L’Italia delle disuguaglianze – A pagare sono sempre i “soliti noti”
Focus - Disuguaglianza

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Sulle pagine del Corriere della Sera Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, ha esaminato la situazione italiana relativamente alle dichiarazioni dei redditi riscontrando, ed è una conferma, che più della metà della popolazione non paga le tasse e non contribuisce a sostenere i servizi che il Paese offre. Negli ultimi 25 anni – afferma – la classe politica ha mutato il modo di cogliere i consensi dei cittadini: prima il voto si dava per ideale o a chi sapeva far funzionare il Paese, oggi si votano coloro che sanno promettere meglio (bonus, meno tasse o servizi gratis).
La politica dei bonus[1] è talmente radicata nei cittadini che ormai sembra quasi un diritto riceverli. Ma laddove un popolo reclama i propri diritti dovrebbe essere in grado anche di farsi carico di quelli che sono i suoi doveri e tra i doveri di un cittadino c’è quello di pagare le tasse.
La politica fa passare un messaggio sbagliato che è quello che il popolo italiano, in ginocchio per le troppe tasse, deve essere aiutato e come sempre lo Stato assistenzialista eroga bonus, aiuta con le bollette troppo alte, elargisce contributi (anche quelli per la pensione) aumentando il proprio debito arrivando al 135% di rapporto debito Pil.
Meglio sarebbe, invece di assistere un popolo che evade le tasse, dire come stanno le cose. Il 60% della popolazione non paga le tasse, il 24% paga solo i servizi di base, ovvero paga giusto quelle sufficienti per sovvenzionare i servizi di base che utilizza. Il resto del carico fiscale è sulle spalle del 17% della popolazione, coloro che dichiarano redditi a partire da 35.000 euro lordi annui e che pagano la sanità, la sicurezza, le strade e i servizi in generale anche per quel 60% che non versa le tasse.
L’Italia è per questo un Paese spaccato in due, dove la maggior parte della popolazione vive dei sussidi, dei bonus e degli aiuti, con una sparuta parte dei cittadini produttivi che pagano le tasse per se stessi e per il resto della collettività. Una sproporzione enorme che fa sì che solo il 40% della popolazione si faccia carico di quasi tutte le tasse totali e sintomo di un Paese in cui la maggior parte degli individui vive sulle spalle di una minoranza sempre più oppressa dal peso delle tasse. Sanità e servizi essenziali sono sovvenzionati con il gettito fiscale e ci si avvia verso un punto di non ritorno con la politica che continua a elargire bonus e contributi non guardando all’enorme zona d’ombra rappresentata dalla dilagante evasione fiscale.
A peggiorare il peso delle tasse per chi le paga è poi intervenuta anche la Legge di Bilancio 2025 che ha introdotto un’ennesima tassa nascosta imponendo dei limiti alle detrazioni fiscali per chi ha redditi superiori ai 75.000 euro. Si tratta di un limite che riguarda solo chi le tasse le paga (gli altri non portano in detrazione le spese sostenute).
Ma attenzione, la minoranza che paga tutto è rappresentata dai cittadini onesti, mentre nella maggioranza che non paga le tasse non ci sono solo nullatenenti e incapienti ma anche un’enorme economia sommersa che evade, ogni anno, oltre 80 miliardi di tasse che potrebbero essere impiegati non solo per finanziare i servizi essenziali, ma anche per abbassare le tasse a chi le paga regolarmente. A dimostrare l’esistenza dell’enorme economia sommersa, del lavoro in nero e dei redditi non dichiarati sono le dichiarazioni dei redditi presentate che restituiscono la fotografia di un Paese poverissimo in cui pochissimi contribuenti dichiarano più 100.000 euro di guadagno l’anno restituendo l’idea che l’Italia sia un Paese con una povertà dilagante. Ma è realmente così? Se si guarda alla capacità di spesa reale dei cittadini, però, tra vacanze, auto e articoli tech, ci si rende conto che la fotografia che rimanda la dichiarazione dei redditi è solo un’illusione, a dimostrazione che esiste un sommerso enorme nascosto al Fisco.
Gli sforzi della lotta all’evasione hanno consentito all’Agenzia delle Entrate di recuperare nel 2024 26,3 miliardi di euro, superando di 1,6 miliardi i risultati del 2023, portando il recupero totale a 33,4 miliardi grazie anche ad altre attività di riscossione. Ben poca cosa! Come allora non giustificare quel cittadino che ha totalmente perduto la fiducia nei confronti di uno Stato che non solo non agisce nei confronti degli evasori, ma che addirittura li incoraggia con rottamazioni, stralci, pace fiscale, ed altri strumenti che comunque premiano chi non paga le tasse.
Eppure, l’art. 53 della Costituzione italiana recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. I due commi dell’articolo definiscono altrettanti criteri di equità tributaria. Il primo stabilisce un, seppur vago, criterio di equità orizzontale, per cui a livelli identici di capacità contributiva, misurati dal cosiddetto reddito equivalente, devono corrispondere livelli identici di carichi tributari. Il secondo stabilisce invece un criterio di equità verticale: a maggiore capacità contributiva deve corrispondere un carico fiscale più grande; più precisamente, all’aumentare della capacità contributiva il debito d’imposta deve aumentare più che proporzionalmente. Curiosamente, gran parte dell’attenzione pubblica e politica si sofferma molto più sul secondo criterio che sul primo. E lo fa, in molti casi, in maniera impropria. Per esempio, la cosiddetta “flat tax” viene criticata in quanto sarebbe in contrasto proprio con il criterio della progressività. Tuttavia, questo non è vero in linea di principio: anche l’aliquota unica può essere compatibile con un’imposta progressiva. Infatti, la progressività si può raggiungere sia con aliquote legali crescenti sia, e spesso in combinazione, con un sistema di deduzione e detrazioni che rende comunque le aliquote media crescenti al crescere del reddito. Una situazione che corrisponde proprio alla definizione di imposta progressiva. Non solo: pur in assenza di “flat tax”, già oggi il sistema tributario è fortemente squilibrato, concentrando la progressività su una singola imposta (l’Irpef) e, all’interno di questa imposta, in particolare sui redditi medi (dai 30.000 ai 70.000 euro). In pochi notano che tutte le altre imposte sono proporzionali e alcune sono addirittura regressive, perché sono in somma fissa.
Tornando al grande assente dal dibattito, il criterio di equità orizzontale è oggi violato, nel silenzio generale, secondo la fonte di reddito. I redditi da capitale sono soggetti ad aliquote generalmente più generose, cioè minori, dei corrispondenti redditi da lavoro; inoltre, alcuni redditi da lavoro autonomo, in particolare quelli soggetti al cosiddetto “regime forfetario”, godono di un’aliquota unica e più bassa rispetto ai redditi da lavoro dipendente. Ciò determina un’evidente iniquità nella distribuzione dei carichi tributari all’interno della popolazione.
L’Irpef, acronimo di Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche, è un tributo che grava sui redditi delle persone fisiche residenti in Italia; è stata introdotta in Italia nel 1974 per sostituire il precedente sistema di imposizione sui redditi. Tutti coloro che hanno un reddito, sia come lavoratore dipendente, sia come autonomo, nonché soci di impresa sono tenuti a pagare questa imposta. Questa tassa progressiva è una delle principali fonti di entrata per lo Stato e serve a finanziare la spesa pubblica, contribuendo a realizzare interventi sociali, economici e infrastrutturali. Il suo gettito vale circa 200 miliardi di euro (anno 2023), un valore che corrisponde a circa il 20% dell’intera spesa pubblica italiana.
La base imponibile dell’Irpef riguarda la totalità dei redditi che si sono conseguiti nel corso dell’anno: in particolare. l’Irpef è l’imposta dovuta dalle persone fisiche per il possesso dei seguenti redditi:
- fondiari, cioè dei fabbricati e dei terreni
- di capitale
- di lavoro dipendente (inclusi i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e i redditi di pensione)
- di lavoro autonomo
- di impresa
- diversi (elencati nell’articolo 67 del Testo unico delle imposte sui redditi).
Sono soggetti passivi dell’Irpef le persone fisiche residenti e non residenti nel territorio dello Stato.
Il calcolo dell’Irpef avviene applicando delle aliquote progressive al reddito complessivo di una persona. Le aliquote aumentano all’aumentare del reddito per rendere l’imposta più equa. Le aliquote sono percentuali che vengono applicate a fasce o scaglioni di reddito: 23% per i redditi fino a 28.000 euro; 35% per i redditi superiori a 28.000 euro e fino a 50.000 euro; 43% per i redditi che superano 50.000 euro.
Si stima che essa fornisca circa il 40% del gettito fiscale dello Stato. Infatti nel 2020, a fronte di entrate tributarie pari a 446.796 milioni di euro, 187.436 milioni di euro sono derivati dall’IRPEF.
Le statistiche pubblicate dal Mef ci dicono che l’Irpef viene pagata soprattutto da dipendenti e pensionati. Si tratta di soggetti che rappresentano circa l’84% del reddito complessivo dichiarato, che ammonta a oltre 1.027,7 miliardi di euro (57,5 miliardi in più rispetto all’anno precedente, +5,9%). L’analisi territoriale evidenzia che la Lombardia ha il reddito medio più elevato (29.120 euro), seguita dalla Provincia autonoma di Bolzano (28.780 euro), mentre la Calabria presenta il reddito medio più basso (18.230 euro).
Pertanto, i redditi da lavoro dipendente e da pensione costituiscono circa l’84% del reddito complessivo dichiarato, con il lavoro dipendente che rappresenta il 53,9% del totale. Il reddito medio da lavoro autonomo è di 70.360 euro, mentre quello degli imprenditori (titolari di ditte individuali) è di 29.250 euro. I lavoratori dipendenti dichiarano un reddito medio di 23.290 euro, e i pensionati di 21.260 euro. È importante notare che i redditi dei lavoratori dipendenti sono riportati al netto dei contributi previdenziali, mentre i redditi da lavoro autonomo e d’impresa sono indicati al lordo.
Nel 2023, il reddito da fabbricati soggetto a tassazione ordinaria ammonta a 26,2 miliardi di euro, con un aumento del 3,1% rispetto all’anno precedente.
L’imposta netta totale dichiarata è di 189,9 miliardi di euro, con un incremento del 9% rispetto all’anno precedente, corrispondente a un valore pro capite di 5.660 euro. L’imposta è dichiarata da oltre 33,5 milioni di contribuenti, pari a circa il 78,8% del totale. Oltre 9 milioni di soggetti hanno un’imposta netta pari a zero, principalmente a causa di livelli reddituali che rientrano nelle soglie di esenzione.
La distribuzione dell’imposta per classi di reddito mostra che i contribuenti con redditi fino a 35mila euro (78% del totale) dichiarano il 36% dell’imposta netta totale, mentre il restante 64% è dichiarato da contribuenti con redditi superiori a 35mila euro (22% del totale). I soggetti con un reddito complessivo maggiore di 300.000 euro (0,2% dei contribuenti) dichiarano il 7,1% dell’imposta netta totale.
Nel 2023, l’addizionale regionale all’Irpef ha raggiunto quota 15,2 miliardi di euro, con un incremento del 9,6% rispetto all’anno precedente. L’importo medio varia notevolmente: si passa da un minimo di 290 euro in Sardegna a un massimo di 810 euro nel Lazio. Per quanto riguarda l’addizionale comunale, invece, il totale è di oltre 6,3 miliardi di euro, con un aumento del 9,1% rispetto al 2022. Anche qui, gli importi medi variano: si va da 130 euro nella provincia di Bolzano fino a 280 euro nel Lazio.
Sono 4,17 milioni i contribuenti che hanno presentato la dichiarazione Iva nel 2023, segnando una leggera diminuzione dello 0,9% rispetto all’anno precedente. Il volume d’affari dichiarato maggiore si registra nel settore della “Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata”, che ha registrato una diminuzione del 36,1% nel volume d’affari, dopo un notevole aumento del 118,7% nel 2022. Al contrario, il settore del “Commercio all’ingrosso e al dettaglio e riparazione di autoveicoli e motocicli” ha visto un incremento del 19 per cento.
Analizzando la distribuzione territoriale, le regioni con i maggiori aumenti percentuali nel volume d’affari sono state il Molise (+9,9%), la Calabria (+9,2%), l’Abruzzo (+8,7%) e la Campania (+8,1%). Al contrario, il Lazio ha registrato la maggiore riduzione, con un calo del 18,7 per cento.
Il totale delle operazioni attive imponibili per l’anno d’imposta 2023 è stato di oltre 2.721 miliardi di euro, con un aumento del 3,1% rispetto all’anno precedente, rappresentando il 57,5% del volume d’affari complessivo.
L’imposta dovuta nel 2023 ammonta a 157 miliardi di euro, con un incremento del 9,4% rispetto al 2022, mentre l’imposta a credito è pari a 50,8 miliardi di euro, con un aumento dello 0,3 per cento.
Infine, l’introduzione del modello “Lipe” (Comunicazione delle liquidazioni periodiche Iva) ha semplificato la verifica dei versamenti, grazie alla trasmissione telematica dei dati. Nel 2023, l’Iva dovuta come saldo annuale a debito è stata di 4,4 miliardi di euro, con un aumento del 14,8% rispetto al 2022, mentre il saldo annuale a credito è stato di 56,6 miliardi di euro, con una diminuzione del 2,7 per cento.
Per ricapitolare i dati circa chi è che paga le tasse in Italia, bisogna sapere che oltre l’80% del gettito Irpef arriva dai redditi da lavoro dipendente e assimilati (cioè quelli da pensione). Meno del 10% deriva dai redditi da lavoro autonomo e il resto, un altro scarso 10%, da redditi da capitale. Ciò significa che pochi contribuenti pagano per tutti. Il 40% dei percettori di reddito in Italia non paga l’Irpef grazie a un sistema combinato di aliquote basse con detrazioni e deduzioni elevate sulle fasce più basse di reddito. L’80% dei contribuenti percepisce un reddito inferiore ai 29.000 euro ed è responsabile del 30% del gettito. Meno del 20% dei percettori di reddito invece, in particolare coloro che percepiscono un reddito compreso tra 29.000 euro e 75.000 euro, contribuisce per oltre il 40% del gettito. Il restante gettito deriva da quel 2,5% di popolazione con redditi superiori a 75.000 euro.
[1] La politica dei bonus in Italia nel 2025 prevede diverse agevolazioni, con alcune conferme e novità. Il bonus ristrutturazioni del 50% è confermato per l’abitazione principale, con una spesa massima detraibile di 96.000€ in dieci anni, mentre per le seconde case la detrazione è ridotta al 36%. Il Superbonus 110% è stato prorogato al 2026 per gli interventi nei comuni colpiti dal sisma nel Centro Italia. Inoltre, sono attivi bonus sociali per disagio economico, il cui riconoscimento avviene in bolletta dopo alcuni mesi dalla presentazione dell’ISEE. Il costo netto per lo Stato del superbonus 110% nel 2021 è stato di 15.952 milioni di euro, con un effetto fiscale indotto del 43,3% secondo uno studio di Fisco e Tasse.