8 e al 21,0 per mille. Il divario di genere, pari a 6,8 punti a favore dei maschi, è più elevato nelle regioni del Nord-est (8,6 punti), mentre è più contenuto nel Mezzogiorno (5 punti), in particolare in Sardegna (3,1 punti), Basilicata (3,3 punti) e Campania (3,8 punti). Nonostante la crescita continua registrata negli anni, permane il divario rispetto a gran parte dei paesi europei.

Nel 2024 l’86,2% delle famiglie dispone di un accesso a Internet da casa, percentuale in aumento rispetto all’anno precedente. Le regioni che presentano i valori più elevati sono: Veneto, Friuli-Venezia Giulia (89,3% entrambe) e Trentino-Alto Adige/Südtirol. Si conferma un notevole divario tra le regioni del Centro-nord e il Mezzogiorno. Solo la Sardegna presenta un valore che supera quello medio nazionale. La percentuale di famiglie italiane, con almeno un componente nella fascia di età tra i 16 e i 74 anni che dispone di un accesso a Internet, è uguale al 93,4%, valore prossimo alla media UE (94,1%).

L’82,7% della popolazione di 6 anni e più residente in Italia ha utilizzato Internet. Naviga sul web l’85,3% dei maschi e l’80,2% delle femmine; va però sottolineato che tale divario riguarda soprattutto le fasce di età più anziane. Il Mezzogiorno presenta uno scarto di 6,6 punti percentuali rispetto al Nord e di 5,5 punti percentuali rispetto al Centro. Nella Provincia autonoma di Trento si trova la più alta percentuale di internauti (86,5%). La Calabria è la regione con la più bassa quota di utenti di Internet (74,2%). A livello europeo, l’Italia occupa le ultime posizioni nella graduatoria dei paesi dell’UE, con l’88,1% di utenti Internet regolari nella fascia di età tra i 16 e i 74 anni. Il valore medio per i paesi dell’UE è 91,7%.

Redazione amaperbene.it

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