Getting your Trinity Audio player ready...
|
La carne di maiale in gelatina, detta in dialetto “ielatina ‘r puorcu” è una specialità dell’Area dell’Alta Valle del Calore, una zona dell’Irpinia, in provincia di Avellino, che vanta una tradizione gastronomica antichissima.
La gelatina è, sostanzialmente, un brodo condensato di carne. La materia prima per produrre la gelatina di origine animale è il collagene naturale che si trova in alcune parti del maiale. Si utilizzano, precisamente, la testa, la coda, i piedi e la frontalina. Una volta tagliate, le parti del maiale si mettono in ammollo in acqua per una giornata, successivamente si fanno bollire con foglie di lauro e, una volta che la carne si stacca dall’osso, si toglie, si fa a pezzi e si recupera, a parte, il brodo di cottura. Il giorno successivo si deve cuocere di nuovo il brodo da cui è stata tolto il grasso di affioramento e aggiungervi sale, aceto, polvere di peperoncino e foglie di lauro; una volta versato nei piatti dove è stata messa la carne del giorno precedente e lasciato riposare qualche giorno, si può utilizzare. Tradizionalmente, per conservarla più a lungo, la gelatina viene messa in barattoli di vetro a chiusura ermetica e fatta bollire in acqua per qualche ora.
La gelatina di maiale è un piatto di condivisione: se ne prepara sempre in quantità abbondante per poterne distribuire una piccola zuppiera ai vicini.
Ingredienti:
Variano a seconda della versione. In Campania, ad esempio, esistono due scuole di pensiero, quella dell’Alta Valle del Calore dove l’immancabile alloro viene affiancato da un bicchiere di mosto cotto di Fiano di Avellino (mai di Aglianico!), spesso arricchita da pinoli, uva sultanina e qualche gheriglio di noce. Sempre in Irpinia, è in uso una versione con le bucce di limone ed una agrodolce con il cacao.
Nel Cilento e nella Piana del Sele è presente esclusivamente l’aceto, qualche grano di pepe (c’è anche chi lo sostituisce con polvere di peperoncino piccante) e l’immancabile alloro.
La versione lucana in alcune zone prevede l’aggiunta dell’aglio, del rosmarino e dell’origano. Da qualche anno è Prodotto Agroalimentare Tradizionale (Pat) della Basilicata, così come in Sicilia dove viene chiamato zuzzu (unto), suzo o liatina e prevede l’aggiunta di chiodi di garofano oltre agli altri ingredienti canonici.
- si utilizzano le parti di scarto del maiale (ricordate: del maiale non si butta niente!): i piedi, la coda, la testa, alcune ossa, la frontalina, la cotenna e le orecchie, parte più ambita della ricetta.
- sale, aceto, un pizzico di peperoncino o pepe in grani, foglie di alloro
Preparazione:
- Lavate con cura le parti di maiale da utilizzare e mettetele in ammollo in acqua per una giornata.
- Tagliate le parti di maiale (in genere le quantità sono “a occhio”, molto abbondanti), condite con sale, aceto, un pizzico di peperoncino o grano di pepe, foglie di alloro
- Metterle a bollire in una pentola capiente piena d’acqua a fuoco moderato per almeno tre ore.
- Una volta cotta la carne, controllate di sale, e lasciate raffreddare il brodo onde poterlo meglio sgrassare.
- Dopo aver tolto tutto il grasso con un cucchiaio, tornate a riscaldarlo, indi colatelo con un colabrodo e conditelo fuori dal fuoco.
- Disossate, togliete la polpa dalle ossa e sminuzzate tutte le parti più sfiziose a dimensione di bocconi.
- Dopodiché suddividete il composto nei vari contenitori e ricoprite con la giusta quantità di brodo che una volta solidificato assumerà le sembianze di una “gelatina traballante”, in dialetto “triemolo”, dal colore cristallino.
- Portate le zuppiere con il brodo ancora bollente, e le foglie di alloro sopra, a raffreddare all’aperto, fuori, o su un balcone o sulla finestra, a temperatura ambiente, che per essere ottimale deve essere intorno allo zero
- Una volta raffreddata, sulla gelatina si forma una patina bianca di grasso, utile per l’ulteriore conservazione del piatto, che va rimossa con maestria al momento del consumo.
- La gelatina va mangiata con la forchetta, s’infilza direttamente il pezzo e si consuma a morsi.