Disuguaglianza
Tendenza

Disuguaglianze intergenerazionali

Focus - Disuguaglianza

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Le origini familiari possono avere un impatto significativo sul successo occupazionale e sul reddito delle generazioni future, limitando la mobilità sociale. 

Queste disuguaglianze non solo creano disparità sociali ed economiche, ma possono anche limitare le opportunità di crescita e sviluppo del paese nel suo complesso. 

Nascere e vivere in luoghi diversi della stessa nazione comporta essere destinati a diverse forme di cittadinanza, una piena, con uno standard alto di servizi a disposizione, e l’altra dimezzata, con uno standard nettamente inferiore alle necessità minime di civiltà. Il primo quarto del XXI secolo è stato costellato da un insieme di eventi traumatici che hanno impattato in modo violento su tutte le società, ma i soggetti che hanno subito le più gravi conseguenze sono quelli che rientrano nelle categorie “fragili” e fra questi i giovani in modo particolare. Dalla fine della Seconda guerra mondiale i giovani delle società occidentali sono stati gli attori principali dei processi di innovazione e trasformazione delle società. Questo faceva dei giovani una categoria centrale delle società avanzate capace di trainare le altre categorie sociali verso il futuro. Negli ultimi decenni, in Italia in modo particolare, si registra una perdita di centralità dei giovani che sono relegati in una posizione di marginalità e vittime di un aumento di vecchie e nuove disuguaglianze che di fatto li rende una categoria fragile dal presente precario e protesa verso un futuro sempre più incerto e pieno di rischi.

Secondo l’Istat, il tasso di fecondità in Italia nel 2024 è di 1,18 figli per donna, il valore più basso mai registrato, superando il precedente minimo storico di 1,19 del 1995.

Forti le disuguaglianze territoriali, con il Nord che mostra un tasso leggermente superiore rispetto al Centro e al Mezzogiorno, ma tutte le aree registrano tassi inferiori alla soglia di sostituzione. Le regioni con i tassi più bassi si trovano spesso al Sud e nelle isole, con alcune province che mostrano valori particolarmente bassi.

In particolare, il Nord presenta il tasso di fecondità più elevato tra le ripartizioni geografiche, ma anche in questa area si registra un calo, seppur meno marcato rispetto al Centro e al Sud. Il Centro ha il tasso di fecondità più basso d’Italia. Il Mezzogiorno mostra un calo del tasso di fecondità, dopo una lieve ripresa lo scorso anno.

Alcune province del Sud e delle isole presentano tassi di fecondità molto bassi, con valori inferiori a 1,1 figli per donna in alcune aree.

Le differenze territoriali nei tassi di fecondità possono essere influenzate da vari fattori, tra cui il livello di sviluppo economico, la struttura della popolazione femminile in età riproduttiva, le politiche locali e le differenze culturali.

Questi dati supportano una continua diminuzione delle nascite e un calo della fecondità, con un numero medio di figli per donna sempre più lontano dalla soglia di sostituzione demografica (2,1).

Nel dettaglio,

  • si assiste ad un calo delle nascite: nel 2024, sono nati 370mila bambini, circa 10mila in meno rispetto all’anno precedente.
  • il tasso di natalità si è attestato a 6,3 per mille.

Purtroppo, il calo della fecondità è un trend che dura da decenni, con il numero di figli per donna che era di 1,44 nel 2008, 1,24 nel 2022 e ora 1,18 nel 2024.

Questo calo demografico solleva preoccupazioni per il futuro della popolazione italiana e per le conseguenze economiche, sociali e sanitarie significative, legate all’invecchiamento della popolazione ed ai conseguenti squilibri tra generazioni. La prima ovvia conseguenza del declino demografico è la decrescita economica del Paese in termini assoluti. Le società con meno figli e la maggiore longevità portano a un invecchiamento della popolazione; d’altra parte, la diminuzione della forza lavoro a seguito del pensionamento di un maggior numero di persone può causare non pochi problemi in quanto le entrate fiscali del governo diminuiscono e le spese per i pensionati aumentano. Le conseguenze sono spese sempre più insostenibili per sanità, assistenza e pensioni. Con meno lavoratori le società diventano poco dinamiche e innovative. Alla lunga questi Paesi avranno problemi di crescita economica.

Accanto alla riduzione della fecondità, nel 2024 continua a crescere l’età media al parto, che si attesta a 32,6 anni (+0,1 in decimi di anno sul 2023). Il fenomeno della posticipazione delle nascite è di significativo impatto sulla riduzione generale della fecondità, poiché più si ritardano le scelte di maternità più si riduce l’arco temporale a disposizione delle potenziali madri per la realizzazione dei progetti familiari.

L’aumento dell’età media al parto si registra in tutto il territorio nazionale, con il Nord e il Centro che continuano a registrare il valore più elevato: rispettivamente 32,7 e 33,0 anni, contro 32,3 anni del Mezzogiorno.

Diminuiscono anche i matrimoni che, ormai da tempo, non rappresentano più un passaggio preliminare alla nascita di un figlio. Secondo i dati provvisori, nel 2024, i matrimoni sono 173mila, 11mila in meno sul 2023. Continua la forte riduzione di quelli celebrati con rito religioso (-9mila) e allo stesso tempo si osserva un calo di quelli celebrati con rito civile (-2mila).

Complessivamente, nel 2024 il tasso di nuzialità continua lievemente a scendere, portandosi al 2,9 per mille dal 3,1 del 2023. Il Mezzogiorno continua a essere la ripartizione con il tasso più alto, 3,2 per mille contro 2,8 per mille di Nord e Centro, ma è allo stesso tempo l’area in cui risulta più forte la contrazione sul 2023.

Purtroppo l’Italia è un Paese disuguale anche per quanto riguarda l’aspettativa di vita. Questa varia a seconda della regione, con il Nord che generalmente presenta i valori più alti, seguito dal Centro e poi dal Sud. Nel 2024, l’aspettativa di vita alla nascita per gli uomini è stata di 83,4 anni, mentre per le donne è stata di 86,7 anni. Le regioni con la più alta aspettativa di vita sono il Trentino-Alto Adige, le Marche e, nel Mezzogiorno, l’Abruzzo. La Campania registra l’aspettativa di vita più bassa sia per gli uomini che per le donne. 

Da un’analisi più dettagliata si evince che nel Nord Italia l’aspettativa di vita alla nascita per gli uomini è di 82,1 anni e per le donne di 86,0 anni. Il Trentino-Alto Adige spicca con 82,7 anni per gli uomini e 86,7 per le donne.

Nel Centro Italia, l’aspettativa di vita è di 81,8 anni per gli uomini e 85,7 per le donne. Le Marche sono la regione con la più alta aspettativa di vita, con 82,2 anni per gli uomini e 86,2 per le donne.

Nel Mezzogiorno l’aspettativa di vita è più bassa, con 80,3 anni per gli uomini e 84,6 per le donne. L’Abruzzo mostra guadagni significativi nella sopravvivenza maschile, mentre Sicilia, Basilicata e Calabria registrano miglioramenti nella sopravvivenza femminile. La Campania ha l’aspettativa di vita più bassa, con 79,7 anni per gli uomini e 83,8 per le donne.

L’aspettativa di vita è un indicatore importante dello stato di salute e del benessere di una popolazione e può essere influenzata da vari fattori come lo stile di vita, l’accesso all’assistenza sanitaria, le condizioni socio-economiche e la mortalità.

Redazione amaperbene.it

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